politica

Bella Orvieto: "Contro la pistola dell'oblio. Una replica all'ideologia del taser"

sabato 31 maggio 2025

Si parla di taser come se fosse una bacchetta magica per riportare ordine in città, come se il cuore pulsante della sicurezza fosse fatto solo di impulsi elettrici e non anche, e soprattutto, di socialità vissuta, di presìdi educativi, di prevenzione strutturale. Sicurezza, si dice. Ma nella pratica diventa un mantra a tre tempi: colpisci, stendi, spegni. Altro che presidio civile: sembra una coreografia da manuale repressivo.

La Lega di Orvieto, e non solo, accusa la sinistra di ideologismo, di vivere fuori dalla realtà, quasi in una cornice distopica. Ma, ironia della semantica, o se volete dei bizantinismi a voi familiari, è proprio un’ideologia, e nemmeno troppo sottile, a informare il loro manifesto: un’ideologia in salsa securitaria, che confonde la gestione del disagio con la sua repressione, l’autorità con il meccanismo di un grilletto.

Si sventola lo slogan del “buonsenso”, ma ciò che affiora è piuttosto un linguaggio irrigidito, impaurito, segnato dalla retorica del nemico e da una narrazione allarmista di città sotto assedio, sempre sull’orlo di un ictus morale. Ma dove sarebbe questa Orvieto assediata? Dove la violenza così dilagante da giustificare l’adozione sistematica di un’arma a impulsi elettrici per la Polizia Locale?

Chi parla in questi termini sembra ostaggio non della realtà, ma del suo fantasma – che è spesso più insidioso: lo stigma. Il punto non è il taser in sé, ma la prospettiva culturale che lo accompagna. Una prospettiva che esclude, semplifica, irrigidisce. Che dimentica che sicurezza è anche, e soprattutto, una piazza viva, una scuola che accoglie, un centro giovanile aperto la sera, un educatore in più, una famiglia ascoltata.

Il filosofo Paul Valéry ci ricordava che la politica è l’arte di impedire alle persone di impicciarsi di ciò che le riguarda davvero. Ecco, parlare solo di taser è una forma sofisticata di distrazione di massa. Nel frattempo, le marginalità si cronicizzano, i giovani si perdono nel buio dell’assenza, e i fondi pubblici si orientano verso il controllo, non verso la cura.

Si dirà che siamo “troppo idealisti”. Ma è curioso che venga sempre etichettato come idealismo ciò che, in realtà, è semplice ragionevolezza: investire nella prevenzione, non nella paralisi elettrica. Sostenere l’educazione, non l’arsenale. 

Se davvero volessimo affrontare il disagio giovanile a Orvieto, che esiste, ma non si risolve a colpi di scarica, potremmo rifinanziare un osservatorio sulle dipendenze capace di leggere la complessità, non solo di produrre dati. Potremmo immaginare un patto educativo territoriale, che non lasci soli insegnanti, assistenti sociali, educatori di strada.

Potremmo, ed è quasi un’eresia, ascoltare i ragazzi. E allora no, non è con il taser che si costruisce una città più sicura. È con l’ascolto, con la prossimità, con la cultura. Con politiche pubbliche non generate dalla paura, ma animate da un pensiero lungo. Perché, come scriveva Camus, se l’uomo fallisce nel conciliare la giustizia e la libertà, allora fallisce in tutto.

E una città che scambia l’ordine per la giustizia, e l’elettricità per il pensiero, è una città che ha già smarrito sé stessa.

Bella Orvieto

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