Terre silenziose

Stamattina sono entrato in un piccolo bar di Cassano allo Ionio, nel cuore dell’Alto Ionio cosentino, tra le ultime colline che guardano la piana di Sibari e il Pollino. Cercavo solo un pacchetto di sigarette, ma mi sono ritrovato dentro una scena che, come spesso accade, dice più di quanto sembri. Tutti mi hanno guardato: in queste terre basta una sola inflessione della voce per capire che non sei del posto. Non era diffidenza, piuttosto una curiosità antica, quella che nasce nei paesi dove si riconosce ancora chi arriva da fuori.
Dietro il bancone, un caffè stretto servito con la lentezza di chi conosce il valore dei gesti. Fuori, un pezzo di sole spingeva sulla piazza, sui muri sbrecciati e sulle persiane azzurre che si aprono sull’aria immobile. Un’aria che sa di mare lontano, eppure il mare, quello di Sibari, è a pochi passi.
Cassano allo Ionio è così: spoglio, pietroso e luminoso, dove gli ulivi si intrecciano alle vigne, i vicoli conservano il passo lento dei vecchi e la dignità cammina con discrezione tra le pietre calde del pomeriggio. C’è chi, finito il caffè, si prepara a piccoli lavoretti, chi non ha una meta precisa ma esce lo stesso, perché stare in strada, parlare, salutare qualcuno è già un modo per esistere.
Collaboro con la Caritas qui da tempo, e ogni volta ho la sensazione che in questi luoghi – segnati, certo, da fatiche e da povertà – sopravviva una verità che altrove si è perduta: la misura dell’essenziale, la forza dei legami minimi, la grazia di chi non ha nulla da ostentare.
Mi chiedo allora perché, vivendo a Orvieto, senta il bisogno di raccontare Cassano. Forse perché, sotto il cielo teso della rupe, tra turisti e bellezza compiuta, a volte manca proprio quel respiro di vita che nasce dove la presenza si fa irrimediabilmente più silente, più posata.
Cassano e Orvieto: due estremi di un’Italia che resiste in modi diversi. L’una si aggrappa al silenzio e alla speranza minuta delle case basse; l’altra si affaccia dall’alto, fiera e raccolta, ma con la stessa sete di umanità vera.
Scrivere di Cassano da Orvieto è un modo per ricordare che le distanze non si misurano in chilometri, ma in capacità di ascolto. E che ogni luogo, se guardato con attenzione, diventa una parabola.

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