Primo Maggio, poesie per riflettere

Fatalità
Dedicata a Francesco D’Alò
Incrociamo le braccia
per chi ha trovato
la morte in un cantiere.
Diciamo basta
davanti a quel che chiamano
fatalità estesa in cronaca
che è Dracula con falda
che risucchia dalle tragedie
contenuto di dolore immeritato.
Diciamo basta a quell’omicidio
con il volto di un suicidio
che arriva quando poco si è imparato
del lavoro di vivere che non rinuncia
alla fatalità di difendere l’umanità
priva di sogni che scuotono
l’uomo e la sua stessa inerzia.
Stringiamo le braccia alla morte
come segnale che lasci vivo
quello che promette con slogan
quando si augura un buon primo di maggio.
Per gli operai che hanno chiesto
alla morte “non uccidermi”
quando si sta sentendo
il cadere della vita
in qualche distrazione.
Caduta
Dedicata a Francesco Stella
Dammi una mano che sto cadendo
non è la impalcatura a crollare,
crollano i passi sulla vita
in caduta libera
questa volta non cadono
per morire di stanchezza
ma volano chiedendo un desiderio
di baciare il fondo del tempo
dove vanno perdendo
il bacio invisibile della rosa
i fiumi metafisici dei ricordi,
da dove salutano nuotando nell’aria rondini che guardano allucinate
nel vedere volare un uomo.
Corrono fiumi di nulla
la paura prende il colore degli occhi,
la morte arriva con le sue povere bestie
facendo vedere quelli che vivono
da loro lavorando per loro
morendo tutti i giorni
dando nome al denaro
che può essere una buona tomba.
Travolto
Dedicata a Umberto Rosito, travolto da un'auto a Orvieto
Si ha tempo per tante cose
ma non sempre per dire addio
e senza dire addio
diviene verità l’allucinazione
di andare a lavorare per morire,
senza avere avuto tempo di cambiare,
di lasciare andare, di mandare
tutto a quel paese
per ricominciare. E chissà
nel momento di tirare fuori un respiro
per quella morte, l’anima
senza mezze impronte ci saluta
con gli occhi aperti senza pari
ci lascia congelare e scompare.
Se ne va dal lavoro ingiusto,
dalla speranza fallita
dalla pena non meritata
di vivere nell’uomo cittadino
che si alimenta dal potere
che ingrassa in lui il cancro.
L’anima andandosene
trova il segnale perché gli altri
la ascoltino, che la comprendano
nel suo precedente eterno che ha abbandonato
nel giorno dopo giorno
in punta di piedi.
Se ne va dal corpo
socialmente rotto
tra un eco di addii
travolto da un autocarro.

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