cultura

Donne nella CGIL – Una storia lunga un secolo. Uno sguardo oltre l’immagine

domenica 1 aprile 2007
di Ambra Laurenzi
Di questi tempi bisogna che ci si ricordi cosa sono le donne e cosa possono essere; si tratta del loro posto nella società. Quel profondo e fondamentale posto nella società. (Dorothea Lange) Dorothea Lange ha iniziato la sua attività di fotografa nel 1919 e ha attraversato con la macchina fotografica quasi l’intero novecento diventandone una delle più acute testimoni. E’ difficile dimenticare le immagini scattate nei drammatici anni della Depressione e del New Deal, tra tutte la più famosa, Migrant Mother, straordinario ritratto di donna, circondata dai suoi tre figli, che esprime il ruolo, la fatica, e la determinazione che le donne hanno espresso nel corso del novecento, occupando “quel profondo e fondamentale posto nella società”. Sfogliando il bel volume ”Donne della CGIL: una storia lunga un secolo”, curato da Lucia Motti, con la presentazione di Betty Leone e pubblicato dalla casa editrice EDIESSE in occasione del centenario della CGIL, le parole della Lange giungono appropriate e potrebbero accompagnare, nel percorso storico seguito dalla curatrice, ognuno dei periodi presi in esame senza perdere di attualità. 1900 ca. Brescia, Operaie della fabbrica Wührer; 1914 Valsesia, Operaie tessili durante lo sciopero durato quattro mesi; 1918 Milano, Donne tranviere, in sostituzione degli uomini, al fronte della prima guerra mondiale; 1918 Trieste, Lavoratrici del Porto Vecchio in sciopero; 1943 Roma, Donne ferroviere in sostituzione del personale maschile in guerra; 1947 Forlì, Donne davanti alla prefettura protestano contro l’aumento del pane; 1947 Portella della Ginestra, Le mogli dei caduti; 1948 Bologna, Manifestazione di solidarietà verso i lavoratori della Barbieri § Burzi; 1951 Sozzigalli (Modena), Donne che svolgono lavoro volontario per la costruzione della casa del popolo; 1954 Bologna, Mondine escono dal carcere, scontato a seguito delle lotte agricole; 1972 Roma, manifestazione delle operaie tessili; 1989 Firenze, Raccolta di firme per i diritti dei lavoratori; 1989 Roma, e 2006 Milano, manifestazioni in difesa della legge 194. Sono solo alcune delle trecento fotografie che vedono le donne protagoniste di un secolo di trasformazioni sociali impegnate, non solo a rivendicare i propri diritti, ma anche a costituire un fondamentale sostegno in ogni settore della società. Come appare lontana la rappresentazione del lavoro femminile che si trae dagli archivi storici dello studio fotografico dei Fratelli Alinari che, dalla seconda metà dell’ottocento si sono assunti il compito di catalogare l’ intero paese, dalle città alle campagne, dalle opere d’arte ai ritratti di personaggi pubblici, dalla vita quotidiana al mondo del lavoro. Fotografie raffinate ricche di elementi descrittivi di una fabbrica, di un mestiere, degli strumenti di lavoro e che oggi rappresentano una memoria storica fondamentale. Ma all’interno di queste immagini le donne, come gli uomini, diventano parte della documentazione stessa, assolvendo la loro funzione di descrizione di un mestiere e di un gesto, che nella posa lunga dello scatto, appare avulso da qualunque fatica. I laboratori e le fabbriche risultano edulcorate e diventano per la borghesia, classe a cui gli stessi Alinari appartenevano, una vetrina dello sviluppo tecnologico, industriale ed economico dell’epoca. In quegli stessi anni, negli Stati Uniti, Lewis Hine denunciava attraverso le fotografie lo sfruttamento dei minori nelle fabbriche americane, tra cui molte adolescenti in forza nei cotonifici della Carolina. Queste immagini, che Hine pubblicò come documenti umani, si imposero al di fuori della fabbrica producendo un risultato tangibile per i lavoratori: a seguito di queste fotografie, infatti, furono votate nuove leggi sul lavoro minorile. Questi due diversi approcci al mondo del lavoro rappresentano un evidente esempio delle molteplici possibilità espressive di quel linguaggio fotografico che Lucia Motti analizza nella sua attenta introduzione. L’ ambiguità intrinseca della fotografia e la sua capacità di evocazione simbolica presuppongono una lettura della realtà, un pensiero, un’interpretazione e restituiscono una visione da decodificare. Possiamo dunque comprendere la difficile e riuscitissima impresa di selezionare il così vasto archivio della CGIL, cercando di intrecciare una narrazione per immagini che corrispondesse in modo esaustivo ai variegati aspetti del lavoro femminile dell’intero novecento. Un così imponente affresco può essere letto in modi diversi, e quello legato seguendo il percorso riportato dalla didascalia è necessario a ripercorrere il difficile e complesso cammino storico del lavoro femminile. Ma proviamo a sfogliare queste pagine concentrando l’attenzione sui visi di queste donne, sui loro sguardi, sugli atteggiamenti, sugli abiti, su tutti quegli indizi che ci raccontano molto più dell’avvenimento in sé, sia nei bei ritratti di donne che hanno avuto un ruolo di rilievo nella storia del sindacato, sia nelle fotografie dei gruppi o di massa. Non c’è anonimato nelle singole donne all’interno del gruppo, ognuna racconta ed esprime una storia privata che espressa in quel contesto diventa storia collettiva. E’ interessante, a questo proposito, la riflessione di Lucia Motti su come le donne hanno imparato a gestire lo strumento fotografico dai primi comprensibili disagi, alla capacità di porsi “di fronte all’obiettivo, spia del mutare della percezione di se stesse e del proprio ruolo nella società” . Il gruppo di mondine, gambe nude e cappello di paglia, che avanza compatto lungo il viale alberato delle campagne vercellesi, ne rappresenta un valido esempio. Dopo il successo del film Riso Amaro di Giuseppe de Santis, con la splendida Silvana Mangano, “sulle mondine si costruisce un vero e proprio immaginario collettivo” e sarà questo simbolo codificato a rappresentare per le lavoratrici delle risaie un icona di riferimento da riproporre per amplificare la propria immagine. Le fotografie del libro producono una tensione che sembra spingere le protagoniste al di fuori delle pagine, dimostrando che la storia delle donne nella società ha un percorso in continua evoluzione. Qualche tempo fa fa è apparsa sui quotidiani un’importante notizia dagli Stati Uniti. Oltre un milione di impiegate della Wal Mart, imponente catena americana di empori, ha intentato una azione legale contro l’azienda per sfruttamento e discriminazione sessuale. Ancora di più, la class action (come vengono definite in America le cause collettive) intentata rischia di diventare il processo ad una cultura aziendale (e maschilista) che sul lavoro femminile sottopagato ha fondato imperi commerciali. Così, dopo aver visto la fotografia delle lavoratrici americane sui quotidiani di oggi, soffermiamoci nuovamente, tra le tante, sulle fotografie di ieri, quella del 1906 che ritrae l’imponente corteo delle operaie cotoniere a Torino, o quella del 1920 dello sciopero di protesta alla Pirelli. Dalla storia di 100 anni di lotte per la dignità e i diritti femminili ci giunge una ricchezza ed una riflessione, ma con lo sguardo attento al futuro.

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