cronaca

Rifiuti nel Tevere, l'ira del Wwf

lunedì 29 aprile 2002
Ad intervenire sul disastro ambientale sfiorato ad Alviano sono Gianni Cardinali direttore dell'Oasi gestita dal Wwf e Filippo Belisario responsabile del Wwf. L'intervento di Cardinali è tra gli editoriali mente quello che segue è il comunicato inviato alla nostra redazione da Belisario.

La storia insegna che il grado di civiltà e di armonia che una comunità di uomini riesce ad esprimere si rileva anche dai segni, più o meno incancellabili che essa lascia sul paesaggio o sull'assetto del territorio. Gli etruschi hanno lasciato il forte simbolismo e le geometrie dei luoghi di sepoltura, i romani le prime concentrazioni urbane e le grandi vie di comunicazione.

Probabilmente, fra i segni scaturiti dall'ingegno e dalla capacità della nostra comunità globalizzata a cavallo del passaggio di millennio, alle generazioni future resteranno la pervasiva e sistematica artificializzazione degli ultimi lembi di ecosistemi naturali, e diffusi affioramenti di enormi volumi di rifiuti.

In questo scenario, l'ambito territoriale che ci ospita sembra volersi candidare a ricoprire un ruolo assolutamente primario.

Da una parte abbiamo la vicenda delle ex cave di Alviano e Graffignano, "bonificate" con 50.000 tonnellate di probabili rifiuti tossici, che appare emblematica per la sensazione di notevole latitanza di controlli territoriali e per la conseguente consapevolezza dell'impunità che deve avere ispirato gli artefici del lucroso e ignobile affare. Alla fine, per fortuna, questo è venuto a galla in tutta la sua gravità (sarebbe interessante sapere in che modo) ed avrà pesanti risvolti giudiziari, nell'ambito dei quali rivolgo fin d'ora l'invito ai responsabili regionali del WWF a valutare l'opportunità di costituirsi parte civile. Tuttavia resta da verificare come sia stato possibile che un prolungato viavai di almeno 2.000 autotreni sulle provinciali della valle del Tevere, tanti ne servono per portare 50.000 tonnellate, abbia avuto luogo senza che qualcuno (Comune, Provincia, ASL, forze dell'ordine ecc.) si sia quanto meno incuriosito.

Dall'altra parte, non può essere taciuta l'originale vocazione a funzionare da polo attrattore regionale per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti che l'amministrazione comunale di Orvieto ha saputo esprimere da una alcuni anni a questa parte. Questa vocazione, benché legale (o meglio: non illegale) è stata, per certi versi, frustrata in occasione della vicenda del termovalorizzatore, ma con tenacia ha saputo sopravvivere e riprogettarsi attraverso iniziative sempre nuove, tra le quali l'accoglimento di decine di migliaia di tonnellate di rifiuti da altre regioni italiane. Ciò ha prodotto dei benefici effetti sui bilanci comunali, oltre che su quelli della società che gestisce la discarica, al punto che, ed è storia recentissima, si è formulata l'ipotesi di ampliare la discarica medesima per consenitre il conferimento dei rifiuti speciali di tutto il centro Italia.

Su argomenti del genere non voglio stracciarmi le vesti o passare da "anima bella" di un ambientalismo velleitario perché, come tutte le persone inserite in un contesto consumistico avanzato che induce sempre nuovi bisogni, produco quotidianamente 1kg in media di sostanze di scarto che da qualche parte devono pure andare, anche se mi sforzo di sperimentare comportamenti e scelte a minor impatto (riciclaggio, recupero, riutilizzo ecc.). Ritengo però che la storia delle discariche illegali nella Teverina e le fantasie da "polo unico dei rifiuti per l'Italia centrale" siano due facce di una stessa medaglia, che ignorano le fragilità e la complessità dei luoghi e dei processi su cui incidono, ispirate da analoghe logiche di facili, consistenti e prolungati guadagni.