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Cambiare il sistema agricolo e usare meno pesticidi? Si può fare

venerdì 19 aprile 2024
di Valeria Balboni

Lo scorso mese di febbraio abbiamo visto gli agricoltori scendere in strada con i loro trattori per manifestare contro le richieste dell’Europa per la tutela dell’ambiente naturale e della biodiversità, considerate, da molti di loro, ‘eccessive’. Fra queste c’era l’obiettivo, poi cancellato, di ridurre del 50% l’uso dei pesticidi più pericolosi, entro il 2030.

Agricoltori e pesticidi

Se questa richiesta risulta, per il mondo agricolo, inaffrontabile, significa che queste sostanze sono considerate indispensabili per la produzione. I pesticidi sono utilizzati per proteggere le colture da tutti gli organismi nocivi e prevenirne gli effetti, quindi per eliminare piante infestanti, insetti, funghi, batteri e qualsiasi essere vivente che ne ostacoli la crescita. Sono usati anche per conservare i prodotti vegetali e per eliminare organismi dannosi in ambiti diversi da quello agricolo, per esempio contro le erbe che crescono lungo le strade.

Le sostanze utilizzate come pesticidi sono molto numerose, agiscono con modalità diverse e spesso non è noto con quali meccanismi l’ambiente riesce a degradarle e quanto tempo è necessario. Sono impiegate in tutto il mondo con criteri e norme diverse: si stima che a livello globale ogni anno si utilizzino tre milioni di tonnellate di pesticidi. In Europa nel 2020 ne sono state utilizzate 468 mila tonnellate una quantità che da 20 anni si mantiene costante.

Impatti sulla salute e sull’ambiente

Molte di queste sostanze sono tossiche anche per l’uomo e altre specie animali e vegetali. Esiste naturalmente la possibilità di trovarne residui nel cibo e per questo i prodotti alimentari sono sottoposti a controlli regolari (di cui abbiamo parlato in questo articolo sul report di Legambiente 2023). Più difficile da controllare è forse l’impatto sull’ambiente, perché l’uso dei pesticidi, insieme alle tecniche di sfruttamento intensivo caratteristiche della nostra agricoltura ‘industriale’, sta drasticamente impoverendo i terreni. Senza dimenticare che una parte non trascurabile di queste sostanze, dilavata dalle piogge, finisce nelle acque e può danneggiare animali e vegetali andando ad alterare gli ecosistemi acquatici, oltre a compromettere l’utilizzo di queste stesse acque.

L’uso dei pesticidi e di tecniche di sfruttamento intensivo sono caratteristiche della nostra agricoltura ‘industriale’

I dati dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), relativi al biennio 2019-2020, segnalano il rilevamento di residui di pesticidi 55,1% delle acque superficiali e nel 23,3% delle falde sotterranee. Il 30,5% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali mostra concentrazioni di residui superiori ai limiti normativi e lo stesso accade per il 5,4% delle acque sotterranee.

Il glifosato la fa da padrone

Fra le sostanze che più spesso determinano il superamento, troviamo l’erbicida glifosato e l’AMPA, sostanza in cui si trasforma il glifosato una volta immesso nell’ambiente. Al glifosato dedichiamo molto spazio in queste pagine, perché è da anni al centro delle polemiche. Nonostante questa sostanza sia stata classificata come  “probabile cancerogeno” dalla IARC e diverse ricerche suggeriscano che possa provocare mutazioni e danni al feto, la Commissione europea ha da poco rinnovato l’autorizzazione al suo utilizzo per altri dieci anni. Un aspetto da evidenziare è poi la presenza di miscele di pesticidi nello stesso campione, fino a un numero massimo di 31 diversi principi attivi.

Le sostanze attualmente vendute in Italia come pesticidi sono poco più di 300, ma quelle che troviamo nelle acque sono più numerose, perché possono rimanere nell’ambiente anche per molti anni dopo essere state bandite dal commercio.

Che cosa si può fare per orientare l’agricoltura verso una rivoluzione ecologica, se sono proprio gli agricoltori a difendere questo sistema produttivo? Ne abbiamo parlato con Giovanni Dinelli, docente di agronomia all’Università di Bologna.

“Gli agricoltori hanno ragione di protestare – dice Dinelli – perché stanno scomparendo, a causa di un sistema agroalimentare che li strozza. Dal 1982 a oggi, in circa 40 anni, le aziende agricole italiane si sono più che dimezzate, passando da tre milioni a un milione e 200 mila. Per sostenere l’agricoltura si dovrebbe prima di tutto garantire un prezzo equo, quando oggi la maggior parte dei prodotti (dal grano ai meloni) sono pagati agli agricoltori 20-30 centesimi al chilo. I finocchi, che in questo momento sono pagati 20 centesimi al chilo ai produttori, si possono trovare in vendita al dettaglio a quasi 4 euro al chilo. Interrompere questo sistema distorto è il primo punto da affrontare.”

Difendendo i pesticidi, gli agricoltori difendono anche il sistema che li strozza

“Gli agricoltori però, protestando contro la richiesta di ridurre l’uso di pesticidi, difendono il sistema che li strozza. – Sostiene Dinelli – Le associazioni di categoria protestano contro le richieste dell’Europa ma non fanno niente per cambiare davvero il sistema. Si può tranquillamente dire che il nostro sistema alimentare è caduto nell’oligopolio. Le più grandi società alimentari dominano ogni anello della catena alimentare, industriale e commerciale da 8-10 trilioni di dollari. Quattro aziende (Syngenta, Bayer, Basf e Corteva) controllano il 62% del mercato agrochimico mondiale (dati ben evidenziati nel rapporto Food Barons 2022 di ETC).”

Qual è la situazione delle nostre campagne?

"A causa dello sfruttamento intensivo e dell’uso di pesticidi, i suoli agricoli si stanno impoverendo rapidamente, – fa notare l’esperto – se continuiamo in questo modo, fra 50 anni la Pianura Padana sarà un deserto. Già adesso, la metà dei terreni di pianura dell’Emilia-Romagna non arriva al 2% di sostanza organica, quantità considerata dalla FAO valore di soglia verso la desertificazione. Se andiamo a vedere il volume di pesticidi utilizzato in Italia, vediamo che è calato negli ultimi decenni, in valore assoluto, ma questo si spiega semplicemente con il fatto che la superficie agricola si è ridotta nell’ultimo trentennio di circa il 15% e la superficie a biologico si è raddoppiata".

D’altra parte, però, come potrebbero, gli agricoltori, rinunciare a questi prodotti in un tempo breve, come chiede (o meglio, chiedeva) l’Europa?

"La Comunità europea ha importanti responsabilità – dice Dinelli – perché con il Green Deal, considerando la riduzione dei pesticidi e l’aumento dei terreni lasciati incolti, ha suggerito un percorso virtuoso ma non ha creato le condizioni perché queste richieste potessero essere soddisfatte. Il sistema agricolo è iniquo e inefficiente. Per cambiare le cose si dovrebbero garantire prezzi minimi agli agricoltori, regolamentare l’import perché un prezzo equo dovrebbe essere garantito a chiunque, e sostenere gli agricoltori verso la transizione ecologica. Servirebbero investimenti mirati, non distribuiti a pioggia, ma indirizzati al sostegno di un’agricoltura davvero “ecologica”, grazie anche alla diffusione delle tecnologie già disponibili, utili a ridurre l’impatto".

Bisogna anche considerare che negli ultimi anni le vendite di prodotti biologici stanno rallentando, e questa tendenza pare, almeno in parte, da ricondurre all’aumento generalizzato del prezzo dei prodotti alimentari, che spinge molti italiani a risparmiare, magari rinunciando proprio ai prodotti bio, il cui prezzo medio è più elevato di quelli “convenzionali”.

"Questo è vero – dice l’esperto – ma dobbiamo renderci conto che può valere la pena spendere qualcosa in più per un alimento prodotto in modo salutare e rispettoso dell’ambiente. Attualmente, solo una piccola parte di ciò che spendiamo per un alimento biologico arriva al produttore. Questo deve cambiare, ma per garantire il prezzo giusto ai produttori, una parte dello sforzo deve inevitabilmente ricadere sui consumatori".

“Il sistema biologico, comunque, non è l’unica soluzion – continua Dinelli – esistono molti modi per ridurre la quantità di sostanze chimiche che invadono i campi, arrivando nei fiumi, nei mari e nei nostri piatti. Per esempio, ripristinare un certo equilibrio naturale nell’ambiente rurale reintroducendo siepi e alberi. Oppure utilizzando le diverse tecnologie (come la robotica associata alla intelligenza artificiale) che permettono di eliminare le piante infestanti in modo mirato, senza l’utilizzo di diserbanti. O ancora utilizzando i sensori che, registrando le condizioni chimico-fisiche del campo, permettono di razionalizzare e ridurre al minimo l’impiego di pesticidi. Sono tecnologie attualmente più costose rispetto al ‘semplice’ utilizzo di sostanze chimiche e richiedono un investimento importante, però sono già disponibili e questa è la strada da percorrere".

Tre sono quindi gli aspetti su cui puntare per una vera transizione ecologica: supporto agli agricoltori, utilizzo di tutte le tecnologie disponibili e sensibilizzazione dei consumatori.

RIPA (Rete Interregionale Patrimonio Ambientale)
Fonte: Il Fatto Alimentare