Aspettando i barbari

Nel 1904 il poeta greco Costantino Kavafis scrisse una poesia destinata a restare attualissima: "Aspettando i barbari".
In quei versi, un intero impero è in attesa dell’arrivo dei "barbari", nemici temuti ma anche sperati. La popolazione, i senatori e persino l’imperatore attendono che giungano per cambiare qualcosa, per porre fine all’immobilismo, per dare un senso a un potere ormai svuotato.
Ma quando, alla fine, si scopre che i barbari non arriveranno, cala un silenzio denso e inquieto. E il poeta conclude amaramente:
"E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente".
Kavafis aveva già compreso che le società, le politiche in crisi spesso cercano un nemico per giustificare la propria paralisi, per nascondere le proprie contraddizioni, l’incapacità di elaborare riforme e per non affrontare il cambiamento.
Quelle parole scritte oltre un secolo fa sembrano descrivere la nostra politica di oggi, la nostra società, il ruolo dei media, i leoni da tastiera.
Viviamo tempi in cui si ha sempre bisogno di un "nemico" – di un avversario da demonizzare, di una categoria sociale su cui scaricare le colpe, di un "altro" da temere o denigrare più che confrontarsi.
È più facile dividere che costruire, più comodo agitare paure che proporre soluzioni, più redditizio cercare consensi alimentando rabbia che cercando verità e mediazioni.
I "barbari" di Kavafis oggi sono i bersagli di turno del dibattito pubblico: il migrante, la guerra e la pace, il politico avversario, il giornalista critico, o persino il vicino che la pensa diversamente.
E così, mentre si consuma il rito sterile del conflitto, la politica smarrisce la sua funzione più alta: dare risposte, unire, riformare. La democrazia perde senso, diventa fragile.
Quando però i “barbari” non arrivano, il nemico non è tale – quando non c’è più nessuno da accusare nel merito e l’alternativa è inconsistente, confusa – resta il vuoto: quello di una società che ha smesso di interrogarsi su sé stessa, che non sa più ascoltare, che ha paura del confronto vero, della ricerca di risposte politiche. Lo slogan sostituisce il pensiero profondo ed il saper guardare oltre il presente.
In Umbria come nel resto d’Italia, serve l’opposto: una politica che non viva di contrapposizioni, ma di costruzione, che riconosca i bisogni reali dei territori e dei cittadini, che faccia dell’esperienza, del rispetto, della consapevolezza e della responsabilità la nuova frontiera del cambiamento.
Forse, come scriveva Kavafis, i barbari "erano una soluzione". Ma la vera soluzione, oggi, è smettere di aspettarli, smettere di alimentare mostri e paure, smettere di propagandare soluzioni inattuabili nascoste nella semplificazione, nelle false verità, nella presunta superiorità.
È ritrovare il coraggio della buona politica, quella che unisce, riforma e guarda avanti. La consapevolezza della forza dell’agire insieme, di essere migliori.

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