Pio

Pio Ilice. Una specie di monumento. Chi lo ha conosciuto forse lo riconoscerà da queste mie righe. Chi non lo ha conosciuto penserà ad un personaggio di fiaba. Eppure Pio Ilice è vissuto davvero ad Orvieto, la ha attraversata co me un fulmine silenzioso. Un uomo piccolo di statura, e se lo dico io che era piccolo, doveva essere piccolo davvero. Ma sembrava imponente con la sua giacca strettissima da militare dell’ultima guerra, verde come una speranza.
Sul bavero aveva appuntate con meticolosa precisione almeno cento medaglie, al valore civile al valor miliare, al valore in valuta scaduta ma sempre importante. Si fermava ogni tanto come una piccola statua, un medagliere di carne ed ossa, con poca carne. Ilice, un cognome strano, ho cercato su un dizionario etimologico ed ho scoperto che Ilice è un albero di leccio che si trova in un paese alle falde dell’Etna, vecchio di almeno settecento anni.
E mi ha colpito una coincidenza che per i miei lettori potrà essere senza importanza ma che me ha un significato inquietante. Sono nato in un paese che si chiama Cantalice e il cui nome sembra derivasse dal latino "ad cantum elicis". Accanto all’elice, dunque, e accanto all’ilice. Come se io fossi nato accanto ad Ilice, a Pio Ilice. E non mi pare coincidenza da poco. Torno comunque a Pio Ilice. Madre natura, cattiva ma sempre madre, gli aveva regalato un fisico strano, vorrei dire sgraziato, Una spalla più alta dell’altra, quasi soltanto una spalla.
Ma non si vedeva troppo, perché si restava attoniti a guardare i suoi occhi, anche il suo occhio perché l’altro era spento. Ma quell’unico occhio valeva per cento, da quanto era luminoso come un piccolo faro. Ti guardava senza parlare, forse era senza voce (ma di questo non sono certo). faceva solo un cenno, indicava la sua bocca per chiedere una sigaretta che si faceva accendere e poi teneva a fior di labbra come un improbabile Humphrey Bogart.
Appariva venendo non si sa da dove sulla Munincipio, si guardava intorno come per vedere i nemici che non aveva e gli amici che non sapeva di avere ed eravamo tanti. Si fermava puntando un piede sul terreno, mentre l’altro restava in alto, come un calciatore che si appresta a tirare un rigore, o come un trampoliere che si accinge a volare.
Sembrava non avere emozioni, ti fissava con uno sguardo tra l’ironico e lo sprezzante, che poi diventava come lo sguardo assente di una statua del dio Pan. Con quel solo occhio, come il gigante cattivo cantato da Omero. Ma Pio non era cattivo, sembrava venuto innocente ed impenetrabile da un altro mondo. Ovviamente, come tutti gli dei, non aveva un lavoro preciso, roba di gente normale. Qualche volta lo vedevi intento a potare la siepe intorno al Bar Centrale. Non credo che volesse essere pagato: era troppo minuto ed indifferente per avere un posto dove mettere il denaro contante.
Chiedeva soltanto qualche sigaretta,ma non la chiedeva a parole, la chiedeva con quel gesto ammiccante e preciso. Qualche ragazzo si prendeva gioco di lui ma lui stava al gioco, era superiore agli sberleffi. Chi scherzava con lui non sapeva di scherzare con il fuoco di una sigaretta richiesta nel silenzio di un Dio o di una cicca raccolta per terra, unica distrazione che si concedeva mentre potava la siepe del Bar. Pio non ha mai chiesto o voluto una elemosina. Avrebbe macchiato la gloria della sua giacca di militare di qualche guerra perduta. Avrebbe disonorato le medaglie che gli riempivano il torace minuto come uno scudo antisommossa.
La sua presenza era rassicurante come quella di chi è venuto da un altro mondo per conoscere il nostro senzadam cattive intenzioni, curioso ed insieme indifferente. Poi, come era venuto, andava via senza dare nell’occhio con quel suo occhio solo che controllava tutto e tutti, ma con una tenerezza nascosta: per non perdere la sua faccia di chi è indifferente a tutto perché è differente da tutto. Una sera lo ho seguito per vedere dove andasse a dormire. Lui si aggirava per i vicoli angusti, forse era una guardia notturna, sostava davanti a un albergo, come un portiere di notte. Poi si dileguava come una nuvola. Mi sembra passato un secolo da quando lo ho visto l’ultima volta. Penso spesso che lui guardi su questa terra, avvolto nel fumo breve di una cicca spaziale, da quella stella a sinistra dell’Orsa Maggiore.

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