cultura
Pietro Parenzo, il Podestà martire
lunedì 14 marzo 2005
Pietro de’ Parenzi, di nobile famiglia romana, fu destinato a reggere Orvieto come Podestà nel febbraio 1199.
Giovane e determinato, forte dell’appoggio di Papa Innocenzo III, cominciò il suo incarico con l’abolizione, tra l’altro, dei giochi di Carnevale, perché troppo spesso finivano nel sangue, determinando per questo il primo giorno di Quaresima una sommossa di protesta per quei divertimenti negati. Il Parenzo ordinò allora la demolizione delle torri e dei palazzi dei nobili contrari alla sua politica, gli stessi nobili che già pensavano di ucciderlo.
Nel mese di maggio Pietro tornò a Roma dalla sua famiglia, prese la benedizione e l’indulgenza del Papa e, quasi prevedendo vicina la fine, dettò il suo testamento.
Di nuovo fu accolto dagli orvietani con esultanza ed egli allora, fedele all’esortazione del Papa, sprezzando ogni precauzione continuò energicamente nella repressione dell’eresia patarina, che a Orvieto aveva trovato fertile terreno. Approfittando della sua lontananza da Orvieto, gli eretici si erano però preparati alla vendetta organizzandosi per una congiura, forti anche per la complicità di un servitore di Pietro, Rodolfo, che tradendolo lo consegnò nelle loro mani.
La sera del 20 maggio – secondo la leggenda – Pietro Parenzo, dopo aver cenato con il giudice romano Enrico ed altri, si preparava per andare a riposare quando degli uomini al portone del palazzo chiesero di parlare con lui. Si trattava dei congiuranti eretici, che lo catturarono e, legato e imbavagliato, lo condussero fuori città, in un misero tugurio dei tanti sobborghi che allora esistevano alle porte di orvieto.
Una pia tradizione indica questo tugurio nei pressi di un poggio in località Velette, nel lato sotto Porta Soliana, mentre una cronaca quattrocentesca lo dice presso la scomparsa chiesa di San Faustino, nell’antico sobborgo dello stesso nome sotto la rupe di ponente.
Quanto agli storici non sempre si sono trovati d’accordo sulla precisa località in cui avvenne il martirio di Pietro Parenzo; sembra però ormai definitivamente accertato che la stamberga presso la quale il santo cadde fosse stata poi trasformata in quella cappellina, lungo la discesa delle Sette Piagge, dove fino all’Ottocento si venerava la Madonna delle Rose, cappella di cui è rimasta in piedi la piccola absidiola a struttura poligonale.
In ogni caso il 21 di maggio si consumò, per mano dei Signori di Bisenzio suoi rivali, il martirio di Pietro Parenzo.
Giovane e determinato, forte dell’appoggio di Papa Innocenzo III, cominciò il suo incarico con l’abolizione, tra l’altro, dei giochi di Carnevale, perché troppo spesso finivano nel sangue, determinando per questo il primo giorno di Quaresima una sommossa di protesta per quei divertimenti negati. Il Parenzo ordinò allora la demolizione delle torri e dei palazzi dei nobili contrari alla sua politica, gli stessi nobili che già pensavano di ucciderlo.
Nel mese di maggio Pietro tornò a Roma dalla sua famiglia, prese la benedizione e l’indulgenza del Papa e, quasi prevedendo vicina la fine, dettò il suo testamento.
Di nuovo fu accolto dagli orvietani con esultanza ed egli allora, fedele all’esortazione del Papa, sprezzando ogni precauzione continuò energicamente nella repressione dell’eresia patarina, che a Orvieto aveva trovato fertile terreno. Approfittando della sua lontananza da Orvieto, gli eretici si erano però preparati alla vendetta organizzandosi per una congiura, forti anche per la complicità di un servitore di Pietro, Rodolfo, che tradendolo lo consegnò nelle loro mani.
La sera del 20 maggio – secondo la leggenda – Pietro Parenzo, dopo aver cenato con il giudice romano Enrico ed altri, si preparava per andare a riposare quando degli uomini al portone del palazzo chiesero di parlare con lui. Si trattava dei congiuranti eretici, che lo catturarono e, legato e imbavagliato, lo condussero fuori città, in un misero tugurio dei tanti sobborghi che allora esistevano alle porte di orvieto.
Una pia tradizione indica questo tugurio nei pressi di un poggio in località Velette, nel lato sotto Porta Soliana, mentre una cronaca quattrocentesca lo dice presso la scomparsa chiesa di San Faustino, nell’antico sobborgo dello stesso nome sotto la rupe di ponente.
Quanto agli storici non sempre si sono trovati d’accordo sulla precisa località in cui avvenne il martirio di Pietro Parenzo; sembra però ormai definitivamente accertato che la stamberga presso la quale il santo cadde fosse stata poi trasformata in quella cappellina, lungo la discesa delle Sette Piagge, dove fino all’Ottocento si venerava la Madonna delle Rose, cappella di cui è rimasta in piedi la piccola absidiola a struttura poligonale.
In ogni caso il 21 di maggio si consumò, per mano dei Signori di Bisenzio suoi rivali, il martirio di Pietro Parenzo.

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