"Quo vadis, Orvieto?"

Venti anni fa, il 22 giugno 2005, il Consiglio Comunale discusse e approvò all’unanimità il Business Plan di RPO Spa, la società uninominale costituita dal Comune di Orvieto per la rifunzionalizzazione della ex caserma Piave. La mission di RPO si inquadrava in una mission più ampia, quella stessa della città e del territorio; RPO perciò si poneva ed agiva come strumento della politica dell’A.C. che allora ancora sembrava mirare alla riqualificazione e al rilancio dell’intero contesto urbano.
Di conseguenza il riuso dell’ex Piave perseguiva l’obiettivo fondamentale di imprimere una forte spinta ai processi complessivi di crescita e di sviluppo secondo una visione integrata delle risorse e con caratteristiche di qualità e di durata, tenendo ovviamente conto delle logiche di mercato.
Immediatamente dopo e contraddicendo questa impostazione, l’amministrazione comunale stessa in prima persona, assecondata dal mondo politico della città e non solo da questo, operò perché quel progetto si fermasse e fosse abbandonato. Alla fine RPO fu messa in liquidazione. Il BP fu inspiegabilmente dimenticato. Ma sta lì e può ancora indicare strategie utili. Insomma è un patrimonio che potrebbe essere utile rivisitare.
In questi venti anni sono state affacciate poi diverse soluzioni. Il dato di fatto però è che nessuna è riuscita ad andare oltre la soglia degli annunci e del dibattito di circostanza.
L’ultima proposta per una rifunzionalizzazione a dimensione urbana e territoriale capace di proiettare Orvieto nel futuro, e inserita nelle tendenze del mondo contemporaneo, è stata l’idea progettuale del “Museo dei musei” che, collegata come ipotesi di lavoro ai fondi del PNRR, è arrivata fino ad investire l’interesse del MIBAC. Ma anche questa lì si è fermata.
Resta dunque più che mai aperta la questione ex Piave e con essa sia il suo destino come patrimonio determinante per il futuro della città storica e dell’intero territorio. Soprattutto se considerato, come deve essere, parte di una strategia di riuso complessivo del patrimonio storico, pubblico e privato.
Nel frattempo molte cose sono accadute. Si è verificata una trasformazione generale pesante e importante della città storica e del territorio, in termini di assetto sociale, di attività economiche, di funzioni. L’aspetto più evidente è stata la crescita progressiva dell’ipotesi di sviluppo che da quelle vicende prese piede, ossia l’idea di una città vocata al turismo di massa e di un territorio sostanzialmente destinato ad uno sviluppo monoculturale vitivinicolo.
Queste ipotesi mostrano ormai segni di esaurimento. Il settore agricolo, vitivinicolo e oleario, ha limiti oggettivi e non può reggere per ragioni evidenti l’intero peso dello sviluppo. Altre ipotesi legate alle tecnologie digitali non sono decollate. Il turismo di massa trasforma l’assetto urbano, piega la città alle sue esigenze, rende tutto provvisorio e precario, e alla fine impoverisce il tessuto sociale, la cultura e la stessa economia.
In sostanza la città non riesce a stare al passo con le trasformazioni del mondo. Perde le funzioni urbane più importanti, gli abitanti ne soffrono e diminuiscono. Mentre la popolazione invecchia, nascono pochi figli, i flussi migratori non compensano. Il territorio per tante ragioni stenta moltissimo a diventare attrattivo.
Non possiamo assistere passivamente a questi processi che ci parlano di un futuro incerto e problematico, processi che hanno sì caratteristiche specifiche, ma che riguardano in generale tutte le città con forte rilievo storico e con funzione turistica preponderante di massa. Perché c’è un mondo che cambia rapidamente logiche, sistemi di produzione, di distribuzione e consumo, e gusti, tendenze e abitudini.
Bisogna ripensare il futuro, da subito. Farlo per Orvieto vuol dire farlo più in generale anche per gli altri centri e borghi a vocazione turistica e culturale nel quadro di territori ricchi di emergenze storiche con caratteristiche agricole e ambientali di pregio.
Il tema dell’ex caserma Piave può essere l’innesco per una riflessione non occasionale e ad ampio spettro. Ecco allora perché il titolo “Quo vadis, Orvieto?”. Quo vadis? è la domanda che l’apostolo Pietro rivolge a Gesù avendolo incontrato mentre stava scappando da Roma per sfuggire alle persecuzioni di Nerone. Gesù gli risponde che stava andando a Roma per farsi crocifiggere una seconda volta. Così Pietro capisce che non può scappare, torna a Roma e viene appunto crocifisso.
Il titolo dunque vuole non solo porre il tema della direzione di marcia ma affermare che questo tema oggi è tale che non consente di scappare, perché è tema maturo e va affrontato con la maturità di classi dirigenti chiamate al loro compito di elaborare una strategia, di indicare una strada credibile e che merita l’impegno di tutti.
È la stessa domanda che ci si è posti a Roma in questi stessi giorni. Anche lì, e anche a maggior ragione, ci si sta chiedendo “Quo vadis, Roma?. È una iniziativa del giornale l’Altravoce a cui sono chiamati a dare il proprio contributo professionisti dei diversi settori, organizzazioni sociali e cittadini, con l’intento di far emergere sui molti temi che interessano il futuro di Roma capitale spunti tali da generare un confronto permanente che accompagni la trasformazione della città. Un approccio nuovo ad un tema complesso e quanto mai urgente.
Si potrebbe seguire la stessa metodologia per Orvieto, sperimentando così nello stesso tempo anche per altri centri storici di dimensioni contenute ma con spiccata propensione turistica e importante ruolo territoriale, una strategia non occasionale di cambiamento coraggioso e lungimirante.
Si tratta anzitutto di scegliere gli argomenti strategici e l’evento di partenza. Lo vorremmo fare insieme ai diversi soggetti che hanno dimostrato di avere le nostre stesse preoccupazioni. Nei prossimi giorni procederemo in questa direzione.
Per ora ci sembra importante dare il via a questo percorso legando il ragionamento e le conseguenti attività ai vent’anni dell’operazione RPO che affrontava in modo sistemico il riuso del patrimonio per lo sviluppo qualificato della città insieme al suo territorio.
Franco Raimondo Barbabella,
presidente dell'Associazione "Il Pensiero"
Dante Freddi,
presidente dell'Associazione "Pier Luigi Leoni / Educazione alla Cittadinanza"

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