cronaca

"Rilanciare la stagione della prevenzione strutturale per aumentare la sicurezza"

venerdì 25 maggio 2018
"Rilanciare la stagione della prevenzione strutturale per aumentare la sicurezza"

E’ stato il Palazzo del Capitano del Popolo di Orvieto – trasformato dal 1989 in Centro Congressi grazie all’attuazione delle varie norme sulla valorizzazione del patrimonio monumentale della città – a dare avvio, venerdì 25 maggio, alle annunciate celebrazioni per i 40 anni della Legge n. 230/1978 “Provvedimenti urgenti per il consolidamento della Rupe di Orvieto e del Colle di Todi a salvaguardia del patrimonio paesistico, storico, archeologico, ed artistico delle due città” approvata dal Parlamento Italiano il 25 maggio 1978.

Con le immagini di fondo del documentario “Gioielli di Pietra: Orvieto e Todi Città da Salvare” di Folco Quilici, in una Sala dei Quattrocento gremita di sindaci e amministratori pubblici, di ieri e di oggi, tecnici, maestranze, sindacalisti, una rappresentanza di studenti delle Scuole Superiori della città e di cittadini, i Comuni di Orvieto e Todi, la Regione Umbria ed Alta Scuola, hanno dato vita al primo incontro pubblico celebrativo del quarantennale della legge 230 che rappresentò per quegli anni un “cambio di passo” una “rivoluzione culturale” innovativa nel campo della tutela attiva, della cura e manutenzione del territorio, per il modo con cui venne ideato, approcciato e condotto. Un incontro a cui ne seguiranno degli altri tra Todi e Orvieto per approfondire a livello tecnico e culturale le varie tematiche affrontate e le tipologie di intervento realizzate e che ancora oggi costituiscono un modello di riferimento, verso le future azioni di gestione del rischio residuo e di gestione e difesa del territorio dalle frane.

Tra gli ospiti, infatti, anche Stela Stingaci, Ambasciatrice della Repubblica di Moldavia, insieme agli otto componenti della delegazione ufficiale di questo Paese dell’Est Europa, esperti nella tutela del territorio, fra loro: il vice direttore della Protezione Civile Nazionale, il Direttore dell’Autorità di Bacino Nazionale, il Direttore dell’Agenzia Nazionale per le risorse idriche, il Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università Politecnica Statale di Chisinau, due direttori di altrettante Organizzazioni non governative e il capo delegazione, Alexandru Tabacaru, che in questi giorni sono ad Orvieto nell’ambito progetto di scambio Italia-Moldavia sui Contratti di Fiume, sulle direttive acque e alluvioni e sulla Protezione Civile, coordinato e diretto da Alta Scuola.

I lavori sono stati aperti dai Sindaci di Orvieto e Todi, Giuseppe Germani e Antonino Ruggiano. Poi, moderate da Endro Martini, Presidente di Alta Scuola, sono seguite le testimonianze di chi negli anni successivi all’approvazione della prima Legge Speciale seguì le fasi degli interventi di tutela e salvaguardia della Rupe e del Colle. Gli ex Sindaci dei Comuni di Orvieto e di Todi: Franco Raimondo Barbabella, Massimo Buconi e Stefano Cimicchi, gli Assessori alla Difesa del Suolo e i Presidenti della Regione Umbria Franco Giustinelli, Paolo Menichetti, Maria Rita Lorenzetti. E inoltre, l’ingegnere Capo dei Lavori di Consolidamento di Orvieto e Todi, Luciano Tortoioli, Luisa Todini rappresentante dell’omonima impresa “Franco Todini” esecutrice dei lavori a Todi, poi i direttori Tecnici delle Imprese che realizzarono i vari interventi: Claudio Soccodato e Massimo Mariani.

Non è mancato il contributo di un rappresentante Sindacale Lucia Rossi e di due componenti della Commissione Tecnico Scientifica Lucio Ubertini e Pietro Conversini e ovviamente quello delle maestranze che materialmente lavorarono al risanamento della rupe di Orvieto e del Colle di Todi. Testimonianze (e aneddoti) da cui sono emersi: il fare squadra, lo straordinario coordinamento, pieno e totale, fra le Istituzioni nazionali, regionali e locali di allora (al di sopra degli opposti schieramenti politici); il pieno coinvolgimento ed ascolto del mondo scientifico ed una visione innovativa del governance del territorio (la sintesi dei vari interventi in un successivo comunicato).

A seguire la Consegna delle Pergamene Ricordo, infine l’attualità dell’esperienza delle leggi speciali per Orvieto e Todi con uno sguardo verso il futuro, ovvero la Gestione del rischio residuo e i Cambiamenti Climatici vista da Endro Martini di Alta Scuola che ha sottolineato l’esigenza di assicurare il monitoraggio, la sorveglianza e la puntuale manutenzione delle opere realizzate, e il Contrasto al Disseto Idrogeologico nell’Appennino Centrale: passato, presente, futuro di cui ha parlato Erasmo D’Angelis, Segretario Autorità di distretto dell’Appennino Centrale che, ripercorrendo la storia dei grandi rischi del nostro Paese, ha esortato le Istituzioni e gli amministratori ai vari livelli a non interrompere il percorso virtuoso di una stagione feconda e a lasciare aperta e rilanciare la tematica della prevenzione strutturale dei centri storici per aumentare la nostra sicurezza; tenendo conto che, oggi rispetto al passato, molte cose si sono semplificate, e che il primo alleato sul fronte delle risorse è il MEF, ma da parte delle Istituzioni servono i progetti.

Di seguito ampi stralci delle testimonianze, a cura dell'Ufficio Stampa Comune di Orvieto:

Il sindaco Giuseppe Germani rivolgendosi alle varie persone che avuto una parte importante in questa storia ha detto: “dovete essere orgogliosi per quello che avete lasciato a noi e alla nuove generazioni. Un evento disastroso che poteva diventare catastrofico, è stato trasformato in una grande opportunità. In 40 anni, uomini e donne uniti, hanno portato avanti un grande lavoro che oggi è un patrimonio.
La legge 230 è stata uno spartiacque importante. C’è un prima e c’è un dopo, da quando si è iniziato a pensare al futuro, grazie ad una classe dirigente che ha saputo guardare oltre. Riteniamo giusto riprodurre e rendere accessibili a tutti i tanti documenti prodotti in questi lunghi anni nei quali era molto sentito il senso di appartenenza, per ritrovarvi oggi un nuovo senso di appartenenza. In quegli anni venne praticato un nuovo approccio ai problemi che fu di tipo multidisciplinare: antropologico, geologico, tecnologico. Ci fu poi un grande lavoro di squadra nel senso che la politica, tutta, procedeva unita verso un obiettivo, senza differenze e posizioni di parte. Non meno importante il ruolo delle maestranze che trovarono in questa esperienza di Orvieto e Todi la fucina di nuove professionalità; e poi le imprese come Todini, Geosonda, Grassetto, Sogestra che sono rimaste nella nostra storia. Con questa prima giornata di riflessione a 40 anni dalla prima legge per Orvieto e Todi, e grazie alla presenza di Italia Sicura, vogliamo però guardare alle prospettive per il futuro e lanciare la sfida al nuovo governo di rilanciare e reinterpretare nel futuro quella che è stata una grande opportunità riconosciuta a livello internazionale come una buona pratica di governo del territorio”.

Il Sindaco di Todi, Antonino Ruggiano ammettendo di provare una particolare emozione ha ricordato che “tra Orvieto e Todi c’è un lungo legame (non solo per l’appartenenza alla stessa Diocesi) e fratellanza, quindi la giornata di oggi rappresenta un momento speciale perché viene ricordata e affermata la capacità di aver messo al centro dei problemi nazionali le nostre due piccole città di una piccola regione nel cuore dell’Italia. Cosa che di per sé è un percorso virtuoso, frutto di un lavoro quotidiano, certosino, fatto per la propria città, con grande amore. Per noi tuderti, e sicuramente per gli orvietani, il XX secolo sarà ricordato come il secolo della salvezza del colle di Todi e della Rupe di Orvieto.

Condividere una esperienza di vita e di comunità sembra che oggi non conti più nulla, mentre i social avvelenano ogni cosa. I Sindaci di allora hanno saputo fare squadra, oggi invece si tende a perdere la capacità di fare coesione. In realtà mi sento di dire che il nostro Paese non è lo schifo che viene dipinto. Dobbiamo essere orgogliosi di avere ereditato valori importanti e di essere figli di esempi di vita. Ci deve restare nel cuore l’insegnamento di questi valori. In un periodo di tensioni nazionali come furono la fine degli anni ’70 – ricordo l’assassinio di Aldo Moro – le nostre comunità, e tutta la comunità regionale lavorarono insieme per salvare due delle splendide città di cui l’Umbria è ricca. Questo insegnamento deve valere anche oggi e per il futuro, e deve essere oggi come allora, volano per nuovi progetti e risorse”.

Sono seguite le testimonianze di chi negli anni successivi all’approvazione della prima Legge Speciale seguì le fasi degli interventi di tutela e salvaguardia della Rupe e del Colle, a partire dagli ex Sindaci dei due Comuni:

“Poco più di quarant’anni fa – ha detto Franco Raimondo Barbabella, già Sindaco di Orvieto - in circostanze in parte intervenute e in parte volute, iniziò un percorso di cambiamento per il quale Orvieto potè reimpostare la sua identità e il suo ruolo. Accadde nel contesto drammatico delle frane della rupe (quelle del ’77 e del ’79) che minacciavano la città storica, ‘gioiello di pietra’ (secondo la bella definizione di Folco Quilici) noto nel mondo, e nel contesto delle leggi speciali che si susseguirono per farvi fronte, a partire dalla prima, la n. 230 del 25 maggio 1978, che oggi appunto ricordiamo. Nel 1975 eravamo entrati, io e Adriano Casasole, in Consiglio comunale come consiglieri indipendenti, e proprio in quell’anno, il 1978, mi lasciai convincere soprattutto da Adriano a fare anch’io l’assessore. Vivemmo insieme al sindaco di allora Vladimiro Giulietti, agli altri colleghi assessori, ai consiglieri e alla città intera, momenti di grande apprensione perché si appalesava con quelle frane un problema drammatico che non potevamo fronteggiare da soli.

Iniziò perciò subito un’opera straordinaria di sensibilizzazione che trasformò in breve tempo una questione che poteva essere vista come ordinaria in una questione straordinaria che premeva a tutti: salvare una città che era di per sé un ‘gioiello di pietra’ e custodiva però nel suo seno un altro gioiello del tutto speciale, il Duomo. L’esito alla fine fu la legge 230 per Orvieto e Todi, che Fabio Ciuffini amava definire ‘Legge per Orviodi’. Il problema non era solo il dissesto idrogeologico della rupe. C’era una questione di degrado generale, di crisi strutturale, e insieme però per converso una forte domanda di futuro. Ho detto che Orvieto reimpostò allora la sua identità e il suo ruolo. Lo fece nel contesto particolare di quegli anni, nei quali il 1978 rappresenta una tappa importante ma solo una tappa. Lo fece inventandosi un’ambiziosa operazione progettuale, al fondo della quale c’era la convinzione che l’emergenza rupe, la sua manifesta fragilità, latente ma esplosa all’improvviso, poteva e doveva essere rovesciata in occasione per la rinascita. Accadde perciò che le leggi speciali furono utilizzate non solo per risanare il masso e mettere in sicurezza il centro storico ma per un’operazione di restauro generale funzionale ad un’idea di futuro che nel frattempo era maturata.

In questo senso una funzione preparatoria essenziale, al fine di un ripensamento dell’idea di città e di una sua nuova collocazione funzionale nel contesto territoriale e regionale, era stata svolta dal dibattito sulla Variante Satolli-Benevolo al PRG Piccinato e dalla sua successiva contrastata approvazione, avvenuta nel 1976. Un dibattito lungo e drammatico. Uno scontro politico duro dentro il PCI e in Consiglio Comunale tra maggioranza socialcomunista e opposizione democristiana e missina. Uno scontro tra concezioni culturali e strategie politiche diverse. In quel momento vinse l’innovazione: si passava dal primato delle lottizzazioni al primato del risanamento del centro storico. Diventava centrale la cultura come asse strategico e la cura dei beni culturali e ambientali come investimento produttivo.

Il frutto di questo percorso fu il ‘Progetto Orvieto’, il nome con cui fu indicato il complesso degli interventi mediante i quali in concreto si intendeva mettere in condizione la città di poter utilizzare le sue potenzialità endogene e acquisire così di nuovo quel ruolo trainante dello sviluppo di una vasta area territoriale che per diverse ragioni da molto tempo aveva perso. Questo nome fu coniato nel corso delle iniziative facenti parte del convegno ‘Orvieto: i luoghi della cultura’ svoltosi al Teatro Mancinelli nel gennaio-febbraio 1981 e divenne politica progettuale dell’Amministrazione (di cui nel frattempo, nel 1980, ero diventato sindaco) con il documento ‘Proposte per un nuovo ruolo della città antica nell’ambito urbano’ approvato dal Consiglio comunale all’unanimità il 2 luglio del 1982.

Fu una sfida per noi stessi e nel contesto della politica di allora. L’idea prevalente che si aveva delle leggi speciali era che esse servivano a trovare soldi e a consentire a regione e comuni di sostenere altre incombenze, ed in effetti era così, ma non era solo così. Anche in Umbria la cosa fu vissuta per larga parte in questo modo, per cui il Progetto Orvieto fu visto al massimo come un ottimo espediente. Invece non lo era affatto; era una vera sfida di cambiamento. Di fatto stavamo proponendo nel concreto, insieme ad una strategia di sviluppo territoriale, anche un’idea di regione policentrica che all’epoca non produceva nel corpo politico, credo che possiamo dirlo senza offendere nessuno, il massimo indice di gradimento. Insomma disturbavamo un po’ e sapevamo di farlo. Ne abbiamo pagate ovviamente le conseguenze.

L’idea per allora in effetti era rivoluzionaria per diverse ragioni:
- la città storica veniva concepita come un unicum che lega insieme cultura e natura, città storica con masso tufaceo, pendici e territorio;
- i beni e le attività culturali venivano intesi come fonte di ricchezza e l’investimento su di essi come investimento produttivo;
- il futuro veniva immaginato come proiezione internazionale di una città dotata di forte capacità attrattiva che per questo doveva essere capace di attrezzarsi con infrastrutture adeguate, servizi moderni e funzionali, offerte competitive, qualità generalizzata;
- il suo ruolo territoriale veniva concepito come passaggio da area marginale a cerniera interregionale.
Quell’idea, seppure l’interruzione del suo percorso non ne abbia consentito tutti gli sviluppi allora ipotizzati, complessivamente per aspetti importanti ha funzionato, come dimostra la realtà. Infatti, il programma di opere che dava concreta attuazione a quel vasto disegno fu attuato senza sprechi, con aggiustamenti progressivi ma senza ripensamenti sostanziali e in tempi piuttosto brevi, ragione non secondaria del fatto che il ‘Progetto Orvieto’ fu visto in Europa come modello di salvaguardia e valorizzazione dei centri storici. Fu valutato infatti così dal Consiglio d’Europa e così fu visto dall’UNESCO attraverso la mostra dei progetti presentata, insieme a Todi, in rappresentanza dell’Italia a Belgrado in occasione dell’assemblea organizzata lì da questa organizzazione mondiale”.

“Fu un’operazione durata un decennio - ha aggiunto - quello che va dalla prima legge speciale, legge 25 maggio 1978 n. 230, alla legge finalizzata al completamento dei lavori, legge 29 dicembre 1987 n. 545. In mezzo ci sono i rifinanziamenti della 230 e la prima legge di finanziamento pluriennale, la legge 12 giugno 1984 n. 227. Bisogna dirlo, senza il Progetto Orvieto, senza quella strategia di ampio respiro, le leggi speciali pluriennali con l’inclusione del restauro e la rifunzionalizzazione dei beni culturali, cioè un intervento storico-ambientale globale, probabilmente non ci sarebbero state.

Ci allineavamo così alle città che già godevano di leggi speciali (Venezia, Siena, Matera), ma sulla base di una strategia di sviluppo organico città-territorio che l’Europa aveva elevato a modello di messa in sicurezza e valorizzazione dei siti di valore storico-artistico-ambientale.
All’inizio la battaglia per affrontare in modo organico il problema delle frane fu condotta da Orvieto, ma poi, quando si rese evidente che la dimensione dei problemi era tale da richiedere necessariamente un intervento dello Stato e che ciò comportava la presentazione di una proposta di legge speciale da parte della Regione, allora, anche per la logica allora in essere del bilanciamento tra le due Province, fu deciso di inserire nell’iniziativa Todi, il cui colle aveva problemi analoghi a quelli della rupe. Una scelta che si sarebbe rivelata non solo opportuna ma utile e lungimirante. Si deve dare atto ai protagonisti della politica regionale di avere scelto, anche contro le resistenze di alcuni amministratori locali, la strada giusta. Poi noi collaborammo alla grande con i colleghi di Todi.

Da quanto detto si comprende l’interesse che può rivestire non tanto la celebrazione di quel decennio, a partire proprio dai 40 anni della legge 230/’78, quanto piuttosto una riflessione organizzata per capire da una parte che cosa è successo allora, come si agì e con quali risultati, e dall’altra come a distanza di quarant’anni da quella complessa vicenda si pongono oggi i problemi di salvaguardia e valorizzazione di città così particolari in quanto luoghi di condensazione di valori universali. Che cosa è successo a seguito di quelle complesse operazioni di ideazione e realizzazione? Come quell’esperienza può essere resa utile anche per l’oggi? Se essa allora venne ritenuta un modello da imitare a livello internazionale per le strategie di salvaguardia e di valorizzazione dei centri storici di pregio, oggi potrebbe di nuovo funzionare? In che modo? Che cosa bisognerebbe fare? Io ho ritenuto nel passato e continuo a ritenere oggi che sarebbe anche utile approfondire gli aspetti politici di quella vicenda con particolare riferimento alle dinamiche che allora si svilupparono tra i diversi soggetti in campo: tra comuni, regione e parlamento; tra comuni, soprintendenze e regione; tra istituzioni europee e istituzioni nazionali. E quale fu il ruolo dell’opinione pubblica nazionale e internazionale”.

“In tale contesto – ha concluso - andrebbe fatto emergere il ruolo che ebbero i personaggi che ci dettero una mano, anzitutto Luigi Anderlini, Luigi Malerba e i 100 esponenti della cultura e del made in Italy che firmarono l’appello per la salvezza di Orvieto nel 1986. E tanti altri, alcuni dei quali sono qui e saluto con affetto ma con il pensiero rivolto anche a chi oggi non c’è (ad es. Germano Marri) o non c’è non per sua volontà. Penso al caro ingegnere Perricone, ai direttori dei lavori della rupe, gli ingegneri Bellezza e Curli, all’ingegnere Mario Piccione, al consigliere Ercini, agli assessori Tomassini e Fatale, al sottosegretario Maravalle, e insomma a tanti altri che non è possibile citare qui al completo.

In ogni caso, qualunque via di riflessione si ritenesse di dover adottare, essa di sicuro ci fornirebbe indicazioni utili per l’oggi. Se non altro per evitare di trasformare grandi possibilità di cambiamento positivo in occasioni di lacerazione e arretramento. Di questo modo di ragionare e di agire in termini strategici e progettuali c’è, mi pare, ancora e di nuovo un grande bisogno. D’altronde proprio oggi i limiti evidenti della globalizzazione e l’eccessiva concentrazione in grandi aree urbane spersonalizzate fa di nuovo emergere i centri storici di pregio come possibili modelli per una vita all’altezza delle necessità e delle aspirazioni dell’uomo. In tal senso, potenzialità come quelle delle nostre due città se ne trovano in giro abbastanza poche. Per questo sono preziose in modo del tutto particolare. E la memoria diventa non culto del passato ma risorsa per l’avvenire.

Come si vede, parlo non solo di Orvieto ma insieme di Orvieto e di Todi. Può essere infatti interessante immaginare un complesso di iniziative congiunte delle due città, anche se l’articolazione può essere diversa, essendo ovviamente diversi i percorsi seguiti. Ne potrebbe trarre beneficio l’Umbria come regione che custodisce gioielli e che nel mondo vuole rappresentare un complessivo modello di vivibilità. C’è dunque un bel potenziale che potrebbe essere trasformato in progetto di grande respiro. Non è questo il luogo e il momento di parlare in modo preciso delle iniziative possibili. Mi limito a dire che possono essere belle e importanti. Oltre al fatto che ci sono questioni urgenti non risolte come il sistema di osservazione/controllo – manutenzione – valorizzazione. Tempo fa ho consegnato al sindaco Germani un documento con una serie di proposte; di queste e di altre si è incominciato a parlare in alcune riunioni. Io mi dichiaro a disposizione se si vorrà fare qualcosa che abbia il senso di una memoria viva e utile per il futuro, quel cammino creativo che ho cercato di indicare con questo mio intervento”.

“A questa vicenda storica che ci ha visti coinvolti umanamente e culturalmente – ha detto Stefano Cimicchi ex Sindaco di Orvieto – ci sono due approcci possibili: il primo, di tipo metodologico, perché sono state fatte cose ancora utili; il secondo, per capire quale impatto ha avuto questo periodo storico e questa vicenda del risanamento della Rupe sulla città, sul nostro territorio. La questione va infatti storicizzata. Orvieto è una città etrusca di cui oggi si stanno scoprendo le vestigia; una città che nel Duecento con l’edificazione del Duomo ebbe una ulteriore affermazione di sé, replicata nel Cinquecento. Poi i cosiddetti secoli ‘stitici’ fino ad arrivare agli inizi del Novecento quando con Mussolini, dalla città dei conventi Orvieto divenne la città delle caserme che ospitarono fino a 8 mila soldati oltre gli ufficiali.

Questo per dire che da questa vicenda storica della salvaguardia e tutela della Rupe di Orvieto deve scaturire l’esortazione ad una riflessione: negli anni ‘70 del Novecento c’era già una cultura della programmazione. Dopo il fallimento dei molini popolari, l’accadimento delle frane lungo le pendici della rupe e i crolli dei liscioni di tufo divenne l’inizio di una progettualità che è quella poc’anzi descritta. C’è un punto fermo che è quello della concezione urbanistica: una città non si restaura per farne un monumento freddo ma perché deve vivere attraverso il suoi edifici rifunzionalizzati come dimostra questo palazzo del Capitano del Popolo che nel tempo ebbe destinazioni plurime e che alla fine degli anni ’80 venne ristrutturato, restaurato e adibito a palazzo dei congressi. Oggi, quindi, la vera sfida è dimostrare che con le infrastrutture realizzate e per le vecchie e nuove funzioni degli edifici storici, l’apporto delle università e delle tecnologie, la città può affermarsi e risplendere in un nuovo futuro. Sono sicuro che una storicizzazione e una riflessione seria potrà giovare alle giovani generazioni”.

“Prima di portare qualche testimonianza concreta di vita vissuta al fianco di chi lavorava al consolidamento del colle di Todi e ai cittadini tuderti – ha detto Massimo Buconi ex Sindaco di Todi – vorrei ricordare l’importate ruolo del Senatore Spitella nel cucire, politicamente, l’unità di intenti che portò ad una azione coesa. Vorrei ricordare l’On. Botta allora presidente della Commissione Lavori Pubblici. La legge 230 ebbe un ruolo fondamentale su cui si basarono le leggi successive di rifinanziamento. Essa incise in modo importante anche sul recupero del patrimonio monumentale (indirizzato dalla Legge 545/1987) che parlava appunto di ‘valorizzazione’.

Ricordo inoltre, il ruolo importante svolto dai funzionati amministrativi della Regione che furono impegnati in gare di appalto complicatissime con assunzioni di responsabilità anche personali. Ricordo il grande protagonista che fu l’imprenditore Franco Todini, grazie al quale i lavori su Todi non si fermarono mai, nemmeno quando avrebbero potuto rallentare per un vuoto di flussi di risorse e che era pronto ad investire in prima persona sulla sua città. Oggi sento di augurare a tutti i Sindaci di poter vivere queste esperienze che li portano a stretto contatto con i cittadini. Penso infatti alla programmazione dei lavori che avveniva nel rispetto assoluto del vissuto quotidiano dei cittadini e delle attività economiche, aspetto su cui sarebbero innumerevoli gli aneddoti da raccontare. Non era facile conciliare le diverse esigenze ma l’imperativo era assicurare la vivibilità della città. E questo venne fatto. L’invito che io oggi rivolgo a tutti è che c’è la necessità di riprendere il filo delle leggi speciali per Orvieto e Todi e guardare al futuro”.

“Posso testimoniare l’amore che mio padre Franco aveva per la sua terra, così come la serietà, affidabilità e competenza del raggruppamento di imprese che svolsero i lavori e Todi e Orvieto, nonché quella delle tante aziende artigiane che collaborarono” ha detto Luisa Todini rappresentante dell’omonima impresa “Franco Todini” esecutrice dei lavori a Todi. “E’ vero mio padre diceva: ‘non mi interessa quanto costa, se il finanziamento pubblico non è sufficiente, quello che serve ce lo metto io!’ A significare che il senso imprenditoriale veniva incontro alle esigenze della città.

Ricevette la laurea ‘honoris causa’ in ingegneria anche per questo suo modo di essere imprenditore che si era fatto da solo partendo dal nulla, facendo la gavetta e stando costantemente sui cantieri accanto alle sue maestranze, riuscendo poi a creare un’azienda diventata riferimento nel settore delle costruzioni e delle opere stradali a livello internazionale. Sicuramente consolidare una città nella quotidianità dei suoi abitanti non è stato facile ma anche quella è stata una impresa riuscita. Io ricordo che tutti hanno partecipato a far sì che la legge venisse attuata a pieno. Una legge che, insieme alle successive, ha lasciato un segno non solo nelle nostre due città ma nella nostra regione, mi piace ricordare in questo senso il ruolo svolto da Andrea Monorchio già Responsabile della Ragioneria centrale dello Stato che ha dedicato tempo e risorse alla nostra regione.

Cosa resta di tutto questo? Vorrei innanzitutto evidenziare che di grandi opere come queste che hanno superato i confini nazionali, in Italia se ne fanno poche. La riflessione che io propongo quindi è che l’Italia deve poter investire nella creazione di ‘grandi opere d’arte’ – così sono definite tali tipologie di lavori nei capitolati d’appalto - per creare lavoro, nuova ricerca ed innovazione di cui c’è tanto bisogno”.

“La frana della Cannicella dette il via ad un susseguirsi di azioni e l’esperienza che oggi ricordiamo non si sarebbe potuta avere se non ci fosse stato un coordinamento, pieno e totale – ha dichiarato Franco Giustinelli già Assessore alla Difesa del Suolo della Regione Umbria e Senatore della Repubblica – venne usata una modalità inedita: sulla base dell’iniziativa dapprima dei Consigli Comunali delle due città, il Consiglio Regionale nella sua totalità presentò una disegno di legge al Governo nazionale. Fu la prima iniziativa nata ‘dal basso’. Orvieto e Todi soffrivano di una carenza di manutenzione. Basti pensare che, nei secoli addietro, il Governo Pontificio imponeva ai cittadini delle corvée a titolo gratuito per la bonifica della rupe dalle erbe e radici infestanti, così come a Todi della rete di cunicoli sotto la città che aveva bisogno di opere di drenaggio.

Il Progetto Orvieto ebbe accoglimento alla Conferenza Unesco di Belgrado e il Parlamento diede il via al primo intervento stralcio. Il progetto ebbe una risonanza nazionale e la prima fase venne gestita in pieno accordo con i tecnici e gli scienziati del CNR e dell’Istituto di geofisica. Ma i soldi non era sufficienti. Così il primo atto che feci in Senato con Dario Valori fu un disegno di legge per il rifinanziamento che conteneva alcune novità; la stessa cosa fece Alberto Provantini alla Camera dei Deputati. La legge arrivò. Alla base di tutto c’era la serietà con la quale veniva portato avanti il lavoro a livello tecnico e la credibilità della Regione Umbria; penso al sistema di Mobilità Alternativa impostato in quegli anni, che fu un progetto di ampio respiro. L’esperienza di Orvieto e Todi rimane dunque un punto fermo nella difesa del territorio del nostro Paese. A Todi ricordo che gli operai che entravano nei cunicoli alti mezzo metro e che mettevano a rischio la vita, facendo un lavoro fondamentale di pulizia, non di meno ad Orvieto vennero usate tecniche innovative”.

“Il significato più profondo di questa esperienza – ha concluso – fu l’approccio complessivo che, come punto di partenza, aveva il valore di questi due centri storici. Oggi le condizioni politiche ed economiche sono diverse, però non si può derogare al fatto che queste opere devono essere oggetto di manutenzione ed ancora verificate, altrimenti il processo di erosione sarebbe destinato a proseguire. Ritengo che dall’iniziativa di oggi debba ripartire un impegno dei Comuni e del Consiglio Regionale verso il Governo e il Parlamento”.

“Oggi appare inusuale ricordare quello che avveniva nel passato, ringrazio quindi per averci dato la possibilità di ripensare a quello che è stato fatto - ha detto Paolo Menichetti ex Assessore regionale alla Difesa del Suolo – per questo mi pongo due domande. La prima è: come è stato possibile che due città piccole di una regione piccola e decentrata rispetto al territorio nazionale, riuscissero a fare una operazione titanica come questa, cioè una legge e altri due finanziamenti per proseguire quanto iniziato?

E’ stato possibile perché c’è stato un giusto rapporto politico/istituzionale e di assunzione di responsabilità che aveva come obiettivo l’interesse collettivo. Allora fu possibile tenere insieme le varie questioni. E’ stato evitato che ci fosse qualsiasi premianza a garanzia di una unità sostanziale nel tempo. Altro aspetto da evidenziare è quello della qualità dei lavori che si stavano realizzando come verificò la stessa visita della Commissione Lavori Pubblici presieduta dall’On. Botta, così come la qualità delle relazioni diplomatiche.

Alla gara d’appalto c’erano più contendenti e le imprese appaltatrici tutte di alta qualità e professionalità. Progetti ben fatti, maestranze valide così come l’assetto tecnico di esperienza. Il primo pensiero non era quello di ipotizzare che le opere pubbliche fossero sinonimo di corruzione e di corrotti, ma di fare bene. La seconda domanda allora è: oggi sarebbe possibile? Forse sì, ma si dovrebbero rimuovere alcuni rischi facendo opere studiate per l’ambiente. La coesione politico/istituzionale dipende invece dalla classe dirigente. E’ questo un messaggio di speranza per iniziative possibili che rivolgo ai giovani”.

“La sfida fu quella di una intera classe dirigente – ha aggiunto Maria Rita Lorenzetti ex Presidente della Regione Umbria e Deputato della Repubblica – e la storia che stiamo riascoltando dalle varie testimonianze ci rammenta che cosa è possibile arrivare a fare quando c’è testa, ragione, cuore, scienza, accademia, imprese che tengono alla reputazione, e una classe dirigente che con la schiena dritta porta nelle sedi nazionali, idee come questa.

Il senso della celebrazione di oggi è anche quello di ripercorrere anni fecondi di varie riforme: gli anni ’70 con l’avvento delle Regioni, il ruolo dei Comuni, un alto stile della politica. Il fervore riformista di quegli anni ci diede ad esempio la Legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi, la legge 194 per la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza, la legge 193 del 1989 sulla difesa del suolo di cui l’Umbria anticipò importanti contenuti.

Tornando alla vicenda della Rupe di Orvieto e del Colle di Todi, dopo la legge 230 che fu una pietra miliare, la legge 545 face un ulteriore salto di qualità con l’istituzione dell’Osservatorio e dell’Alta Scuola. Certi rapporti istituzionali vennero anticipati dalla Regione Umbria.
Orvieto e Todi sono state due palestre di un laboratorio naturale. C’era l’orgoglio di una regione piccola come dimensione con un grande repertorio di esperienze, consapevole di essere patrimonio degli umbri e che aveva il dovere di dare continuità alle opere realizzate attraverso il monitoraggio e la manutenzione delle stesse.

Trasparenza, efficacia, coraggio, competenze scientifiche di CNR e Università furono alla base di un positivo lavoro di rigenerazione urbana dove l’Umbria ha attuato un approccio globale, integrato e innovativo. Storia e futuro di questo modo globale sta nell’affrontare le nuove sfide climatiche che ci impongono ancora di investire sulla manutenzione delle opere realizzate per non vanificarle”.

“E’ stato già detto del ‘fare squadra’ ma che non fu solo delle istituzioni e della classe politica ma anche dei tecnici - ha affermato Luciano Tortoioli, ingegnere Capo dei Lavori di Consolidamento di Orvieto e Todi – tutte le cose fatte, una sorta di enciclopedia dei vari passaggi dal 1978 ad oggi, furono proprio espressione di un lavoro di squadra a tutti i livelli. La legge per Orvieto e Todi, non fu una legge speciale come altre che però non hanno avuto lo stesso successo.

Gli elementi del successo furono, infatti: l’approccio globale alla manutenzione; l’approccio integrato ad un progetto di valorizzazione dei due centri storici; la cooperazione istituzionale a tutti i livelli: comunale, regionale e dello Stato; la qualità tecnica pubblico-privata; la collaborazione del Comitato Tecnico Scientifico (il Prof. Pialli, Conversini, Martinetti, Margottini e altri) che avevamo alle spalle; la non influenza della politica nelle scelte tecniche; il grande coraggio di aver scelto la strada della concessione, molto complessa sul piano amministrativo, e che non era un fatto scontato.

Il successo è dovuto anche al fatto che il consolidamento è sempre stato coniugato con altri aspetti, ad esempio collegare le due necropoli di Crocifisso del Tufo e della Cannicella il cui restauro, come bene archeologico, non sarebbe stato la stessa cosa se non ci fosse stata la realizzazione di un’opera che ne garantisse l’accessibilità e fruibilità da parte dei visitatori; oppure la manutenzione del paesaggio al ciglio della rupe nei punti più delicati, curandone l’inserimento ambientale; il consolidamento e la trasmissione di una esperienza mediante l’Osservatorio.

Oggi, se non si prosegue con costanza nella manutenzione degli interventi tutto questo può deperire. L’evoluzione è naturale e va tenuta sotto costante osservazione per preservare. ‘Italia Sicura’ può aiutare. Il senso dell’Alta Scuola è ancora vivo e reale e può riprendere vitalità anche nel campo del monitoraggio”.

“In questa regione abbiamo vissuto momenti straordinari proprio per gli eventi straordinari che abbiamo vissuto – ha detto la rappresentante sindacale Lucia Rossi – dal punto di vista sindacale, in questo territorio ho visto una identità forte che nella fase del rifinanziamento ha portato a momenti molto condivisi. Il cantiere della rupe era diverso rispetto al sistema edile perché era considerato una azienda con una struttura fisica a partire dalla mensa, si facevano accordi provinciali, c’erano tutele più garantiste. Per me, donna, lavorare nel settore delle costruzioni è stato inizialmente difficile perché i lavoratori con difficoltà riconoscevano il sindacato; ma questo venne superato quando tutti insieme si lavorò al rifinanziamento della legge; ricordo che in questa direzione si adoperarono il Sen. Carpinelli e l’On. Giulietti. Oggi c’è un po’ di nostalgia perché in quel periodo, per lo spessore politico delle proposte che si respirava, si raggiungevano degli obiettivi. Come sindacato ancora lavoriamo per il riconoscimento del diritto del lavoro e per la dignità che porta con sé”.

Claudio Soccodato e Massimo Mariani direttori tecnici delle imprese che realizzarono i vari interventi hanno riassunto ciò che è stato fatto in 40 anni, di cui la prima metà dedicata alla progettazione e realizzazione delle opere. “Nei primi venti anni ad Orvieto – ha detto Soccodato – sono state impermeabilizzate le aree urbane, consolidata la rupe, restaurate le murature che, in alcuni punti, sono state realmente ridisegnate sulla base di immagini e disegni del passato, è stata realizzata la sistemazione idraulica dei fossi e delle pendici. Sono state rilevate 453 cavità delle 900 presenti. Da 40 anni ad oggi la tecnica si è evoluta anche nella strumentazione dei sistemi di monitoraggio che sono stati approntati sin dal primo decennio dei lavori. Si è inoltre intervenuti sul sistema della Mobilità Alternativa e sul PAAO.

I successivi venti anni sono trascorsi nel controllare e monitorare gli interventi. Ci sono 15 milioni di dati acquisiti e archiviati nel SIOR / Sistema di osservazione e manutenzione della Rupe. Trenta anni di monitoraggio, 400 postazioni strumentali, 230 strumenti di acquisizione automatica, 17 UAD, una centrale operativa. Questo il lavoro fatto in questi anni, quello futuro non può prescindere dal mantenimento di quanto è stato realizzato, controllando, monitorando, facendo le manutenzioni continue e programmate". “A Todi vennero utilizzate le stesse tecniche e attuata una strumentazione che svolgesse una indagine evolutiva dello stato dei lavori” ha aggiunto Mariani che ha mostrato e commentato le immagini del team tecnico e delle maestranze che operarono in quella città sottolineando la forte motivazione che c’era a tutti i livelli esecutivi.

Lucio Ubertini componente della Commissione Tecnico Scientifica del risanamento della rupe di Orvieto e del Colle di Todi insieme a Pietro Conversini ha ricordato che “frutto del pensare positivo di quegli anni fu la nascita nel 1986, per volontà dei politici, della facoltà di Ingegneria per la difesa del suolo. L’intento dell’Alta Scuola era quello di fare di questa esperienza un momento accademico. La giornata odierna ci insegna che tutto questo va fatto continuando a pensare positivo. La situazione è tale che se continueremo a lavorare insieme con il coinvolgimento della comunità scientifica si potrà arrivare all’obiettivo”.

La conclusione del convegno dedicata al futuro della gestione del rischio residuo e dei cambiamenti climatici e il contrasto al disseto idrogeologico nell’Appennino Centrale tra passato, presente, futuro è stata tratteggiata da Erasmo D’Angelis, Segretario Autorità di distretto dell’Appennino Centrale. “E’ un fatto oggettivo che la pioggia porti come conseguenza le frane e le alluvioni – ha detto - quindi relativamente a tutte le opere che si possono realizzare c’è sempre un rischio residuo da gestire, semplicemente rifacendo quello che è stato fatto, ovvero: monitorare, sorvegliare, fare manutenzione.

Emozioni e rimozioni fanno parte di tutti noi e della vita sociale. Oggi, ascoltando tanti ricordi e testimonianze di 40 anni fa, abbiamo compreso bene che furono condivisi momenti di storia coinvolgente di una comunità che intuì ed attuò una governance nuova, una progettazione mai vista prima e che ha dato l’idea di come questo nostro Paese sia così geniale. Siamo di fronte ad una evoluzione che ha dato un messaggio all’Italia e al mondo. Il paesaggio italiano è un paesaggio storico, reso tale dall’uomo che ha fatto cose universali su territori molto fragili. L’Italia è uno showroom di grandi rischi naturali dove, con l’ingegno che ovunque nel mondo ci viene riconosciuto, si fanno cose meravigliose.

Quello della rupe di Orvieto e del colle di Todi, quaranta anni dopo è stato un intervento tecnico straordinario che ha anticipato la modernità di oggi. Coesione e senso di responsabilità sono valori fondamentali. Il filo non si interrompe, oggi è tutto più semplificato per certi aspetti.
Il primo alleato per le risorse è il MEF. E’ stato fatto un piano nazionale, regione per regione, ma mancano le progettazioni. L’Umbria sta lavorando bene. Su Orvieto attualmente ci sono sei interventi di cui due finanziabili, gli altri quattro sono al livello preliminare; anche per Todi sono stati già presentati due interventi preliminari.

Alle Istituzioni dico: dateci i progetti esecutivi e scatta il finanziamento. Come distretto di bacino dell’Appennino Centrale vi seguiamo.
Quella di 40 anni fa è stata un’epoca importante incentrata sulla prevenzione, oggi quasi il 12% del territorio nazionale è a rischio idrogeologico, quindi si deve correre per non spendere più in emergenza ma per prevenire i disastri. Dal 1948 abbiamo avuto una spesa annua di 7 miliardi per riparare i disastri, laddove la prevenzione è stata fatta ci sono state conseguenze diverse: ad esempio, Norcia ha resistito al terremoto in modo ben diverso da Amatrice; purtroppo altri territori in Italia sono come Amatrice. Per mettere in sicurezza da questi rischi la sola edilizia privata servirebbero 100 miliardi di euro, il piano nazionale ne prevede 27 miliardi. E’ tempo di mettersi in sicurezza. Il messaggio è quindi quello di lasciare aperta la stagione della prevenzione strutturale per aiutare la nostra sicurezza. Un’attenzione che si dimostrerà fondamentale nel prossimo futuro".

Tra gli ospiti del convegno anche la delegazione ufficiale di esperti nella tutela del territorio della Repubblica di Moldavia che in questi giorni sono ad Orvieto per il progetto di scambio Italia-Moldavia sui Contratti di Fiume, sulle direttive acque e alluvioni e sulla Protezione Civile, coordinato e diretto da Alta Scuola. Fra loro l’Ambasciatrice, Stela Stingaci che ha dato un suo contributo alla giornata del 40nnale della legge per Orvieto e Todi. “Siamo impressionati da come siete riusciti a creare una sinergia virtuosa mettendo insieme politica, scienza, ingegno, tecnica e la collaborazione delle vostre rispettive comunità – ha detto l’Ambasciatrice – in questo modo avete regalato e assicurato a tutta l’umanità tesori inestimabili.

La nostra presenza qua e la collaborazione con Alta Scuola ha delle motivazioni precise. Da un lato la prosecuzione del progetto SMARIGO 02 che stiamo portando avanti con i comuni, Alta Scuola e il Ministero degli Affari Esteri Italiano che ringrazio con gratitudine, l’altro motivo è quello della presenza ad Orvieto e Todi di una grande comunità di concittadini moldavi che avete accolto con generosità e che ormai sono perfettamente integrati in entrambe le città. Abbiamo voglia di imparare per crescere, siamo fiduciosi che questa esperienza di collaborazione ci sarà di grande aiuto nel nostro paese per la gestione delle acque che è un tema molto difficile, rispetto al quale speriamo presto di definire il ‘Contratto di Fiume Botua’ in Moldavia”.

In chiusura, il Sindaco Germani ha ringraziato tutti coloro che hanno partecipato all'iniziativa ed ha anticipato che un tratto del percorso intorno alla rupe verrà dedicato a Wladimiro Giulietti che fu Sindaco della città nel secondo quinquennio degli anni '70 quando avvennero i fenomeni franosi da cui scaturì la legge 230 del 1978.