Il mondo a portata di mano
sociale

Tempo vero

giovedì 1 maggio 2025
di Angelo Palmieri

C’è un disagio che non si vede, doloroso, che sfugge a ogni facile ermeneutica; non è narrazione alcuna delle cronache giornalistiche. Ma c’è. Vive nelle pieghe silenziose delle giornate dei nostri ragazzi. Sta nei loro sguardi abbassati, nelle risposte tronche, negli umori flessi. Non urla. E proprio per questo rischia di essere violato.

C’è chi lo chiama “disagio sommerso”. Io penso sia, più semplicemente, un dolore che si ritira, che si chiude in sé stesso, che ha smesso di cercare ascolto. È fatto di stanchezza senza motivo, di sonni agitati, di una tristezza sottile che richiama, nel profondo, una difficoltà adattiva. È fatto anche di sorrisi forzati, di presenze che ci sono ma non si sentono. È l’assenza di desiderio, quella più difficile da nominare.

Lo vedo nelle scuole, lo sento nei racconti di chi lavora con gli adolescenti. Lo intuisco nei ragazzi che si adattano, si conformano, ma dentro si spengono. Ragazzi che non protestano, ma si lasciano andare. Che non chiedono aiuto, ma lo implorano in silenzio.

La verità è che ci manca spesso lo sguardo giusto. Ci siamo abituati a intervenire solo quando qualcosa esplode: quando arriva la crisi, l’atto deviante, il voto che crolla, la rabbia che sfonda la porta. Ma la crisi interiore più profonda è quella che si annida prima. È quella che cresce nelle stanze dove nessuno osa entrare, nelle parole che sibilano appena, nei corpi che si chiudono su sé stessi, nei tic che affiorano senza preavviso.

Educare oggi è anche – forse soprattutto – saper stare accanto. Non per correggere, ma per esserci. Per intercettare un segnale prima che diventi frattura. Per offrire tempo vero, non solo presenza fisica. Per restituire dignità al desiderio, che è l’energia più fragile e più potente di tutte. In fondo, educare è accompagnare: condividere il passo, abitare il margine, sostenere senza invadere.

Occorrono presenze adulte che sappiano scorgere il dolore latente. Che non giudichino, che non banalizzino. Che non dicano: “È solo una fase” o “Passerà”. Abbiamo bisogno di adulti che tornino ad abitare le domande, a farsi compagnia, a non avere fretta di risolvere.

Perché ci sono strappi invisibili. E chiedono rispetto, ascolto e tempo. Forse anche quella giusta tenerezza – avrebbe detto Eugenio Borgna – necessaria alla cura dell’anima e del corpo. Non soluzioni rapide. Solo tempo vero. E uno sguardo che finalmente si fermi.

 

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