Ci sono vite che non hanno conosciuto la carezza del primo respiro. Vite sospese tra un battito e un sogno, vite che hanno appena sfiorato il confine dell’essere. Bambini mai nati, figli dell’attesa e del mistero, piccoli semi che la terra non ha accolto.
Sono silenzi che si aggirano tra le stanze di una casa e nei pensieri di chi li ha soltanto immaginati. Alcuni si fermano per un tremore di paura, per un’ombra improvvisa di smarrimento che attraversa la mente e il cuore; altri svaniscono perché la natura, in un suo impercettibile fremito, decide di interrompere il viaggio prima ancora che inizi.
Non c’è dimora per inquisizioni né per discorsi che si ergono a tribunale. Solo un grande tempo sospeso, fatto di rispetto, di pudore, di umanità. Nessuno conosce davvero il groviglio di lacrime e di coraggio che abita il cuore di una madre quando si frantuma l’attesa, quando il palpito si dissolve come un sussurro nel buio.
Non è un terreno dove scagliare pietre, ma un luogo sacro, fragile, da attraversare in silenzio, dove persino le parole chiedono permesso prima di posarsi. C’è una geografia nascosta che custodisce questi gesti invisibili: un abbraccio mancato, un nome mai pronunciato, una culla rimasta vuota.
In fondo, la vita è fatta anche di ciò che non è stato. E quei sogni interrotti continuano a smuovere leggere correnti dentro di noi, insegnandoci la tenerezza per ciò che sfugge, la delicatezza per ciò che non si può stringere. E allora resta solo un invito sommesso e tenero: custodire il mistero, onorare la fragilità, accogliere anche ciò che non ha avuto il tempo di accadere.
Perché ogni vita, anche la più piccola e invisibile, continua a parlarci in modi che spesso non sempre sappiamo decifrare.