cultura

Anna Marchesini e Orvieto, le ali di carta di chi è "obeso di vita"

martedì 2 agosto 2016
di Davide Pompei
Anna Marchesini e Orvieto, le ali di carta di chi è "obeso di vita"

Il freddo addosso, l'inverno a fine luglio. Lo stesso mese che ha spento il vulcano Zaira, ha acceso il tornado Anna Rita. Tra buio e luce, un fulmine ha messo a fuoco l'impensabile e in moto "il tritacarne dell'informazione". I suoi scatti invadenti, le frasi fatte a cui condanna il mestiere. E poi la pioggia battente di parole, immagini, filmati riproposti di cui non si aveva neanche più memoria. Un fiume ininterrotto di ricordi, condivisioni ed emoticon, sui social incapaci di rendere giustizia agli stati d'animo reali.

Con la voracità bulimica dei tempi moderni. Con la rapidità che anestetizza pensieri ed espressioni, non consente di capire eppure spinge a parlarsi addosso. Per sentirsi meno soli, forse, e parte di una comunità. Figli di quella stessa città, bellissima e incapace di amarsi. Che continua inquieta a rivoltarsi nella sua crisalide, imprecando contro la mediocrità di un'esistenza da bruco anziché spiegare, vanesia, le ali di farfalla che possiede.

Sono volate via dalle pagine di un libro, quelle di Anna Marchesini. Attrice, non solo comica, autrice, doppiatrice e regista sì, ma anche lettrice, raffinata e esigente, di letteratura. E scrittrice, d'una parola dosata, che stava ultimando di scrivere il quarto. Non è difficile rintracciare echi e scorci di luoghi e persone del luogo ne "Il terrazzino dei gerani timidi". Il secondo "Di mercoledì" lo aveva presentato sabato 5 maggio 2012 a Orvieto – con la E orgogliosamente aperta – dove era ritornata domenica 1° dicembre 2013 per "Moscerine". In quelle pagine, la narrazione esalta aspetti microscopici, talvolta invisibili dell'esistenza.

"Mentre ci disponiamo ad osservare il disegno che incessantemente la vita traccia sulla tela dei personaggi – annotava – una sequela di accenti di cui non ci siamo accorti, uno scivolone, una carezza involontaria, una luce accesa nella casa di fronte, hanno mutato del tutto la scena. E così a cucire le trame dei destini della vita ma anche della morte è un filo invisibile di fulminee irrilevanze, moscerine appunto, in grado di travolgere gli eventi e di precipitare i personaggi da situazioni sentimentali in disgrazie irresistibilmente comiche o così indicibilmente tragiche da sfiorare la farsa".

La passione per la vita – compresa quella degli altri – portata sul palco, casa dell'attore, specchio di virtù e difetti dell'esistenza. Gli altri, che si appassionano alla sua di vita e a una galleria di oltre cento personaggi, nati dal ribaltamento grottesco di particolari della quotidianità, vista, vissuta, spiata, fortemente ispirati dall'ambiente di una provincia schietta e imbarazzante, a cui "la più grande comicarola del ventesimo secolo" come la definì Fellini, è riuscita a dare voce e corpo.

Fuoriclasse capace di un'ironia fatta non solo di macchiette. Intellettuale complessa e completa. Dalla simbiosi con i due terzi del Trio, sciolto un po' a sorpresa nel 1993, ad una solitudine popolata di monologhi interpretati magistralmente. "Giorni - comunque - felici", i suoi, fino a marzo. Fino all'ultimo. Magrissima, in ultimo, eppure "obesa di vita", Anna si era riconciliata con tutto quel tufo e la sua gente, che ogni giorno deve trovare un motivo per restare. Partire, tornare. Aveva espresso il desiderio irrealizzato di recitare nel teatro della sua città, che, in fondo, non ha mai smesso di amarla, seguirla, aspettarla.

Al suo arrivo in Piazza della Repubblica - insieme alla famiglia, stretta e allargata, e alla figlia con lo stesso abito dell'ultimo spettacolo, quasi un omaggio di continuità alla vita - nemmeno il cielo ha trattenuto le lacrime nel rivederla. Le ha asciugate il sole sciogliendo in un sorriso e un applauso grato quel nodo che per tre giorni si è stretto in gola. Nessuna beatificazione postuma. Qui, ognuno l'ha sempre sentita po' "sua". Questi luoghi hanno e avranno comunque memoria di Anna. Le strade conservano il rumore dei passi di chi li ha percorse. E dalle finestre, con il dialetto dei femminili plurali, ci sarà sempre una voce pronta a ripetere: "Regazzì, ch'emo fatto la latrina? Va 'mpo' a piscià a casa tua! Più c'honno le sòrde, più villane so. Alò".