cultura

"Giobbe o la tortura dagli amici". Il Medioevo va in scena a Palazzo Filippeschi Simoncelli

mercoledì 20 gennaio 2016
di Davide Pompei
"Giobbe o la tortura dagli amici". Il Medioevo va in scena a Palazzo Filippeschi Simoncelli

"Come potrebbe il male farci tanto male se non avessimo prima udito la promessa del bene?". È la domanda – non la sola – che sottende il testo del filosofo franco-tunisino, di origine israelita, Fabrice Hadjadj "Giobbe o la tortura dagli amici".

Ne fa uno spettacolo altrettanto potente, lunedì 25, martedì 26 e mercoledì 27 gennaio alle 21.15, nel quartiere più antico di Orvieto promuovendolo a palcoscenico naturale – con il sostegno di Corsia Of Centro di Creazione Contemporanea - Residenza Artistica Nazionale ed il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – l'associazione culturale Kamina Teatro e Studio d'Arte Fede e Storia.

Insieme di artisti che si occupano principalmente della memoria e delle sue applicazioni storiche, rappresentative, narrative, musicali, drammaturgiche e poetiche, delle forme spettacolari legate a tradizione e inter-cultura, della pedagogia della rappresentazione e di quella del paesaggio e del territorio, la prima.

Progetto del Gordon College di Orvieto creato per la promozione di eventi culturali con lo scopo di esplorare il ruolo della fede nell'arte e dell'arte nella fede, recuperando la capacità di provocare un incontro con i temi e la narrativa della Sacra Scrittura e della Tradizione, il secondo. In comune, la speranza di recuperare – riscattare – la teatralità medioevale nelle svariate sue forme.

Nasce così una rivisitazione contemporanea e creativa del mito di Giobbe, che rispetta il testo biblico ma con effetto grottesco, al confine fra tragicità e comicità che pure non sfocia mai in risata. Un'indagine sul teatro, sulla condizione stessa dell'attore, in un luogo che si fa detonatore di un certo cuore cittadino.

"La chiesa di San Giovenale e le sue più significative adiacenze come Palazzo Filippeschi Simoncelli, con il chiostro al civico 22 di Via Malabranca – spiega l'attore trevigiano Andrea Brugnera, ad Orvieto ormai dal 1994 – è uno dei luoghi deputati, come si chiamavano allora, che ha già visto nel XIII-XV secolo sorgere e realizzarsi in questa città uno dei maggiori fenomeni appartenenti alla drammaturgia delle origini. E cioè le forme della Lauda, della Sacra Rappresentazione e del Mistero o 'Moralità', condivise nella stessa epoca con Assisi, Perugia e Todi, che più tardi, diffondendosi, svilupperà il Teatro Italiano e quello Europeo".

"Orvieto – osserva – è un'amante faticosa. Sintesi di natura e storia. E dell'uomo". Saranno cinque quelli impegnati nello spettacolo, pronti a indossare anche abiti femminili, così come avveniva anticamente quando l'arte teatrale era preclusa alle donne. A lui, quelli di Giobbe. Al suo fianco, Michele Nani che sarà Dio, ma anche moglie, padre e amico di Giobbe. E poi Giorgio Donati (Satana, infermiere, Zofar), Raffaele Ottolenghi (Elifaz, la passante) e Antonio Micori (musicista dal vivo, infermiere). Collaborazione scenotecnica, Piero e Matteo Ottusi. Collaborazione scenografica, Salvatore Ravo.

Coadiuvato da Massimiliano Burini, firma la regia Bolo Rossini. "Nello spettro emotivo teatrale – annota – la tragedia è molto prossima alla comicità. In quella linea che unisce e separa gli stati ritmici delle due differenti situazioni c'è, sottile come lama di rasoio, il sentiero dell'autoironia. Per arrischiarsi in quei passi di vetro occorre non temere i due abissi che costeggiano: la comicità, con le sue leggi rigorose e spietate, e la tragedia, antica come l'uomo e anche di più. Occorre invece bagnarsi nell'uno e nell'altro mare, permearsi insieme dell'uno e dell'altro umore. Solo dall'accettazione serena della Crisi nascerà quella forza che spinge lieve l'acrobata fino a destinazione. Fino al pubblico.

Indipendentemente dall'orientamento confessionale di ognuno, Giobbe ci sta dando la possibilità di percorrere quel sentiero perché da sempre incarna, nelle sue multiformi apparizioni e ricorrenze all'interno di ogni cultura popolare, semitica e non, la domanda originaria dell'uomo alla Vita: come mai la nostra esistenza - che è anche dono - debba essere così spietatamente intrisa di sofferenze. È in questa tesissima dialettica che l'indagine sul dolore e sulle sue manifestazioni, trova la sua risoluzione più acuta. La diabolica tortura, che giunge al protagonista proprio dai più prossimi, dai suoi amici, testimonia come le forze che governano le nostre vite e i nostri sentimenti siano in costante mutamento e ci costringano, ogni volta, a quel misterioso e gioioso atto di fedele accettazione".

I ringraziamenti degli organizzatori vanno fin da ora a John Skillen per aver sostenuto il progetto in primis, Natsuko Tomi per il lavoro di amministrazione in corso, e padre Alessandro Fortunati, per alcuni preziosi consigli e la messa in proposta del testo. Quaranta, i posti disponibili.

Per ulteriori informazioni:
Kamina Teatro
0763.340162 – info@kamina.it 
329.1911512 – 329.2003307