cultura

Il mago che trasforma il vino in oro: Riccardo Cotarella

lunedì 27 gennaio 2003
Enologo dell'anno secondo la prestigiosa guida del Gambero Rosso "Vini d'Italia 2001", dove ha inanellato undici vini a tre bicchieri, consulenze con ben quarantanove aziende, di cui sette all'estero, dodici collaboratori, un'azienda di successo di cui divide la proprietà con il fratello Renzo. Potrebbe sentirsi arrivato e decidere di "tirare i remi in barca", godendosi tanto successo e fama. Ma non è così, Riccardo Cotarella non si ferma e continua a guardare al futuro, nonostante tutto perché, come lui stesso dice "Io vivo per il vino". Del quale adora la sua imprevedibilità , il suo non essere mai scontato e che lo porta ad essere quasi un pioniere in questo campo, o meglio, uno scienziato, per un lavoro che svolge con estrema meticolosità ed infinità pazienza. E quasi come un pioniere, dopo essersi fatto le ossa nelle cantine dell'Orvietano, prima, e in quelle nazionali poi, si è lanciato alla conquista degli States, dove è nata e la sua leggenda, tornata poi di rimbalzo nella madrepatria. Ora è tempo per una nuova sfida, la conquista della Francia, da sempre terra ostica verso i vini e gli enologi italiani.

Recentemente gli è stata infatti affidata la conduzione tecnica di due Chateau di Bordeaux, una vera e propria consacrazione, la definisce la rivista "Gambero Rosso".

L'INIZIO DELLA CARRIERA NELL'AZIENDA DI FAMIGLIA

La storia di quest'orvietano, che parte dall'azienda di famiglia a Monterubiaglio, è indissolubilmente legata a quella dei vini eccezionali che ha creato, frutto di un intuito e di un'esperienza che gli hanno fatto guadagnare il titolo di "wizard", mago, dagli Americani, letteralmente stregati dalle sue magiche alchimie tra uve e vigneti. Un enologo capace di parlare tre lingue, continuamente all'estero, ma che resta legato alle sue origini orvietane. Una passione quella per il vino, che doveva scorrere nel sangue di questo "figlio d'arte", ereditata dal nonno e dal padre e oggi tramandata a figli nipoti. Dopo gli studi compiuti alla scuola enologica di Conegliano Veneto, a 19 anni arriva la prima, vera, grande occasione, la conduzione della cantina dei Vaselli, a Castiglione in Teverina.

"Un'esperienza importantissima - ricorda Cotarella - perché mi ha permesso di sentire parlare di vino ventiquattro ore su ventiquattro e di avere a che fare con la prima tecnologia utilizzata all'epoca, ma che mi ha permesso anche di imparare dai primi errori. Forse, però, c'è stato un pizzico di incoscienza da parte loro ad affidare un incarico del genere ad un ragazzo". O forse i Vaselli avevano semplicemente intuito già il genio che si nascondeva in lui. Da lì in poi il suo nome e la sua abilità cominciarono a circolare presso le più rinomate aziende vitivinicole non solo dell'Orvietano e dell'Amerino, ma anche fuori dai confini umbri, dal Piemonte alla Sicilia.

IL SUCCESSO LEGATO ALLE TECNICHE VITIVINICOLE

Una fama costruita a forza di esperimenti e sfide, che in più di un'occasione hanno fatto storcere il naso a diversi intenditori. Come quando nell'ambiente lo presero per matto perché lui insisteva con la tecnica dello sfoltimento, ovvero con l'eliminazione dei grappoli in sovrappiù per consentire a quelli che rimangono di avere maggiore disponibilità di linfa, ottenendo una migliore qualità per il vino. Ma vallo a spiegare a quei produttori che al solo pensiero di buttare via l'uva si sentivano male. "Oggi sono i miei più grandi estimatori ed amici - commenta divertito il "mago" - ormai è infatti norma che il trenta per cento di una pianta venga sacrificato se si vuole avere una resa buona. E la qualità costituisce il fattore trainante sul mercato".

Un pioniere, dunque, che proprio come tale nel 1981 decide di fare il "grande salto", intraprendendo la libera professione e lanciandosi alla conquista degli Stati Uniti. "Avevo voglia di fare nuove esperienze, di esplorare nuovi territori e nuove mentalità. Scelsi la West Coast perché era lì, all'epoca, che avveniva il cosiddetto "Rinascimento" del vino a livello di gusto, di moda, di culto e di mass media"spiega. Un'intuizione che gli ha dato ragione, perché gli Americani restano affascinati dalla cosiddetta "Cura Cotarella", vale a dire la sua esperienza e capacità di creare vini eccellenti, risollevando le sorti di aziende vitivinicole in crisi o regalandogli il successo.

E la sua fama è salita alle stelle da quando Robert Parker, il più influente critico enologico d'oltreoceano, qualche anno fa si è invaghito dei vini ed ha iniziato a recensirli con punteggi altissimi. La sua notorietà è poi tornata come un boomerang dalla California all'Italia, alla Francia e al resto d'Europa. Il risultato è che oggi l'agenda di Riccardo Cotarella è fittissima di impegni in mezzo mondo ed ottenere una sua consulenza è quasi come vincere un terno a lotto. Sono quasi una cinquantina le aziende che hanno questa fortuna di averlo come enologo di fiducia, di cui quattro francesi e tre americane. Si avvale di dodici, fidatissimi collaboratori, alcuni dei quali lo seguono da oltre vent'anni e a cui ha trasmesso la sua stessa passione e gusto per la ricerca ("diversamente non potrebbero lavorare con me" - ammette).

Senza dimenticare i vini prodotti insieme al fratello Renzo, che è anche direttore generale della Marchesi Antinori, nell'azienda di loro proprietà, la Falesco di Montefiascone. Azienda famosa tra gli appassionati soprattutto per un vino, il Montiano, un rosso prodotto con sole uve merlot che si è più volte guadagnato il traguardo prestigioso dei tre bicchieri. Quest'ultima è la grande passione del winemaker più famoso d'Italia visto che lo metterebbe anche nel cappuccino, come ha scherzosamente confessato agli amici.

Questo è dunque oggi Riccardo Cotarella, enologo ricercatissimo. D'altronde averlo come consulente di fiducia sembra significare automaticamente un guadagno certo, visto che da circa tredici anni in qua ha praticamente cambiato il modo di fare i bianchi ed i rossi dell'Italia centrale.

LA TECNICA CHE PORTA AL SUCCESSO

Ma qual è il segreto della "Cura Cotarella"? Non si tratta di formule magiche, a dispetto del soprannome di "mago", ma è il frutto di una passione per un qualcosa che dopo tanti anni non lo ha ancora stancato, ma che anzi non finisce mai di stupirlo. "Il vino non è mai scontato, i risultati di innesti e vendemmie sono sempre imprevedibili. Il vino va scoperto e capito nelle sue potenzialità.

Ma pretende un grande rispetto - avverte l'esperto - e anche molta umiltà. Se ci si avvicina con arroganza si può essere traditi…". E serve poi studio, esperienza, pazienza e soprattutto niente improvvisazione. "Oggi un enologo deve essere anche un agronomo - sottolinea - ed. è il tipo di vite, ma anche il terreno e il versante dove fare l'impianto che fanno la differenza. Il sole che si assorbe con una esposizione a nord non è lo stesso di quello che si accumula a sud o sud ovest. E' importante anche quello che in termini tecnici è chiamato diradamento dei grappoli sulla vite. I grappoli preferiti sono quelli più vicini al cosiddetto cordone speronato, insomma, al fusto della vite".

Esperimenti e selezioni, studi e programmi sono fondamentali per ottenere un buon vino. E poi c'è la fase della raccolta. "Quella più delicata, da settembre a novembre è il momento in cui arriva al culmine un processo fatto di innesti, di radici, di rilevamento e di andamento stagionale che non si può mai prevedere se non approssimativamente". Tanta bravura è essenzialmente dovuta alla professionalità e alla cura con cui segue i vigneti e le aziende che gli vengono affidate, la cui riqualificazione ristrutturazione richiede tempi piuttosto lunghi, minimo cinque anni per un bianco e fino ad otto per un rosso.

PRODUTTORE E MANAGER

Prima di realizzare l'impianto, come ha spiegato Cotarella, occorre almeno un anno di studio, pi servono altri cinque anni per portare un bianco a produzione, per i rossi servono altri due anni di invecchiamento. E poi c'è l'introduzione sul mercato, un fase che oggi, vista la forte concorrenza, è molto importante. "Occorre in attesa che il vino sia pronto, preparare il mercato, incuriosendo esperti ed acquirenti. Bisogna far in modo che se ne parli ancora prima del suo "debutto", magari già diffondendo il nome che poi si va ad identificare con un certo stile" - sottolinea l'enologo orvietano. Dallo studio alla strategia di marketing, tutte fasi che segue in prima persona, quando accetta di fare da consulente per un'azienda vitivinicola. E si sa che la cura Cotarella funziona, visto le continue richieste che giungono sul suo tavolo da parte dei produttori. Una fama che, tradotta, vuol anche dire ottimi guadagni, ma su questo aspetto il winemaker orvietano non si sbilancia.

"E' comunque un lavoro che dà molte soddisfazioni anche da quel punto di vista, ed in tempi brevi, sia al produttore che a chi vi collabora".

LE METE DA RAGGIUNGERE

Nonostante tutti questi successi, lui è comunque sempre alla ricerca di nuovi obiettivi, una "sete" che lo fa interessare soprattutto a quei terreni ancora tutti da scoprire e che non rientrano nelle zone migliori, quelle cosiddette "vocate": "mi piace lavorare nelle zone non famose dove c'è ancora da sperimentare e studiare. E' inoltre importante che lo studio per l'impianto dei vitigni venga elaborato in funzione delle peculiarità di quella zona". Ed un territorio che va riscoperto è, secondo la sua autorevole opinione, proprio quello Orvietano, cui comunque deve sempre molto, essendo stato il suo trampolino di lancio verso la fama internazionale.

"E' una zona che può dare ancora molto, essendo ricca e varia per composizione e morfologia dei terreni, ma va studiata meglio, con programmi più approfonditi". Cosa che i produttori sembrano aver capito, visto che oggi Cotarella sempre più si confronta con proprietari di vitigni, come lui stesso sottolinea, molto preparati e che vogliono partecipare a tutte le varie fasi, da quella tecnica a quella commerciale. "Fortunatamente ci sono già diverse aziende che hanno intrapreso questo cammino e sono sicuro che nel giro di tre anni ci sarà una grossa esplosione dal punto di vista qualitativo per il Classico ed il Doc di Orvieto".

Parole che fanno ben sperare tutti i produttori della zona, alle prese soprattutto con una crisi che ha colpito il "bianco". "Il problema è che spesso i vitigni di queste zone non sono stati capiti fino in fondo, e anche il vino non è stato compreso per quanto riguarda la degustazione. Io stesso se avessi capito dieci anni fa quanto è importante la fase della programmazione avrei guadagnato tempo prezioso, visti i periodi lunghi che caratterizzano la produzione vitivinicola. Dieci anni, infatti, significano quattro generazioni per il vino".

QUALITA' E' MEGLIO DI QUANTITA'

Puntare sulla qualità a scapito della quantità, una ricetta che ora il Consorzio Vini d'Orvieto" ha recepito, puntando ad una modifica radicale del disciplinare che regola la produzione del vino e della base ampellografica, ovvero degli uvaggi che compongono il "bianco" di Orvieto. Una scelta che Cotarella approva in pieno, anche se molto va fatto ancora per far uscire l'"Orvieto" dal momento di stasi che attraversa. "Il Classico è un vino che in questi anni di crisi è sopravvissuto grazie alla sua qualità - spiega l'enologo - ma per riconquistare il mercato occorrono migliori strategie di marketing, puntando ad un rinnovo profondo dell'immagine, anche a livello di singola azienda".

Lo stesso enologo ha voluto dare un esempio con "Opinioni", Orvieto Doc Superiore, affidato alle sue mani con l'intenzione di mostrare tutte le grandi potenzialità del "bianco" di Orvieto. Il progetto "Opinioni" è partito quattro anni fa grazie allo sforzo congiunto di tre cantine, la Cardeto, la Carraia e la Monrubio che rappresentano il settanta per cento della produzione di Orvieto. Un vino che punta su Grechetto G5, un vitigno autoctono, e Procanico, tra gli altri, uve sulle quali si punta ora anche il Consorzio dei produttori orvietani. "Mi sento ancora di consigliare ed insistere sull'Orvieto - consiglia il famoso enologo - da scegliere tra i migliori, , ma nella nostra zona si producono pure ottimi "Sangiovese", anche se preferisco sempre un vino a base di Merlot, una passione da riconoscenza , la mia, perché grazie a questo ho capito molto sui vini rossi.

DONNE E VINO

Al momento il winemaker incoronato enologo dell'anno è coinvolto in diversi progetti. Molto impegnativo è quello che lo vede in veste di consulente per due aziende vitivinicole molto importanti in Puglia ed in Sicilia, dove si tratta di rivedere tutta la conduzione. Ma la vera sfida è quella con i cugini d'Oltralpe, visto che è il primo enologo italiano ammesso alla difficile corte dei vini francesi.

"La Francia ci percepisce come estranei - commenta infatti Cotarella - a me e al mio "entourage" l'arduo compito di fargli cambiare idea". Una fiducia reciproca tutta da conquistare, con l'enologo costretto a portare con sé tutti i suoi collaboratori. E' consapevole della difficoltà del compito che gli è stato affidato, un italiano alle prese con il celebre Bordeaux, ma è allo stesso tempo molto soddisfatto. Senza dubbio, però, la sua più grande soddisfazione è quella di aver creato una vera e propria "macchina da guerra", tanto per usare le sue stesse parole, riferendosi al fatto di aver coinvolto nella sua "avventura", che già divideva con il fratello Renzo, sua figlia, laureata in agraria, suo marito, che ha abbandonato la facoltà di architettura ed iscriversi a quella con più attinenza alle tradizioni di famiglia e ora anche la nipote.

Ed è con le donne che il "mago" vede il futuro del vino, donne che nel campo delle pubbliche relazioni hanno ottime capacità, garantendo al vino una presentazione più consona, in considerazione, appunto, del ruolo importante che oggi gioca l'immagine. Donne e vino, dunque, un'accoppiata vincente per dare una marcia in più ad un prodotto che, soprattutto nel comprensorio Orvietano gioca un ruolo fondamentale per il suo sviluppo economico. E c'è da dargli retta, viste le previsioni rivelatesi sempre azzeccate del "mago" Cotarella.