cultura

Arco di Platino a Paolo Genovese: "Quanta vita si nasconde nei cellulari dei Perfetti Sconosciuti"

giovedì 28 luglio 2016
di Davide Pompei
Arco di Platino a Paolo Genovese: "Quanta vita si nasconde nei cellulari dei Perfetti Sconosciuti"

David di Donatello, Nastri d'Argento, Ciak d'Oro, Globi d'Oro, riconoscimenti al Tribeca Film Festival, al Bari International Film Festival, al Premio Flaiano. Sulla bacheca di Paolo Genovese, da lunedì 25 luglio, si aggiunge anche l'Arco di Platino Città di Montefiascone consegnatogli dall'assessore alla cultura in occasione della decima edizione di Est Film Festival. Potere di una pellicola pigliatutto come "Perfetti Sconosciuti" che arriva dopo il garbato "Tutta colpa di Freud", anni dopo l'esordio tutt'altro che lineare nel mondo dei corti.

"Il premio – afferma il regista e sceneggiatore romano approdato al cinema dopo l'esordio da pubblicitario con una laurea in Economia e Commercio – è il segno del riconoscimento che si è fatto qualcosa di buono. Intorno a questo film si è concentrata un'alchimia fortunata e positiva. È piaciuto al pubblico e alla critica ed è la prima commedia italiana che ha ottenuto il premio come migliore sceneggiatura al festival fondato, dietro una spinta emotiva molto forte, da Robert De Niro, dopo gli attentati dell'11 settembre.

È un riconoscimento al nostro cinema. Il fatto di portare un pezzo di Italia fuori dai confini mi rende molto orgoglioso. Qui, c'è molta confusione sul concetto di commedia. All'estero la definiscono più appropriatamente 'dramedy', una felice fusione di dramma e commedia. Il film comico serve a far ridere, la commedia è un prodotto più complesso. In capisaldi della commedia all'italiana, come 'La grande guerra' e 'Il sorpasso' si muore, convivono riso e romanticismo come generi armonizzati tra loro".

In questo senso, "Perfetti Sconosciuti" disponibile da mercoledì 8 giugno anche in DVD può fregiarsi a pieno titolo dell'appellativo di commedia. "Ettore Scola – prosegue – mi ha insegnato che quando si racconta una storia, l'importante è avere un'idea narrativa. La tecnica, viene dopo. Dopo oltre un secolo di film, la difficoltà è nel trovare temi che non siano già stati trattati da altri. Temi e sentimenti sono universali, ma bisogna trovare un punto di vista originale, un angolo d'azione interessante per raccontare. Spiare l'ennesima storia d'amore da una visuale inedita.

'Perfetti Sconosciuti' era nel mio cassetto da più due anni. Insieme alla riflessione di Gabriel Garcia Marquez, che poi è diventata il sottotitolo del film, secondo cui ognuno di noi ha tre vite. Una pubblica, una privata e una segreta. Pensando a quanto era capitato a un amico, l'idea che abbiamo avuto è quella che oggi la vita segreta è racchiusa nello smartphone. Il cellulare è la scatola nera della vita". E tanto basta per fare un buon film – "il più faticoso" – quasi statico nei confini di un appartamento con terrazza ma che, in esatta antitesi del piano sequenza, vive di un'idea semplice quanto geniale.

"Mai affrontata – aggiunge Genovese – così nel dettaglio e sdoganata mediaticamente. Noi siamo stati la generazione del citofono. L'intento, senza giudizio o forse sì ma implicito, era quello di riflettere su come un oggetto possa cambiare le relazioni e su quanto rendere pubblico, nel corso di una cena tra amici, ciò che transita su quello strumento finisca per generare una sorta di psicanalisi di gruppo". Con esiti, evidentemente, tutt'altro che inaspettati.

Sono lì raccolti dati, numeri, foto e segreti. "Non solo amanti, corna e tradimenti, sarebbe stato banale. Ma anche tutto quello che non vogliamo dire". La vita vera, reale anche se nascosta. Le dinamiche sono le stesse, ma il fuoco è sull'oggetto e su come sta cambiando la vita. Questa, l'idea consegnata a un cast stellare di sette personaggi. Tre coppie e uno scompagnato, sempre presenti in scena: Edoardo Giallini (Rocco) e Kasia Smutniak (Eva), Valerio Mastandrea (Lele) e Anna Foglietta (Carlotta), Edoardo Leo (Cosimo) e Alba Rohrwacher (Bianca), Giuseppe Battiston (Peppe) senza la sua "Lucia".

"Ho lavorato con loro nella costruzione del personaggio, per trovarne l'anima senza plasmarlo. L'essenza di un attore è quella di essere altro. Ci hanno riempito di domande, sono stati molto esigenti ma hanno fatto un ottimo lavoro. Non si può replicare il contenuto del film, semmai l'ideologia. A 'Immaturi' era seguito l'anno successivo 'Immaturi – Il Viaggio'. La storia di quei personaggi dove ancora essere raccontata.

Qui, la situazione è differente. Sono stati venduti i diritti, ma non farò alcun sequel. Il rischio è snaturare un prodotto per farne una fotocopia sbiadita, per sole logiche di mercato. Se un film non ha più nulla da raccontare, rischia di non essere onesto. Si può copiare il contenitore, non il contenuto. Un buon produttore non cerca di rifare film sui telefonini ma produrre pellicole originali con una buona storia e, perché no, una buona dose di rischio nel dare agli spettatori non ciò che necessariamente piace, ma ciò che non sanno ancora potrebbe piacere loro".