Mia madre circa tre anni e mezzo fa decise, vedova da poco più di 18 mesi, di trascorrere la convalescenza seguita ad un suo grande intervento ortopedico presso la struttura Casa Natività di Maria di Morrano.
Entratavi intorno alla metà di ottobre del 2016 ne usciva completamente ristabilita (per quanto fosse concesso dal suo quadro clinico) il 19 novembre dello stesso anno.
Si era trovata comunque talmente a suo agio da anticiparmi che, passate le feste Natalizie, sarebbe tornata in “formula alberghiera” presso la struttura fino alla fine della brutta stagione.
Il suo intento era quello di trascorrere così gli anni futuri, tornando nella casa di Orvieto solo per la bella stagione; durante i mesi caldi sarebbe potuta uscire e vedere “gli altri “ , gli amici e conoscenti di Orvieto, durante quelli di maltempo sarebbe stata a Morrano in quel “buen retiro” accudita e, così si sentiva, coccolata.
Poi, con il passare dei giorni, la nostalgia della Casa di Natività di Maria la avvolse: noi figli potevamo farle visita a casa solo la sera, rientrati dal lavoro e durante i fine settimana. L’idea di trasferirsi presso uno di noi non la convinceva affatto e quella di mettersi “un’estranea” , una badante in casa, men che meno.
Decise così di tornare a Morrano ben prima di Natale con mia sorpresa e con il mio disappunto, quello di mia moglie e, in parte, quello di mia sorella. Dico in parte perché mia sorella aveva già intuito da donna e consanguinea quello che a me apparve chiaro solo dopo: lei sarebbe rimasta lì non solo in inverno, ma per sempre.
Intanto le condizioni della sua colonna vertebrale hanno avviato un progressivo decadimento richiedendo ben presto la sedia a rotelle e, pertanto, un’ assistenza maggiore di prima, assistenza che lì ottiene quotidianamente.
Non è venuta meno mai la nostra vicinanza perché più volte durante la settimana tutti noi l’andiamo a visitare e per ogni occasione di festeggiamento lei viene con noi, nei pranzi domestici o in quelli al ristorante.
Ho fatto questa premessa per chiarire il quadro generale e fugare ogni dubbio che quanto sto per scrivere non è affatto dettato dalla riconoscenza per chi ci ha tolto il peso di gestire un’anziana madre.
Arriviamo quindi all’emergenza Covid 19.
Purtroppo, sono tre lunghi mesi che non la vediamo se non tramite le videochiamate. Niente più visite. Niente più pranzi.
L’unica cosa che ci ha consentito di non perdere la testa è stata la consapevolezza di quanto amore e cura le vengono riservati dai, pur provati dall’emergenza, operatori della Casa.
Dai primi giorni del mese di marzo, prima ancora che il lock-down colpisse tutti noi all’esterno, la Casa Natività di Maria si è data regole restrittive che hanno consentito di evitare l’ingresso del virus nella struttura.
Questi operatori generosi e coraggiosi si sono imposti regole ferree anche fuori della struttura, nella loro vita privata, per preservare i nostri cari da un contagio che, vista l’età media e le condizioni generali, si sarebbe rivelato fatale per molti.
Vogliamo di ringraziarli, anche per conto di chi non può farlo.
Ringraziarli, uno ad uno: gli O.S.S., il personale delle pulizie, la direzione, la segreteria, gli infermieri, l’assistente sociale Leda Romualdi, la fisioterapista Seila Cesaretti e quanti a vario titolo lavorano e gravitano intorno alla Casa.
Ringraziare Don Peppino e Don Ruggero per la felice intuizione e per l’enorme spirito di carità che hanno consentito la fondazione della Casa e il proseguimento della sua opera meritoria.
Ringraziare la dottoressa responsabile della struttura, la Dott.sa Tiziana Riscaldati che con la Sua prudenza e lungimiranza ha consentito agli ospiti della Casa e, di conseguenza, a noi famigliari, di vivere in modo tranquillo un distacco obbligato, duro si, ma almeno sereno.
Grazie.