In un tempo in cui il selfismo, quella febbre di specchi e di schermi, sembra dettare le regole del vivere, una generazione di ragazzi e ragazze sta riscrivendo la narrazione collettiva. Lo racconta Avvenire, che nell’edizione del 23 settembre 2025 ha rivelato un dato sorprendente e luminoso: i volontari tra i 14 e i 24 anni sono ormai circa 772.000, e le donazioni economiche hanno segnato un +3,7% in un solo anno. Una fioritura inattesa, come un campo che sboccia nel pieno d’inverno.
Ma dietro le cifre pulsa qualcosa che le statistiche non sanno dire. È il bisogno ostinato di “fare la differenza a favore degli altri”, di forare il guscio delle solitudini digitali per rimettere al centro il contatto umano. Ragazzi e ragazze che offrono tempo, creatività e passione a parrocchie, associazioni, cooperative: non per calcolo, ma per una visione di bene comune che profuma di gratuità e di avvenire.
In un Paese che troppo spesso guarda ai più giovani con sguardo distratto, quasi rassegnato, queste esperienze diventano un viatico prezioso: spingono a ripensare politiche davvero operose, capaci di fendere le tante cortine dell’esclusione sociale. Dicono che c’è un’Italia che preferisce servire invece di consumare che sceglie di edificare comunità accoglienti piuttosto che lamentarne l’assenza.
È una rivoluzione silenziosa, eppure già visibile come una stella in pieno giorno, che interpella anche le istituzioni: sostenere questi percorsi significa investire nel futuro più solido che abbiamo, quello della solidarietà vissuta e partecipata.
Un volontariato che osa platee inusuali, che parla con il “pubblico” dei poveri e dei drop-out, sapendo che anche chi vive ai margini custodisce un tesoro. Un tesoro che, forse per distrazione o paura, abbiamo lasciato impolverare o, peggio ancora, non abbiamo mai imparato a riconoscere.