cultura

Questa è l'acqua che ci salverà!

giovedì 14 giugno 2018
di Mirabilia-Orvieto
Questa è l'acqua che ci salverà!

Il Pozzo della Vita, di Pier Augusto Breccia

Quando ci sporgiamo su questo pozzo, che è il nostro spirito, vi percepiamo ad una distanza abissale, dentro un cerchio ristretto, tutto l’immenso mondo” (Victor Hugo).

Dopo l’insolito spettacolo al chiaro di luna dove il nostro Pozzo si è voluto tingere di verde al suono melodico di un’arpa celtica, ora il capolavoro del Sangallo si appresta ad un’altra performance, una sfida sportiva senza precedenti!
A pensarci bene, la cosa non può certo meravigliare se, andando un po’ indietro nel tempo, ritornano alla memoria quegli atletici caporali che facevano correre, giù e su per il Pozzo, le giovani reclute della caserma Piave. Certamente il Pozzo di san Patrizio è stato sempre un indomito ispiratore di artisti, letterati, pittori, poeti, mistici e persino di improvvisati sportivi.
E non poteva essere diversamente se si pensa alla funambolesca vicenda che sta alle origini della sua costruzione, quando papa Clemente VII (al secolo Giulio de’ Medici), dopo aver sborsato 112 mila ducati di riscatto, travestito da plebeo, riuscì a lasciare le prigioni di Castel Sant’Angelo e a fuggire nella vicina Orvieto.
Un pensiero fisso però lo assillò dal primo momento: questa città è proprio un rifugio sicuro?
Niente affatto, pensò il papa. Gli Alemanni, o Lanzichenecchi, avrebbero potuto raggiungerlo anche lì ed allora le cose sarebbero diventate per lui davvero difficili, anzi difficilissime. In caso d’assedio, l’unico vero problema era rappresentato proprio dall’acqua. A risolverlo venne chiamato il noto architetto Antonio Sangallo il Giovane il quale, osservando all’estrema punta orientale della bastionata rocciosa una ricca sorgente, le fonti di san Zeno, ebbe anche lui una geniale idea: “Questa è l’acqua che ci salverà!”.

Panoramica esterna

Nella sua fervida mente nacque il progetto del pozzo più incredibile che fantasia umana abbia mai concepito nella storia fino a quel giorno: un gigantesco cilindro verticale che perfora la roccia per ben 62 metri fino a raggiungere l’acqua sottostante. Non è quindi un caso se, ad opera non ancora ultimata, Benvenuto Cellini ritrasse su un lato della medaglia commemorativa del Pozzo (1534), la figura biblica di Mosè che, colpendo con un bastone la roccia, fece scaturire una sorgente d’acqua per dissetare il popolo stremato; e non è nemmeno un caso che lo stesso gesto miracoloso lo si trovi anche nel mito greco di Pegaso, il bianco cavallo alato che, percuotendo con lo zoccolo la dura roccia, ne fa scaturire l’acqua di cui si nutrono le Muse, fonti inesauribili di creatività.

Medaglia del Cellini

Dalla storia biblica alle immagini del mondo classico, il pozzo è stato sempre un luogo fisico evocatore di significati e archetipi.
Così, nel linguaggio onirico, il secchio vuoto che scorre verso il fondo per poi risalire colmo d’acqua, non esprime solamente il bisogno dell’uomo di soddisfare la sua sete materiale, ma il desiderio di soddisfare una sete più profonda, quella spirituale. Per questo, lo “scendere” nel pozzo significa calarsi simbolicamente nel profondo della propria anima, anche a costo di affrontare paure e resistenze.
“La finalità della discesa - precisa con chiarezza Carl Gustav Jung - come esemplificato dal mito dell’eroe, è quella infatti di dimostrare che soltanto nella regione del pericolo (le acque profonde del pozzo, le caverne, ecc.) è possibile trovare il tesoro nascosto (la pietra dal valore inestimabile, la pozione che dona l’immortalità, la vittoria sulla morte, ecc.), un tesoro ‘difficile‘ da conquistare.

Carl Gustav Jung e la rappresentazione dell’inconscio

Così l’atto fisico di discendere nel Pozzo e di risalire con tutte le proprie energie (corpo, muscoli, cuore, polmoni, ecc.) corrisponde simbolicamente all’esistenziale sforzo di calarsi nel proprio Io, al fine di conoscere chi siamo veramente e, una volta giunti nel profondo di noi stessi, scoprire energie vitali impensate a cui poter attingere (l’acqua in fondo al pozzo).
Sono proprio quelle energie che permettono all’uomo di rinascere, di risorgere, di rigenerarsi, fino a rivedere, in un processo di trasformazione interiore, la luce della propria vera realizzazione (l’uscita dal pozzo).
Per comprendere in profondità una simile dimensione - scrive lo psicanalista e filosofo Pasquale Picone - dobbiamo portare la nostra immaginazione ad identificarci proprio con il Pozzo di san Patrizio: infatti “quella fila o processione di asini pazienti che al tempo del Sangallo doveva scendere e salire i bassi gradini delle due scale, in un’incessante movimento a spirale, gravati da una soma di barili d’acqua, non sono forse energie e processi della nostra anima che faticosamente attinge, dalle profondità del nostro essere, l’alimento della vita e il nutrimento della creatività?”.

Particolare

Ecco allora che nel Pozzo di san Patrizio le due dimensioni materiale e spirituale, corpo e anima, improvvisamente coincidono, richiamando l’attenzione dell’uomo moderno su due questioni fondamentali. La prima è la scarsità delle risorse d’acqua potabile che sta mettendo in serio pericolo la vita sul nostro pianeta; il secondo, non meno importante, è la desertificazione delle anime: in questo “deserto planetario” l’uomo del XXI secolo è dunque chiamato a scavare nuovi pozzi...pozzi esteriori e interiori.
“Questa è l’acqua che ci salverà” sembra gridare, ancor oggi, il Pozzo!
E se da un lato il cosiddetto “oro blu”, indispensabile all’esistenza di ogni essere, è stato considerato recentemente un diritto (evidentemente la sua disponibilità era una cosa talmente ovvia che non se ne avvertiva il bisogno, al punto che tale diritto non figura nemmeno nella Carta dei Diritti Umani elaborata solo dopo l’ultimo conflitto mondiale); dall’altro - come scrive il filosofo Marco Guzzi - dobbiamo convincerci “a ritrovare, nei nostri deserti psichici e urbani, sorgenti di acqua cristallina che sappiano dissetare una umanità dominata dai linguaggi della finanza e della pubblicità, da una comunicazione di massa sempre più totalitaria, da una informazione pilotata e falsa, e da una cultura incapace di visione”.

Il pianeta che ha sete

Già nel 1616, grazie al suo Pozzo, Orvieto venne definita a ragione “la Città delle meraviglie” (Carrarini), mentre lo straordinario capolavoro del Sangallo, associato anche iconograficamente all’altra meraviglia della città, il Duomo, entrava ufficialmente nelle guide di fine Settecento. Più tardi il prestigioso monumento continuò a riscuotere il suo meritato successo anche dai molti viaggiatori stranieri dell’Ottocento, così da entrare nell’immaginario comune del Novecento e contribuire infine all’industria turistica più o meno di massa del secolo attuale.
Oggi però, nella valorizzazione e promozione del Pozzo di san Patrizio, occorrono idee e visioni nuove, nella politica come nella cultura, se si vuole camminare, che dico, correre alla conquista della sua preziosissima acqua.
La città di Orvieto possiede un tesoro immenso ancora tutto da scoprire. Come diceva il Piccolo Principe di Saint-Exupéry, ciò che abbellisce un deserto è che da qualche parte nasconde un pozzo.


Pozzi nel deserto