opinioni

Drone per un giorno. Uno sguardo a volo d'uccello su Orvieto e gli Orvietani (alla vigilia delle Elezioni Amministrative) 

lunedì 12 febbraio 2024
di Daniela Tordi 

Vorrei subito fugare il sospetto di parlare senza cognizione di causa, sia pure manifestando un parere modesto e personale. Sono nata ad Orvieto, fatta in casa al civico 12 di Via del Pozzo Bianco. E, benché sia cresciuta ed abbia sempre lavorato a Roma (per 22 anni sono stata segretaria di redazione al Tg5), ho avuto negli anni un'intima frequentazione con la città. Non necessariamente con i suoi abitanti, fatta eccezione per la cerchia parentale. Da "emigrata", ho in verità allacciato rapporti soltanto sporadici con gli orvietani, che ritrovo adesso, in età avanzata, per essermi ritrasferita qui. Proprio per questo - lasciatemelo dire - ho tuttavia la pretesa di rivolgere uno sguardo pulito e franco alla realtà che osservo, uno sguardo distaccato q.b. per tentare di chiudere, senza troppe complessità, il cerchio delle mie considerazioni. 

Orvieto è una città stanca, che vive con malcelata rassegnazione di una rendita che potrebbe sfuggirle di mano da un momento all'altro. È una città che palpita solo quando, alle feste comandate (siano sacre o profane), si autocelebra secondo un copione anch'esso sbiadito, usurato, ovvio... fosse pure l'ovvio delle sue imperiture bellezze. Orvieto non si ammoderna, non rilancia, non alza lo sguardo, non ripensa se stessa in un mondo che pure, tutto intorno, è molto cambiato (se non sempre in meglio, in modo tuttavia irreversibile, con cui fare i conti è necessario, piu' che opportuno). Da anni la città è come ostaggio dell'idea stagnante che ha di sé medesima, da un lato, e della longa manu di una politica usurata e stenta dall'altra.

La città è come cristallizzata, ibernata dentro un alveolo dove sopravvive chi dispone di vecchie risorse accumulate nel tempo, mentre il nuovo deve migrare e cercare ad altre latitudini uno spazio dove progettare, espandersi, vivere. Orvieto è - in estrema sintesi - una monade. Che non ha futuro se non rompe la gabbia in cui si e' autoconfinata e che la soffoca... convinta goffamente di esser piuttosto un solitario dall'inestimabile caratura, assiso in un forziere. Sto parlando per metafore e me ne rendo conto. Non volendo tuttavia entrare nello specifico delle molte cose che non vanno (delle punte estreme di arretratezza che connotano da decenni a vari livelli il parterre di chi amministra e di chi si fa amministrare), credo che forse proprio queste mie dure parole potranno aprire una breccia.

Sono decine gli esempi che potrei riportare e che denotano la moria lenta di Orvieto, la sua autoreferenzialità, la sua stessa schizofrenia (le parti più vive del tessuto sono quelle più periferiche e distanti dall'establishment, sono cioè quelle con cui meno interagisce chi governa la città). E conto nel mio piccolo decine di sfoghi da parte delle persone che qui sono radicate da sempre e che qui hanno vanamente sperato di vedere germinare qualcosa di nuovo. Ma il nuovo ad Orvieto fa paura ai più, che del resto - provo a capire - hanno finito con l'assecondare un certo ordine di cose temendo di coprirsi di ridicolo anche solo immaginandolo, il nuovo.

Dopotutto a nessuno piace vedersi come un salmone solitario che risale la corrente. Facciamo, dunque, finta che questo sia il problema, immaginiamo che per "timidezza" si sia preferito tenere i piedi nel solco già tracciato (come e da chi... sono dinamiche che voi conoscerete meglio di me - su questo almeno non prendiamoci in giro, la realtà locale non è poi dissimile da quella più ampia, le cointeressenze, le logiche spartitorie, i do ut des, le cordate, gli "allacci"... sono l'ABC della nostra dimensione politica tutta). Facciamo finta che alla morta gora ci siamo arrivati... per appartenenza di specie. Bene, adesso o immaginate di poter osare un'impennata come si deve, oppure Orvieto dall'ibernazione - essendo oltretutto tempo di scioglimento dei ghiacci - passa direttamente alla fase di... ci siamo capiti.

Se non vogliamo diventare concime, dobbiamo sterzare in modo abbastanza fermo e deciso. Dobbiamo osservare le alternative date alle prossime amministrative e - fatto un bell'esame di coscienza - dobbiamo finalmente offrire a noi stessi una chance. Con ragionevole fiducia, datemi retta, ci dobbiamo togliere dal sarcofago filigranato e partecipare di un progetto corale, non eterodiretto e rappresentato non solo e non tanto da una competenza. Ma da una voglia autentica e ragionevole di scartare i cascami a cui siamo rimasti abbarbicati per decenni, consentendo alla linfa di venire a galla.

Sono certa che questo sarebbe intelligente fare, indipendentemente da quello che ne potrà venire. Ho varcato la soglia dei 60 e non sono qui a rappresentarvi un facile entusiasmo. Sono qui a dirvi che secondo me una carta da giocarsi ci sarebbe, fuori dal vecchio schema. Senza fretta, fatti i dovuti approfondimenti (la campagna elettorale non è ancora iniziata), vi prego con affetto e simpatia - nonostante tutto - di tenerla nella dovuta considerazione.

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