cultura

Rosa Matteucci parte da e torna a Orvieto per raccontare la sua "Costellazione familiare"

domenica 14 febbraio 2016
di Davide Pompei
Rosa Matteucci parte da e torna a Orvieto per raccontare la sua "Costellazione familiare"

"Ancora una volta, con il consueto, lucido puntiglio e con quella lingua ardita e immaginosa che è soltanto sua, Rosa Matteucci mette in piedi un teatrino degli affetti al tempo stesso struggente e grottesco, dove allo strazio si alterna continuamente il riso". La sintesi che accompagna la nuova pubblicazione si conferma tale sabato 13 febbraio nella Sala del Governatore del Palazzo dei Sette, a colloquio con Roberto Conticelli e Paolo Mauri.

Presidente dell'Ordine dei Giornalisti dell'Umbria ma anche suo compagno di scuola, ai tempi del liceo Gualterio, con il vocabolario di greco che arrivava fino alla lettera Psi, il primo. Critico letterario, orvietano d'adozione, il secondo che nel parlare del libro anticipa in parte la recensione che sarà pubblicata a giorni su "La Repubblica", definendolo senza mezza termini "il romanzo dei romanzi" fra i sette che Rosa Matteucci ha all'attivo. "Multi-strato, pieno di echi, che continueremo a interrogare a lungo. Come in una giostra, tutto torna e si riassapora. Le cose della vita possono essere vissute, ricordate o coltivate altrove".

Quattro, quelli pubblicati per Adelphi, "l'editore che ha fatto dello snobismo un catalogo", abbandonato solo per partecipare al Premio Strega, che giovedì 11 febbraio – nel giorno non casuale della Madonna di Lourdes (come il titolo del primo libro) che precede l'anniversario della morte della madre – ha fatto arrivare sugli scaffali di tutta l'Italia, "Costellazione familiare". La prima nazionale – un battesimo, un segno di grata riconoscenza verso il luogo delle origini e, forse, anche una scaramantica tradizione da onorare come nel 2010 e ancora nel 2012 – è con il pubblico di casa.

Anche adesso che, da 17 anni, vive a Genova, torna a Orvieto annunciata ospite della 21esima edizione della rassegna "Il Libro Parlante", promossa dalla Libreria dei Sette – Mondadori Bookstore con il patrocinio del Comune. Dopo la tappa orvietana, le 167 pagine fresche di stampa saranno presentate domenica 14 febbraio alle 16.30 in un altro luogo "di famiglia" come la Libreria Novarea di Montefiascone. E poi venerdì 19 febbraio alle 18 alla Libreria Lovat di Trieste.

Qui, vive la sorella Francesca. Astrofisica, di otto anni più grande. A cui intende dedicare il suo prossimo lavoro. "Finora la sua storia non c'è stata mai. Ma abbiamo avuto biografie parallele, l'ho conosciuta da grande e ho trovato una persona di una profonda intelligenza, oltre che molto bella" dice con accento tutt'altro che genovese parlando al luogo delle radici di una prosa che è specchio di un tormento interiore. Di una storia d'altri tempi – ottocenteschi, quasi – iniziata nell'elegante Villa di Canale e proseguita nelle losche campagne del paese P.

Della cornice di splendori e miserie esistenziali, del riscatto emotivo dalla decadenza familiare. E della tristezza che oggi avverte verso una Rupe resa morente, anche dalla globalizzazione. "Sono particolarmente emozionata – rivela però – di essere qui, come se fosse la prima volta. Ci tengo molto a dire che sono di Orvieto. Per me è un orgoglio. Orvieto è stata teatro di grandi dolori e tragedie familiari. Ma il dolore non viene per niente. Occorre lavorarci su. Io l'ho fatto e, dopo un lungo lavoro di introspezione, sono felice di aver rimesso insieme i pezzi e di essere viva. Chi mi leggerà proverà sensazioni diverse dalle mie, ma avrà un po' della gioia che ho avuto mentre scrivevo".

"Ed io – prosegue – non ho mai voglia di scrivere. Sono insofferente, sto scomoda, mi annoio. In un lavorio inconscio, inizio a covare immagini e parole. A quel punto devo sedermi e iniziare a scrivere. Le prime stesure sono febbrili, abbandonate e poi riprese, le gestazioni lunghe. Per 'Costellazione familiare' ci ho messo quasi tre anni. Doveva essere pubblicato a gennaio di un anno fa".

Di questa costellazione – dichiaratamente e ironicamente distante dai metodi psicodrammatici di Hellinger – fanno parte anche gli animali. "Al momento non possiedo ne cani, né gatti – dice – ma ho un ottimo rapporto con loro. A Genova, dove vago dichiarandomi scrittrice orvietana, parlarci è stata la chiave di volta per socializzare con gente resa diffidente dalla conformazione urbana della città. Quello che ci differenzia dagli animali è che noi pratichiamo il culto dei morti. La mia vicenda letteraria è un praticare. Oltre al ricordo di mia madre, c'è anche una piccola corte di anime a quattro zampe, con nomi e cognomi di famiglia, che mi seguono".

"Gli impliciti richiami ai romanzi precedenti – psicanalizza Mauri – denotano una certa ossessione della famiglia che non nasce qui, ma indietro nel tempo. Qui, semmai si costruisce una sorta di equilibrio. La narrazione consiste nel sublimare quello che è accaduto alla protagonista. Nel primordiale impasto delle minuzie, si annusa il senso della vita e anche il suo rapporto con il territorio. C'è pudore nel parlare di luoghi che sono suoi e forse anche un po' di risentimento perché lì è accaduto qualcosa. La verità letteraria è percorsa da questi fremiti e sorretta da una raffinata scelta lessicale. Un linguaggio non popolare, che aumenta il piacere della lettura. Si indugia sulle frasi, non si ha fretta di vedere come procede la storia". Una storia di famiglia.