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Barbabella (Prima gli Orvietani): "Non si è voluto un confronto nel merito e nel metodo"

mercoledì 14 ottobre 2020
Barbabella (Prima gli Orvietani): "Non si è voluto un confronto nel merito e nel metodo"

Il consigliere comunale Franco Raimondo Barbabella, capogruppo di "Prima gli Orvietani" spiega le ragioni della sua contrarietà alla sostanza e al modo in cui si è preparata e decisa la vendita di Villa Montiolo, per le quali non ho partecipato alla Conferenza dei Capigruppo di lunedì 12 ottobre.

"La mia - afferma - non è certo una fuga dal confronto, ma esattamente il contrario: è la sottolineatura che non si è voluto e non si vuole un confronto corretto e serio nel merito e nel metodo, ciò che si deve fare a tempo debito e nelle forme rispettose delle altrui funzioni. Pongo un problema perché un problema c’è. Se poi lo si vuole ignorare è altra cosa.

Questa vicenda della vendita di villa Montiolo a me pare esemplificativa di un modo del tutto sbagliato, soprattutto inadeguato ai tempi che viviamo, di intendere la funzione di governo perché appunto rinserrato in una logica di stratagemmi e di soluzioni tampone che ripetono stanche esperienze passate, non più utili, ripetitive, arretrate. Ad essa occorre sostituire una politica di alto profilo progettuale, capace di soluzioni durature che fermino l’impoverimento del patrimonio, e con esso dell’organizzazione sociale collettiva, per farne al contrario uno strumento di rinascita.

Segnalo alcuni punti cruciali della mia posizione:

1.   Si doveva rispettare la volontà testamentaria: la proprietà è del Comune e non è alienabile, e non è un problema di forma;

2.   La Fondazione ha funzione di gestione, per cui non può e non deve sostituirsi al Comune nelle operazioni di vendita: trattare il prezzo e le modalità d’asta e incamerare i soldi; il Comune deve essere garante della priorità dell’interesse pubblico, cioè generale, della distinzione dei ruoli e delle competenze in una visione unitaria di collaborazione tra gli enti e non di sostituzione, quindi della linearità degli atti;

3.   Ci possono essere soluzioni diverse dalla vendita, che di fatto nelle condizioni presenti diventa svendita, per risolvere i problemi di bilancio di cui soffre la Fondazione e nel contempo per sollevare Villa Montiolo da un imperdonabile degrado e far uscire dalla spirale della perdita strutturale azienda agraria e bilancio dell’ente;

4.   Aver lasciato degradare parte rilevante del patrimonio soprattutto storico del nostro territorio è certamente una colpa grave delle classi dirigenti che si sono succedute, alla quale però non si può rimediare liberandosene con la giustificazione che finora si è fatto così; è ora di interrompere questo modo di sgovernare.

Voglio anche chiarire che questo documento era stato scritto per essere inviato, nonostante le chiusure registrate, a Sindaco e Presidente del Consiglio in via riservata, essendo questo un argomento troppo complesso per essere oggetto di dibattito massmediatico.

Ma ciò avrebbe richiesto da parte dell’Amministrazione e di altri soggetti coinvolti un atteggiamento di disponibilità a ragionarci sopra. Si è invece preferita un’altra strada, come dimostra quel tipo di riunione, e si è avuta poi una reazione troppo scomposta per farmi ritenere giustificata la linea appena detta. Segue il documento nel testo integrale.

LE PROBLEMATICITÀ DELL’ALIENAZIONE DI “VILLA DI MONTIOLO”. RAGIONI DI UNA CONTRARIETÀ: UN ALTRO MODO DI GOVERNARE

Dall’esame degli atti ad oggi compiuti dagli enti interessati e della documentazione faticosamente acquisita emerge una complessa problematicità dell’operazione di alienazione di Villa di Montiolo. Ne riassumo di seguito le ragioni con riserva di tornarci sopra in caso di necessità.

A. LA SEQUENZA DEI FATTI

Tutto ha inizio con l’atto testamentario con cui il conte Claudio Faina nel 1954 lascia al Comune di Orvieto quale erede generale un cospicuo patrimonio immobiliare, rustico e urbano, con l’obbligo di costituire una Fondazione a cui affidarne la gestione allo scopo di mantenere e incrementare la preziosa collezione museale accumulata. La Fondazione viene poi costituita nel 1957 e ne viene riconosciuta la personalità giuridica nel 1959. 

La natura dell’iniziativa è ben riassunta nell’art. 3 dell’Atto costitutivo, ovviamente confermata nello Statuto. L’art. 3 dell’Atto costitutivo della Fondazione per il Museo Claudio Faina (1957) recita: "Lo stesso Comune dichiara il Museo Claudio Faina appartenente al demanio del Comune di Orvieto e conseguentemente dichiara i beni rustici ed urbani a perpetuo servizio di detto Museo in quanto destinati in perpetuo al raggiungimento dei fini di pubblico interesse del Museo Claudio Faina: li dichiara comunque, inalienabili e permanentemente destinati al potenziamento del Museo Claudio Faina e permanentemente in gestione della Fondazione per il Museo Claudio Faina". 

Due elementi emergono con particolare chiarezza: i beni rustici e urbani assegnati in gestione alla Fondazione sono di proprietà del Comune di Orvieto; tali beni sono dichiarati comunque inalienabili e destinati agli scopi suddetti.

Prima della fase di cui parliamo sono stati alienati diversi beni, tutte le volte per risolvere problemi di gestione, che però sono sempre rimasti irrisolti. Anche la Villa di Montiolo è stata messa in vendita anni addietro ma senza successo. 

Il tema perciò è restato in standby almeno apparentemente fino all’estate 2019, quando interviene una novità: il 7 giugno 2019 il Comune di Castel Giorgio approva una variante al PRG P.O. con la quale si prevede un aumento di cubatura nell’area di 4.428 mc (consultare perizia Zazzaretta del 20 agosto 2020) con destinazione turistico-alberghiera.

A questo punto tutto di nuovo si muove se, come dice in una ricostruzione degli eventi lo stesso Presidente della Fondazione, il 20 dicembre 2019 la Fondazione stessa riceve una proposta di acquisto per 780.000 euro. Inizia allora una trattativa di fatto tra Fondazione e privato proponente acquirente: la Fondazione attiva una verifica del prezzo tramite apposita perizia, chiede a seguito di essa al potenziale acquirente un prezzo superiore (830.000 euro) e l’acquirente accetta. Sarà lo stesso prezzo che poi verrà proposto al Comune, che il Comune accetterà con la decisione di Consiglio a maggioranza e che perciò andrà a base d’asta.

In quel periodo succede una cosa che può apparire un po' strana: il 18 gennaio 2020 sul sito web di “Casa.it” compare l’annuncio di vendita di Villa di Montiolo per conto della “GRIMM Tuscia s.r.l.” ad un prezzo doppio (1.500.000 euro) rispetto a quello contrattato dalla Fondazione (850.000 euro). L’annuncio però poco dopo viene rimosso. È una circostanza che quanto meno può destare curiosità.

Passano tutti i mesi del lockdown senza che apparentemente succeda qualcosa. Poi, nel periodo maggio-agosto 2020, c’è come un’impennata, un’accelerazione che porta con una sequenza stringente alle decisioni finali: autorizzazione del BIBACT alla vendita, perizia giurata (20 agosto) che dimezza (804.000 euro) il prezzo di mercato rispetto a stime precedenti , presentazione della documentazione in Comune (sempre 20 agosto) da parte della Fondazione, versamento della cauzione di 41.000 euro da parte dell’acquirente e incameramento della stessa da parte della Fondazione, allestimento della pratica da parte della Giunta, convocazione del Consiglio comunale per il 27 agosto con dissenso delle minoranze per quella che appare una fretta ingiustificata, approvazione della delibera di alienazione (come detto 830.000 euro) da parte della maggioranza, subito dopo (31 agosto) predisposizione del bando da parte della Fondazione, pubblicazione del bando (1° settembre) con scadenza 3 ottobre. La gara ha esito scontato: eccetto il soggetto interessato, nessun’altra proposta, per cui nessun aumento oltre la base d’asta.

B. GLI ASPETTI PROBLEMATICI

Gli aspetti problematici sono molti e si pongono su diversi piani. E tutto parte dall’Atto costitutivo e dallo Statuto, cioè dalla volontà testamentaria: 1. Il bene è di proprietà comunale e la Fondazione ne è solo il gestore; 2. Il bene “è comunque inalienabile”. Si tratta di due vincoli, entrambi ignorati. 

Ignorato che il Comune è l’ente proprietario, con le relative conseguenze

Il fatto che il bene sia di proprietà comunale rende come minimo irrituale e istituzionalmente scorretto che la Fondazione, senza alcuna autorizzazione dell’ente proprietario, dopo avere ricevuto inopinatamente e a quanto sembra all’improvviso un’offerta, inizi e in sostanza concluda una trattativa privatistica per l’alienazione, di fatto sostituendosi all’ente proprietario e stabilendo addirittura il prezzo ultimo di vendita, prezzo che poi il Consiglio con voto della sola maggioranza accetterà senza aggiungere o togliere una virgola.

Da ciò derivano alcune conseguenze rilevanti: 

1. Si è lasciato correre che la Fondazione abbia intavolato senza alcuna autorizzazione quella trattativa e mediante essa abbia stabilito il prezzo, in sostanza una procedura di tipo privatistico che cambia le regole delle alienazioni dei beni pubblici;

2. Si è delegata poi impropriamente la Fondazione a vendere, quando avrebbe dovuto fare la procedura e l’eventuale trattativa il Comune stesso, perché si tratta dell’alienazione della proprietà del bene e non della gestione del patrimonio; 

3. Si è impropriamente delegata la Fondazione a incamerare la cauzione, firmare gli atti di passaggio di proprietà e incamerare il prezzo di vendita; 

4. Delegando direttamente la Fondazione, di fatto si è aggirato l’ostacolo posto dalla legge che vieta ai Comuni di trasferire sotto qualsiasi forma agli enti collegati fondi per sopperire al deficit di bilancio;

5. In ogni caso, così agendo, si è ignorata la prioritaria necessità che la Fondazione, chiedendo di vendere Montiolo per risanare il proprio bilancio, dovesse dimostrare di aver elaborato un preciso piano di risanamento che garantisse il non perpetuarsi delle ragioni delle perdite pregresse e di esercizio.

Ignorato il divieto di vendita, con le relative conseguenze

Il divieto di vendita nel testo dell’Atto costitutivo e dello Statuto appare tassativo. Ma, ammesso in punta di diritto che una linea giurisprudenziale elastica renda possibile la vendita di per sé vietata dalla volontà testamentaria, si debbono in ogni caso fare alcune considerazioni che un’istituzione come il Comune non può ignorare. 

1. Il fatto che nel passato una cosa sia stata fatta – la vendita dei beni – (e ammessane pure  la legittimità) non vuol dire che sia buona cosa continuare a farla, se non è più che giustificata. Le precedenti alienazioni, fatte tutte formalmente per ripianare debiti e comunque sopperire a carenze di gestione, hanno dimostrato che i debiti restano e si accumulano se non si interviene sulle carenze di gestione che li hanno generati.

2. Questa vendita di Montiolo è stata autorizzata senza preoccuparsi di acquisire preventivamente un piano della Fondazione per una gestione che garantisse il permanente risanamento dei conti. Così, mentre ad oggi risulta una perdita consolidata di quasi 200.000 euro e una perdita di esercizio di poco meno di 50.000 euro, frutto di logiche amministrative certamente inadeguate e perciò da correggere, non si sa se, come, con quali diverse strategie e tempi, questo sarà fatto.

Evidente dunque che le difficoltà derivano da una lunga gestione del patrimonio deficitaria, tant’è che se non ci fosse il contributo del Comune lo sbilancio della Fondazione persisterebbe e sarebbe ben maggiore. Risanare con altre modalità si può (vedi dopo) e il Comune potrebbe contribuire per potenziare le iniziative di promozione del Museo, invece che contribuire per risolvere problemi di bilancio derivanti in prevalenza dalla gestione deficitaria dell’azienda agraria.

L’ammontare della perdita consolidata e di quella di esercizio non sembrano comunque giustificare l’iniziativa di vendere Villa di Montiolo addirittura manifestando soddisfazione perché finalmente si è trovato un acquirente. La cifra che si ricava dalla vendita, seppure la si voglia giudicare adeguata al suo valore, è chiaramente sproporzionata allo scopo: se servono da 200 a 250.000 euro per ripianare le perdite nelle condizioni attuali, perché puntare sulla vendita di un patrimonio che vale al minimo appunto 830.000 euro? Ci possono essere altri modi per ottenere il risultato, come specificato di seguito.

Ci si deve chiedere: i circa 600.000 euro di differenza dalle necessità proclamate a che cosa potranno servire? Vedremo se, come comunque ci si augura, saranno utilizzati per scopi coerenti con quanto l’atto testamentario ha stabilito. Ma dal punto di vista della linearità dell’operazione non è certo la stessa cosa stabilire a monte le ragioni con cui si sarebbe dovuta giustificare la richiesta e attivare la procedura o riparare poi alla carenza con una giustificazione a posteriori. Si dirà che sono questioni di lana caprina, ma non lo sono perché mettono in luce un modo di gestire la cosa pubblica che confonde competenze e responsabilità. Si può e si deve fare in tutt’altro modo.

3. Appunto si possono adottare altre modalità di gestione del patrimonio pubblico . 

3.1. Intanto si può esplorare la via dell’affitto dell’azienda agraria che è l’ambito che crea lo sbilancio: l’azienda va affidata a chi sa fare. Per il patrimonio immobiliare si può esplorare la concessione d’uso per 50 o anche fino 99 anni, modalità che da una parte può consentire un rendimento e dall’altra attrarre l’intervento privato per il risanamento, la messa in uso e la valorizzazione dell’immobile, senza seguire la strada sbrigativa dell’alienazione in condizioni di svendita e senza diminuire la consistenza del patrimonio pubblico comunale.

3.2. Magari non si è pensato che poi ci sono anche altre possibilità: si sa che anche un affittuario può godere di contributi e di benefici pubblici, per cui una concessione in uso di lungo periodo potrebbe essere incentivante e consentire benissimo di ottenere l’effetto desiderato senza alienazione. 

3.3. A quanto si apprende, ci potrebbe magari essere la possibilità di utilizzare i fondi della legge 160/2019 (lettera C): interventi di “recupero e valorizzazione dei beni culturali, ambientali e paesaggistici ovvero recupero e testimonianze architettoniche significative”.

3.4. Nessuna contrarietà alla vendita in linea di principio, ma per le ragioni dette sopra la strada seguita appare sbagliata perché non lineare e contraria agli interessi del Comune e della comunità. Sembra discutibile la cifra, rende perplessi la serie delle contraddittorie valutazioni, sembra inaccettabile che la trattativa e la stima sia stata gestita dalla Fondazione senza autorizzazione del Comune, rende contrari la modalità della vendita tramite delega alla Fondazione.

Infatti, come non sorprendersi che sia stata accettata la trattativa della Fondazione che, oltre a fissare all’epoca il prezzo sulla base dell’offerta del proponente acquirente (quasi la metà di quello che lo stesso mercato al momento proponeva, vedi sito Casa.it), ha inopinatamente prodotto una seconda stima, quella dell’agosto 2020, che nella sostanza ha confermato la precedente?

Da ultimo, come non meravigliarsi anche del fatto che sia stata passivamente accettata tutta la strategia proposta dalla Fondazione, compreso il vincolo posto dall’acquirente del diritto di prelazione, vincolo che, messo in bando di gara, non poteva che rendere assolutamente improbabile che qualcuno partecipasse alla stessa al solo scopo di aumentare il prezzo, cioè senza possibilità di vincerla?

C. IN CONCLUSIONE

Per tutte le ragioni dette sarebbe stato necessario fermarsi, riesaminare la questione nella sua complessità, confrontarsi, al fine di evitare di proseguire su una strada decisamente erronea e contraria all’interesse pubblico e iniziare così un altro percorso, certamente più rispondente sia alla volontà testamentaria che a corretti, sani e produttivi criteri di gestione dei beni pubblici.

Per le stesse ragioni non si poteva partecipare alla riunione dei Capigruppo. Per le condizioni in cui è stata promossa e per il significato che ha assunto. Essa, infatti, si pone come offensiva della normalità dei rapporti tra maggioranza e minoranze in quanto, mentre si è evitato in ogni modo di confrontarsi prima di iniziare il percorso, durante lo stesso e in sede di decisione finale, ci si vorrebbe informare sulla gestione della Fondazione a cose fatte, peraltro da parte del Presidente dell’ente e non innanzitutto da parte della Sindaco, che avrebbe dovuto acquisire le informazioni dal Presidente e portarcene a conoscenza preventiva. Non si può accettare questo modo di fare.

Dunque è in capo alla Sindaco e al Presidente la dimostrazione di voler ripristinare d’ora in avanti un modo corretto di governare i processi e i rapporti. Se così sarà non mancherà, per quanto concerne questa parte consiliare, la più convinta collaborazione nell’interesse della nostra popolazione e del nostro territorio. In particolare in un momento di ricostruzione come questo.

Come si è cercato di dimostrare sopra, ci sono modi diversi di concepire il governo della cosa pubblica, per ottenere risultati corretti e di livello formale e sostanziale superiore a quelli che si profilano con la strada contestata. 

Se si fosse intrattenuto un normale rapporto di confronto tra Giunta e Consiglio e nel Consiglio tra maggioranza e minoranze, non si sarebbe dovuta seguire la strada della cui problematicità ci si è dovuti documentalmente e logicamente convincere. È davvero auspicabile un cambiamento, necessario per evitare problemi e possibili danni".


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