cultura

Quaresima: i cercatori d'acqua

giovedì 16 marzo 2017
di Fabio Massimo Del Sole - Patrizia Pelorosso
Quaresima: i cercatori d'acqua

"Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva (...) Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna".
(Gv 4, 10-14)

Fa certamente riflettere il fatto che, più di una volta, Gesù abbia paragonato la sua missione e il suo insegnamento proprio all’acqua apportatrice di vita. Il suo approvvigionamento anche allora era talmente indispensabile, che le popolazioni a cui parlava il Messia comprendevano immediatamente la sua essenzialità. “Dammi da bere” chiede Gesù seduto sul bordo del pozzo ad una donna della Samaria, una regione pagana per i Giudei. “Dammi da bere...ho sete!” Cosa voleva dire Gesù con quelle parole? Che cosa cercava in realtà? La sete di Gesù non è solo sete d’acqua, acqua materiale. No!

La sua sete rimanda fin da subito a qualcos’altro, come era solito fare il Maestro quando si rivolgeva ai suoi interlocutori, anche casuali: “Dammi da bere” - dice alla donna - cioè “dammi la tua acqua”, “dammi la tua sete”, “dammi il tuo desiderio di vita”. Ecco cosa chiede!
Un Giudeo dunque che cerca una Samaritana, un uomo che cerca una donna, o meglio un’amante e sposo che va in cerca della sua sposa-amante, commentano i Padri della Chiesa nel leggere questo racconto. Gesù è l’uomo che va in cerca di chi cerca, che desidera chi desidera, che ha sete di chi ha sete. Egli brucia le tappe di una normale conversazione, non ha tempo da perdere, non ha tempo per convincere, per mediare, per trattare, non ha tempo di fare conferenze o dimostrazioni o catechismi! Va, come si dice, subito al sodo.

Bussa improvvisamente e con decisione alla vita di quella donna, alla porta della sua irrealizzazione, della sua insoddisfazione più profonda che forse non ha mai avuto il coraggio di rivelare neanche a se stessa. Gesù la provoca per condurla proprio lì, al cuore di quel mistero, che sembra mettergli paura. E’ stata colta di sorpresa, almeno all’inizio.

Ma quando, di fronte alle domande e alle risposte sempre più incalzanti di Gesù, le difese della Samaritana crollano e la donna (una donna libera) confessa tutta la delusione, l’impotenza, il fallimento nei confronti della vita (i 5 mariti avuti in passato!), allora l’incontro con l’inaspettato profeta giunge al punto cruciale. E’ lui l’acqua che la Samaritana cerca, è lui l’acqua che disseta la sete di chi, stanco del superfluo, del contingente, dell’effimero, dell’inutile, va in cerca dell’essenziale, di ciò che conta, di ciò che è utile e vitale; è lui l’acqua di chi si sente in questa vita ancora inappagato, di chi si sente come un “naufrago” che, appena approdato sulla terra ferma, si mette subito alla disperata ricerca di una sorgente e non si ferma fino a che non l’ha trovata. Ora la donna può dirsi soddisfatta, perché può finalmente bere e dissetarsi di quest’acqua.

Il messaggio allora supera lo spazio e il tempo per giungere fino a noi: questa è l’acqua che serve all’umanità, ma questa è l’acqua che serve alla Chiesa, di oggi e di tutti i tempi.  Così, nel suo sogno di Chiesa, il cardinal Martini, grande profeta del nostro tempo, indica il pozzo dove essa può e deve estrarre la sua acqua, un’acqua viva e zampillante:

“La Chiesa della vecchia Europa - dice Martini - ha proprio bisogno di novità e di una ventata di aria fresca. E’ rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? C’è bisogno di una Chiesa più umile, povera, meno dipendente dai condizionamenti dei poteri di questo mondo, siano essi economici o sociali, politici o culturali; c’è bisogno di una Chiesa più aperta e disposta a confrontarsi con le esigenze, le problematiche e i dubbi del tempo presente; infine c’è bisogno di una Chiesa più giovane e capace di intercettare le domande di quanti si affacciano alla vita”.

Il coraggio, quindi, anziché la paura; il rischio della fede anziché le certezze umane, per quanto puntellate da principi dogmatici; l’inquietudine dell’anima piuttosto che un’anima paralizzata e insensibile, rassegnata ad “accontentarsi” di quella poca acqua che la vita gli offre, pur sapendo che accontentarsi è come morire in vita, è rinunciare alla vita, è smettere di sperare quando è possibile essere dissetati dalla vita.
Questo è il pozzo da cui attingere, questa è l’acqua che disseta ogni uomo, in eterno...


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