Quando i numeri diventano allarmi, un territorio è chiamato a organizzare risposte. L’analisi di Margherita De Bac sul Corriere della Sera lo mostra con chiarezza: dal 2016 a oggi le prescrizioni di psicofarmaci a bambini e adolescenti in Italia sono più che raddoppiate, passando dallo 0,26% allo 0,6%. Una crescita del 130% che non parla solo di farmaci, ma di un sistema - forse da ridefinire, oltre che da finanziare ulteriormente - che intercetta il disagio troppo tardi. Ansia, autolesionismo, crisi di panico, ossessioni, depressione: non è un’improvvisa epidemia emotiva, è ciò che per anni è rimasto nascosto sotto la pelle delle relazioni e che oggi emerge in tutta la sua cruda evidenza.
E allora la domanda inevitabile è: che cosa significa tutto questo per il comprensorio orvietano? Significa che il disagio non è altrove: è già qui. Lo mostrano le scuole, alle prese quotidianamente con fragilità emotive e comportamentali. Lo confermano le famiglie, spesso disorientate e sole. E lo dicono soprattutto i tempi di attesa della Neuropsichiatria infantile, oggi schiacciata da una domanda che cresce più rapidamente delle risorse disponibili.
Un servizio “in affanno” non è un giudizio morale: è una condizione strutturale. Vuol dire mesi di attesa per una valutazione, carenza di neuropsichiatri e psicologi, difficoltà nel garantire percorsi riabilitativi continui e un aumento dei casi che arrivano quando il disagio è già diventato sintomo. E quando la risposta non arriva nei tempi giusti, cresce anche il rischio della medicalizzazione.
In una città che pensa al futuro, però, la prevenzione non è un lusso. Il Comune non può assumere specialisti né prescrivere cure, ma può agire nei luoghi cruciali del “prima” e del “durante”, dove si decide davvero la salute mentale dei nostri ragazzi.
Tre azioni sono alla portata.
Primo: un Tavolo permanente Infanzia e Adolescenza che riunisca neuropsichiatria, scuole, pediatri, consultorio, terzo settore e istituzioni locali. Non un organismo simbolico, ma uno spazio operativo per leggere insieme bisogni e priorità. Il disagio è trasversale: o si governa in rete, o diventa ingovernabile.
Secondo: sportelli psicologici territoriali e scolastici, sostenuti anche dal Comune, per un primo ascolto competente e accessibile. In altri territori hanno ridotto fino al 40% gli invii impropri alla neuropsichiatria, liberando gli specialisti per i casi più complessi.
Terzo: un fast track psicologico per le urgenze non mediche - crisi emotive, stati d’ansia gravi, autolesionismo episodico, conflitti familiari acuti - con una presa in carico entro 72 ore da parte di equipe territoriali in raccordo con la USL. È il modo più efficace per evitare che ogni situazione esploda e finisca sulle spalle già fragili degli specialisti.
Il Comune non può restare spettatore: deve riconoscere questo disagio e agire come primo motore dell’organizzazione delle risposte.
La sofferenza degli adolescenti non è una questione privata: è un indicatore della qualità della vita di una comunità. E quando le liste d’attesa diventano muri, spetta alla politica locale aprire varchi; quando le famiglie non sanno da dove cominciare, tocca alle istituzioni accendere le luci; quando i servizi arrancano, serve una regia capace di tenere insieme i pezzi.
Un territorio che non protegge i suoi giovanissimi si impoverisce da solo. E partire dal dato nazionale sugli psicofarmaci non significa fare terrorismo psicologico, ma riconoscere che anche qui, nelle nostre scuole e nelle nostre case, il disagio è già realtà.
La scelta, ora, è se limitarci a registrarlo o iniziare finalmente a trasformarlo.