Non si muore più soltanto in mare. Ora si muore anche nel deserto, sotto la sabbia che copre frettolosamente fosse comuni in Libia. Decine di corpi ritrovati, brandelli di vite, anche di piccole creature, sepolte senza nome e senza storia. Sono migranti, fratelli e sorelle che abbiamo lasciato morire due volte: la prima nel loro viaggio di fuga, la seconda nella nostra assenza morale.
Mentre il Mediterraneo si è già trasformato da tempo in un confine liminale e lugubre di morte, il Sahara ne continua l’opera. Qui, chi fugge non trova salvezza, ma predatori senza scrupoli, trafficanti, mercanti di organi, aguzzini che scambiano vite per denaro. E intanto l’Europa, impegnata a contare i cali delle statistiche sugli sbarchi, firma accordi per delegare ad altri il compito di “ripulire” le rotte.
L’Italia, in prima fila con il suo Piano Mattei, ha scelto la via più comoda: pagare per tenere lontano il problema, chiudere gli occhi davanti alle torture nei centri libici, ignorare le deportazioni e le repressioni. L’importante è che non si vedano più i barconi nei telegiornali.
E se qualcuno sopravvive a tutto questo, lo ritroviamo piegato nei nostri campi, a raccogliere frutti che non potrà mai permettersi di comprare, schiavo di un sistema che sfrutta e poi dimentica. Una reificazione brutale, dove la persona diventa puro strumento, forza lavoro da consumare e scartare. Tutto questo avviene sotto gli occhi distratti dello Stato e il controllo capillare delle nostre mafie locali, che su questa moderna tratta degli schiavi costruiscono affari e potere.
La destra agita lo spauracchio dell’invasione, dipingendo il migrante come l’uomo nero per eccellenza: stupratore seriale, energumeno violento, minaccia vivente sulle nostre strade e per i nostri figli.
La sinistra, semplicemente, non c’è: incapace di un sussulto, evaporata nel vuoto delle sue stanche liturgie. E diciamolo chiaramente: a una certa sinistra fa comodo restare prudente, equilibrare le parole, evitare di esporsi. Perché, in fondo, anche tra i suoi elettori il migrante è ormai percepito come concorrente scomodo, il volto del lavoro malpagato, della precarietà che morde, dell’assenza di prospettive. Meglio allora trincerarsi dietro la retorica delle “soluzioni condivise”, senza disturbare troppo un consenso già fragile.
Nel frattempo, si continua a scavare a mani nude. E per ogni fossa che si apre, si chiude un altro capitolo di umanità.
Finché accetteremo tutto questo, non saremo altro che i custodi oziosi di un continente che ha smarrito la sua anima. Forse per sempre.