cultura

Che ne sarà di loro? Tra scenari locali e globali i nuovi maturi incominciano a costruire il futuro

martedì 19 luglio 2005
di Davide Pompei

La “…notte di mamme e di papà col biberon in mano, notte di nonne alla finestra, notte di sogni di coppe e di campioni, notte di lacrime e preghiere…” è passata. Le notti prima degli esami per i 312 studenti delle sei scuole superiori orvietane sono ormai finite. E la vecchia cassetta sulla quale qualche fratello più grande ha registrato quella canzone generazionale di Venditti può essere rimessa nel cassetto e tirata fuori fra un anno.
Come ogni anno la tanto invocata e temuta maturità si è consumata tra scaramantici riti propiziatori, faticose ore di studio e navigate su Internet alla ricerca della versione più probabile o dello scoop sul tema che sarebbe uscito. Resistono ancora il tradizionale gelato collettivo la sera prima degli scritti sulle scalette del duomo e…quella canzone, immancabile, sparata dall’autoradio (tanto che qualcuno è arrivato a dire che non porti per niente bene!).
Gli scritti. Il primo esito e i primi parziali commenti di studenti, professori, parenti. Gli orali. La tesina o come la chiamano “un personale percorso pluri-disciplinare da cui partire” e poi, giù, domande a raffica su tutto il programma. Commissione interna, membro esterno. In corridoio le attese, le telefonate, qualche mamma ansiosa che origlia di nascosto, i commenti isterici di qualche compagno. Si va avanti così per qualche giorno. E poi escono i risultati finali, tutti gli sforzi quantificati in un numero.
Durante l’anno i voti oscillano da 0 a 10, alla maturità da 60 a 100. E alla fine, la consacrazione per molti, improvvise e inaspettate sorprese per alcuni, cocente rabbia e delusione per altri. Eccezion fatta per dieci di loro, tutti gli altri hanno conseguito la benedetta “maturità”. Sono sopravvissuti a questa prima grande prova con la vita e ormai maturi (o maturati?!), intraprenderanno strade diverse.

Ma mentre alcuni di loro ancora sostenevano gli orali, la storia contemporanea viveva un altro drammatico sussulto: le esplosioni di Londra, come New York e Madrid hanno ricondotto il terrorismo internazionale in primo piano inducendo ogni cittadino del mondo quanto meno a riflettervi. Anche i nostri maturandi hanno preso coscienza in tempo reale delle nuove frontiere del terrorismo organizzato fra radicalismo e nuove inquietanti forme di strumentalizzazione di giovani come loro.
In questi giorni, come non mai, nuovi temi preoccupano l’opinione pubblica generale: la gioventù viene analizzata attraverso nuove lenti. Ecco, allora, che anche la storia individuale di trecento studenti medi di provincia sembra essere tanto piccola, rispetto ai nuovi ordini di grandezza della scala dei valori e dei principi della società del futuro. È in questi scenari locali-globali che i nuovi maturi incominciano a costruire il futuro, a partire dal loro.

Inevitabile è il senso di smarrimento di fronte a tutto ciò, soprattutto dopo che il conseguimento della “maturità scolastica” ha chiuso un capitolo importante della vita, quello dell’adolescenza, e se ne apre un altro, tanto sconosciuto quanto per questo più affascinante. Non si vorrebbe essere soli a fare certe scelte importanti legate ai futuri studi e al lavoro. Le istituzioni ai vari livelli e un’opinione pubblica locale non possono certo dare risposte facili a domande così grandi, tuttavia possono attrezzarsi culturalmente per andare incontro ed interpretare le esigenze di ascolto che giungono dai giovani in termini di orientamento, di servizi e di giusta considerazione.
Chissà che l’evoluzione della storia non influisca sulla personalità di ciascuno studente, spostando e condizionandone le scelte lavorative e di studio verso nuovi e necessari indirizzi: dai medici senza frontiere, alle scienze sociali per la cooperazione, allo sviluppo e la pace, agli studi politici e delle relazioni internazionali, ai servizi giuridici, ai diritti del lavoro e degli immigrati…
Una proposta, allora: sarebbe tanto difficile per le scuole superiori di Orvieto e per il Centro Studi “Città di Orvieto” (dove convergono alcuni importanti atenei italiani e stranieri) attrezzarsi per costruire la tracciabilità dei percorsi di formazione dei giovani studenti al fine di mettere a patrimonio di questa città, e della società intera, le loro future competenze? Sarebbe un segnale di fiducia verso ragazzi/e chiamati ad essere come spesso si dice (non senza retorica), la “futura classe dirigente”.

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