cultura

Il Ponte della Nona, il Calendario e la Pasqua

giovedì 1 aprile 2010
di Silvio Manglaviti, Società Geografica Italiana
Il Ponte della Nona, il Calendario e la Pasqua

Etruschi, calendario, luna e fiere. Il calcolo della maggiore festività del mondo cattolico e uno dei più grandi cosmografi del cinquecento, Egnatio Danti, autore della prima rappresentazione cartografica del territorio orvietano che si conosca

C'è un momento del Tempo in cui sul nostro pianeta accade qualcosa di straordinario.
Al ritorno di una maggiore luminosità del cielo, all'allungarsi della permanenza del sole durante il giorno e, di conseguenza, all'aumento del calore, sulla terra si risveglia la vita, creduta morta - da alcuni - e per questo si tratterà ora di una resurrezione naturale; per altri, soltanto momentaneamente sopitasi nell'inverno trascorso. Il computo del tempo è pratica ancestrale, legato ai cicli stagionali lunisolari (e siderei) ed è intimamente connesso alla disponibilità di risorse che il pianeta rende periodicamente disponibili in quantità variabili: acque e prodotti della terra (pascoli e selvaggina inclusi).

Conoscere, riconoscere il momento in cui ciò si viene a verificare, cioè quando abbia inizio la stagione in cui tutte le forze della Natura agiscono concomitanti (acque del disgelo e meteoriche; tepore ed incidenza delle radiazioni solari): la primavera, rappresentò da sempre uno dei principali obiettivi del potere. La primavera tornava (l'imperfetto oggi è d'obbligo) ogni anno e con essa la vita a rinascere, in un ciclo di sviluppo, maturazione, decadenza e morte legato a quello di luce e tenebra, di riscaldamento e glaciazione che si riproponevano periodicamente. Conoscere e codificare questi cicli per sfruttare appieno e al meglio l'opportunità della rinascita naturale divenne necessità, per la possibilità di controllare ed acquisire risorse. L'equinozio di primavera, momento topico del Tempo, rappresenta dunque il passaggio dalla stagione del freddo, del gelo, della natura caduta in quiescenza, dell'oscurità e del buio a quella del risveglio, della rinascita, della luce, del calore, dell'abbondanza di risorse.

Fino a tutto il XVI secolo, in Occidente, l'avvento della primavera era stabilito al 25 di marzo, secondo un computo cronologico definito dal calendario detto giuliano. La stagione primaverile, nel mondo occidentale, si identifica con la celebrazione della Pasqua e, nel Cinquecento (ma già nel secolo precedente) la data fissata al 25 marzo per l'avvento della primavera non trovava più corrispondenza con l'equinozio. Ciò scompaginava così anche la celebrazione pasquale cristiana legata all'equinozio stesso.
La Pasqua è la festa più importante del Cristianesimo: fissa il momento in cui Cristo risorge dopo essere stato braccato, catturato, processato, condannato e giustiziato sulla croce proprio nel tempo in cui il mondo ebraico (Gesù è un rabbi ebreo) celebrava la propria Pesach: il ‘passaggio'. Questo è l'evento cardine della cultura ebraica che ricorda l'attraversamento del Mar Rosso - nelle cui acque Dio aprì un varco - da parte del ‘popolo eletto' in fuga dalla cattività in Egitto guidato da Mosè, che poi sul Sinai stipulerà l'Alleanza. Gesù nella propria Pasqua costituirà la Nuova Alleanza che passerà ai cristiani e ai cattolici. La Chiesa cattolica romana distingueva tra ricorrenze e celebrazioni. Le ricorrenze avvengono secondo date convenzionali fisse: ad esempio, il Natale. Le celebrazioni invece, secondo date mobili da calcolare di volta in volta, riguardano eventi di particolare rilevanza poiché legate al ritorno di Cristo e alla fine dei tempi: la Pasqua appunto. Detto ciò, si può capire l'importanza riservata al calcolo esatto della festività pasquale. Per inciso va ricordato che Lutero sosteneva al contrario che la Pasqua, riguardando la Resurrezione di Cristo, era una questione di fede e non di calcoli e che pertanto avrebbe potuto benissimo essere festeggiata come ricorrenza, facendo riferimento al contenuto simbolico della questione.

La Pasqua cristiana comunque si celebra intorno al periodo primaverile, più o meno prossima all'equinozio di primavera. La primavera è il momento della Pasqua ebraica e gli ebrei, che si basano su un calendario lunare, hanno adottato un sistema per compensare le incongruenze nella misurazione tra anno lunare e anno tropico che non avrebbero consentito di far coincidere Pasqua e primavera. Si tratta di un sistema di calcolo cabalistico basato su regole fisse, non poco farraginoso a dire il vero, per cui le date di Pasqua e primavera sono stabilite a priori e indicate dai rabbini alle comunità. Si è detto che la Passione di Gesù avvenne durante la Pesach; si è detto anche che i cristiani celebrano la Pasqua di Resurrezione; il risultato è che Pesach ebraica e Pasqua cristiana si discostano di almeno due giorni. Il punto è che le prime comunità cristiane per celebrare la loro festa più importante dovevano far ricorso per forza ai rabbini (dunque in un contesto di antagonismo e rivalsa, si capisce): dalla data della Pesach si poteva derivare quella della Pasqua (alcuni eretici, per semplificare ed evitare di rivolgersi agli ebrei, scelsero di unificare le due date). Da qui, necessariamente, l'esigenza di poter calcolare in autonomia e con la massima precisione tale data.

La Pasqua di Resurrezione è da celebrarsi la prima Domenica del primo plenilunio dopo l'equinozio di primavera. Secondo il calendario giuliano (da Giulio Cesare) vigente l'equinozio di primavera cadeva il 25 marzo. Giulio Cesare, intorno al 45, 44 a.C. (anno della morte), nelle vesti di pontefice massimo, al vertice della maggiore potenza geopolitica del mondo conosciuto e nel Mediterraneo fece riformare il computo del tempo che non tornava (già all'epoca) e affidò il compito a Sosigene, matematico della somma scuola di Alessandria d'Egitto, che calcolò l'anno in 365,25 giorni. Cesare promulgò il calendario che sarà costantemente revisionato dai suoi successori, a cominciare da Augusto. La riforma giuliana riprendeva il calendario egizio riformato dal decreto di Canopo e fissava l'inizio dell'anno il 1º gennaio invece del 1º marzo. Il modo di contare i giorni perpetuò quello della tradizione romana, contando i giorni che mancavano ad alcune festività fisse (Calende, None e Idi); il numero progressivo dei giorni sarà introdotto dai Visigoti ed ufficializzato soltanto con Carlo Magno. Il Cristianesimo, poi, concretizzerà la consuetudine popolare di indicare con il nome del santo il giorno in cui si venerava.

Il calendario giuliano è un calendario solare basato sul ciclo delle stagioni. Soppiantò il tradizionale calendario romano, forse basato sul calendario lunare greco, istituito nel 753 a.C. da Romolo, fondatore di Roma. Il calendario romano era un calendario lunare diviso in dieci mesi con inizio alla luna piena di marzo (il 15); cambiò forma diverse volte fra la fondazione di Roma e la caduta dell'impero romano: ce ne dà testimonianza Macrobio nella I giornata dei Saturnalia. Già Numa Pompilio, secondo dei sette re di Roma, modificò il calendario nel 713 a.C., aggiungendo i mesi di gennaio e febbraio ai dieci preesistenti. I Romani, verosimilmente mutuando dagli Etruschi, adottavano una settimana di otto giorni, i quali erano contrassegnati dalle lettere dalla A alla H: tale settimana veniva chiamata ciclo nundinale ed era cadenzata dai giorni di mercato, le cosiddette nundinae (da novem dies, da cui l'aggettivo nundinale per scandire la periodicità settimanale di nove giorni). Il ciclo nundinale scandiva la vita quotidiana; nel giorno del mercato, della fiera, in città si riversavano mercanti da ogni dove e gli agricoltori per vendere i prodotti della campagna, che venivano acquistati per durare almeno otto giorni, fino alle successive nundine: insomma, come oggi che si va al centro commerciale ogni sabato.

Una digressione sulle nundine la merita il nostro Campo della Fiera, dove è riemerso il Fanum Voltumnae di Velzna-Orvieto, il campus nundinarum individuato già in Perali. Poco più a valle si trova la Nona, che dà nome al fosso discendente dalla Rocca, all'Albergo, al Ponte e al Mulino. Questa Nona - generalmente letta come antica misura di distanza da Roma (nona stazione di posta) - andrebbe invece approfondita come sito della chiusa sul fosso che raccoglieva le acque dalla Rocca e dal Montacchione/Rio Chiaro (quest'ultimo, nel Campo della Fiera: dove riceve il Fanello, altro interessante idronimo collegabile al Fanum e che ritroviamo sull'Alfina). Le nonae, le piscinae ("ponti su strade che incrociano fiumi"; Solari) sono chiuse che servono a far crescere il livello delle acque a monte per consentire la navigabilità a valle, una volta aperte (‘travate d'acqua', per il controllo del flusso e del pescaggio). Prendono il nome dalle Nonae, i periodi di luna nuova (Varrone), di buio, quando tutto si ferma ed anche i mercanti e i viaggiatori sono fermi e le nonae sono chiuse; saranno riaperte all'Idus, le Idi, con la ricrescita della luna verso il plenilunio - il medio mense lunare (Macrobio) - e merci, mercanti e viaggiatori si rimettono in movimento: la situazione topografica e toponomastica orvietana pare fatta apposta e non è un caso isolato. Oltre a S. Isidoro, per cui "nonae a nundinis vocatae", ritroviamo Tor di Nona, Ponte di Nona e tutte le ad nonas/ad novas degli itineraria (Solari). La navigabilità dei fossi era fondamentale e gli Etruschi "maestri di idraulica", citando il nostro archeologo Claudio Bizzarri, conoscevano bene le tecniche di regimazione. Accrescendo il livello e controllandone il regime delle acque dei fossi Montacchione/Fanello o Romealla, si potevano movimentare grossi quantitativi di merci, provenienti dal campus nundinarum e dall'Alfina, che venivano convogliate attraverso il Paglia su Palliano, scalo principale sul Tevere, navigabile (Plinio) da e verso Roma e l'interno tuderte-perugino. Le nonae, le chiuse, erano diverse sul corso dei torrenti e dei fiumi. Restano a testimonianza i toponimi che individuano le zone che potevano periodicamente essere inondate: da caius, terreno inondabile, Caio (non lontano da Palliano), forse Ancaiano (che indicherebbe la navigabilità anche del Chiani ed il collegamento con la Val di Chiana, Chiusi, Cortona e Arezzo e oltre ancora nell'Arno).

Il toponimo orvietano de La Nona offre un serio contributo all'indagine sul Fanum e su Velzna. Orvieto, testimonia con il mantenimento di riferimenti geografici storici, rilevabili anche sulle antiche carte dal Cinquecento in poi, l'importanza di siti come il Campo della Fiera e la Nona. La fiera, dunque, fulcro della vita sociale delle comunità. Il luogo dello scambio per eccellenza. La Lex Hortensia (287 a.C), che vietava i comizi e le elezioni nel giorno della fiera, pur consentendo lo svolgimento delle cause, ci dice l'importanza del giorno di mercato fino a ritenere, agli inizi del periodo repubblicano, infausto cominciare l'anno in quel giorno e il pontefice massimo, responsabile della gestione del calendario, doveva adottava le opportune misure a prevenzione: cosa che Cesare fece, consentendo poi di passare dal ciclo nundinale ottonario alla settimana di sette giorni, entrata in uso agli inizi del periodo imperiale.

Sole, luna, nundine e none: fondamenti pasquali. Costantino sostituì successivamente la dies solis con la dies dominica, stabilendo anche che fosse giornata di riposo. Settimana ebraica, nomi dei giorni da divinità pagane, dai cristiani i giorni di sabato e domenica: sincretismo totalizzante. Costantino è anche responsabile del Natale cristiano, in quanto stabilì nel 330 quanto già avviato da Aureliano che consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, in una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti. Sol, Eliogabalo, Mitra, Ra egizio: il sole, un dio universale. Sabato, la festa degli ebrei, la Pesach, diviene per i cristiani il Sabato Santo nel Sepolcro (il venerdì antecedente si è consumata la Passio e il crucifige), la tenebra. Il giorno del Signore, la Domenica, si disvela il Sepolcro vuoto del Cristo veramente risorto: è la Pasqua. La prima Domenica del primo plenilunio dopo l'equinozio di primavera. Quando le none sono aperte.

Col trascorrere dei secoli lo scarto di Sosigene e le compensazioni bisestili avevano fatto accumulare un considerevole scompenso tra data fissa ed equinozio vero. Matematici e cosmografi divennero a questo punto di primaria importanza nel contesto culturale e scientifico del potere. Da Copernico a Brahe da Galilei a Cassini, molti scienziati in auge saranno impegnati nella ricerca della soluzione. Ma già da prima, con Egnatio Danti, avocato da Gregorio XIII nella Commissione per la riforma del calendario con Clavius. Danti, grazie ai calcoli dell'altezza del Sole, effettuati con strumenti appositamente predisposti sulla facciata di Santa Maria Novella in Firenze prima e con una meridiana a foro gnomonico nella Torre dei venti in Vaticano poi, ruscì a dimostrare lo sfasamento di circa 10 giorni, esistente tra l'effettiva posizione del Sole e quella misurata dal calendario giuliano. Il nuovo calendario entrò in vigore il 15 ottobre 1582 (5 ottobre 1582 secondo il calendario giuliano), stornando i 10 giorni in eccesso.

Padre Egnatio Danti, dell'Ordine dei Predicatori, i Domenicani, è uno dei maggiori cartografi del XVI secolo; fu cosmografo del granduca Cosimo I a Firenze - restano oggi alcune sue realizzazioni in Palazzo Vecchio, nella Cattedrale di S. Maria del Fiore e a S. Maria Novella -. Lettore di Matematiche allo Studium fiorentino e in quello di Bologna, sarà chiamato a Roma da Gregorio XIII per curare l'apparato geo-iconografico della Galleria delle Carte Geografiche oggi nei Musei Vaticani e realizzare la Torre dei Venti; eseguì rilievi e calcoli per il posizionamento dell'obelisco in piazza S. Pietro. Fu vescovo di Alatri. È l'autore della prima carta relativa al Territorio di Orvieto intitolata a Monaldo Monaldeschi della Cervara, l'autore dei Commentari Historici (vrbisveteris antiqvae ditionis descriptio, in Bollettino I.S.A.O., L - LVII, 1994 - 2001; Orvieto 2002).