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Orvieto città chiusa e ostica al nuovo...nei secoli

sabato 10 dicembre 2022
di Renato Piscini

La sua particolare chiusura mentale e retrosia al nuovo si evidenzia già dalle sue origine etrusche, popolo misterioso, operoso ma rinchiuso nel suo status economico e politico. Ulteriormente nel Medioevo, i Filippeschi e i Monaldeschi ripropongono tale status, rileggendo le lotte tra le famiglie esclusivamente di natura cittadina, pur appartenendo a mondi tipo Guelfi e Ghibellini. 

Il notevole periodo sotto lo Stato della Chiesa della città lascia tracce inevocabili di tale chiusura con un evidente coinvolgimento religioso oltre che culturale. La presenza dei Templari in città conferma la misteriosità del territorio e dei suoi relativi abitanti e persistite, come sembra, per due secoli. 

Nei secoli successivi, nonostante la presenza di cittadini illustri che si distinguono nei vari rami scientifici e culturali, non si evidenzia quel salto sociale di interdizione e coinvolgimento dagli stessi espresso. L'ulteriore espressione politica della città, in epoca moderna, non raggiungerà mai un'autonomia dallo status atavico di tale caratteristica.

Altresì l'isolamento politico regionale e nazionale di oggi conferma, oltre gli ostacoli di rito, la difficoltà di sganciarsi dall’impasse. Piuttosto che crescere comunemente si preferisce avere un capo esterno, facendolo re de facto, magari punendo un potenziale capo interno, questo a livello politico e culturale.

La negatività si conferma nel tempo dopo la conclamata rinuncia a divenire una città semindustriale oltre che turistica causata dai politici di allora (sinistra) e di oggi, da definire per la non presenza di adeguata classe dirigente. 

Oltremodo la sua posizione geografica, nel penalizzarla per la posizione intermedia, rileva la stranezza del potenziale  collegamento con la Tuscia, mai avvenuto, unitamente ad un distacco culturale con il Ternano e ancor più col Perugino, cosa avvalorata storicamente sin dai Guelfi e Ghibellini.

Tentativi ce ne sono stati di affrancarsi da tale status ma hanno durato il tempo di un batter d’ali affondati appunto dal carattere ostico e conservativo di cui sopra. La soglia di sopportazione sta per cedere e alcuni, in città, se ne sono accorti facendo anche mosse singole o associative ma subito rientrate nel dimenticatoio sopravanzate dal conservatorismo devastante.

Questo parlare nel deserto viene avallato da amministrazioni di sinistra e di destra a conferma del suo essere insito nelle menti  dei suoi abitanti, a volte anche inconsapevolmente, non producendo sviluppo economico e culturale vero e proprio. I concittadini più estroversi e validi si fanno strada e si fanno riconoscere per la loro visione fuori le mura confermando quanto sopra.

Allora via alla diversità come punto di forza squarciando lo stato di calma apparente che si insinua come nebbia tra le persone giornalmente; il segreto per vivere meglio: iniziare una transizione controllata fuori sistema  attraverso una lunga e dolce battaglia culturale e mentale fuori le righe.
La diversità come punto di forza per evitare il botto politico-culturale che ci sovrasta ad oggi come nuvole sopra la testa minacciose e imprevedibili. La fantasia non basta mai impariamo a conoscere noi stessi e i nostri limiti, a combattere per i nostri ideali e a non arrenderci mai! 

Io, per esempio, continuo a rompere nonostante tale conservatorismo non mi osoli minimamente, d’altronde non sono nativo di qui e si capisce e si vede, sopportatemi con pazienza, certo lo faccio per una crescita convinto che nel profondo anche gli indigeni hanno una visione, anche se la società impone di adattarsi o avere una etichetta o appartenere ad una categoria. La mia scelta per voi!

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