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Rivolta

giovedì 12 marzo 2020
di Raffaele Davanzo
Rivolta

Ma com'è possibile, ma com'è possibile? Continua a martellarmi nelle tempie, questa impossibile domanda, che però non può avere che una possibile risposta: continuo a chiedermi cosa ci faccio io qui, rinchiuso in questa cella di isolamento di un carcere, senza sapere bene che cosa sia successo. Eppure sono io, mi pizzico, mi tocco: non sogno, niente LSD, almeno per ora. Ho in mano un documento scritto a caratteri larghi, intestazione Procura della Repubblica di Rieti, spiegazzato come un cuscino dopo una notte insonne, a forza di leggerlo e rileggerlo. Un film. Una sceneggiatura da film di Alberto Sordi, scritta pure male, consegnata venerdì da due marescialli della Guardia di Finanza che mi hanno caricato su una vecchia Alfa e mi hanno portato al Mammagialla, il carcere di Viterbo.

Imputazione: falso ideologico e truffa ai danni dello Stato, relativa alla conduzione di alcuni cantieri di restauro monumentale, quindi ai danni di un Ministero a cui ho appartenuto fino al 2012. Mammagialla! Massima sicurezza, mafiosi (ma l’ordinanza di custodia cautelare del Procuratore di Rieti diceva che non avrei dovuto avere contatti con nessuno, forse per non mettermi d’accordo con gli altri indagati indicati nell’ordinanza, o forse per non farmi entrare in contatto con detenuti prepotenti e violenti: mica pensava che mi avrebbero… sodomizzato? Ho quasi 70 anni!). Mi veniva  in mente l’assurda storia raccontata dall’ormai lontano Mammagialla: diario di una carcerazione, di Claudio Dionesalvi: a Mammagialla confluiscono i detenuti più turbolenti, anche quelli affetti da disturbi psichiatrici, cioè per trasferimenti per ordine e sicurezza. Ha la triste fama di essere un istituto disciplinare dove si fanno rispettare con somma decisione le regole ai detenuti la cui cattiva condotta in altri istituti di pena non è più ammessa.

Ma non mi era chiaro perché a Viterbo, se era la Procura di Rieti che aveva chiesto, ed ottenuto dal GIP, la custodia cautelare. Forse perché i cantieri di restauro si trovavano in entrambe le provincie laziali: sì, sì, si trattava di ipotesi di truffa su super-consuntivi su alcune voci di spesa, iniezioni di resine e introduzione di barre di inox, tra l’altro non documentabili se non dopo aver demolito... i muri! Al nome di Mammagialla, tante immagini in sequenza: toponimo proveniente dal casale di una vecchia prostituta della campagna viterbese, senza denti davanti, come la vecchia dei Castelli del Pasticciaccio Brutto di Gadda; immagine miracolosa di Madonna non nera, ma gialla; cinesina infetta da coronavirus che ti bacia appassionatamente. Pensieri che in sequenza così non si ricorderebbero poi mai, a meno di non averli provati in simile contingenza, files salvati automaticamente per sempre!

Mi hanno preso le impronte digitali, inchiostro grassissimo da ripulire con uno straccio – già bello sporco – intriso di alcool; mi hanno poi dato una coperta un lenzuolo un piatto un cucchiaio una forchetta, e intanto mia moglie mi aveva fatto avere un sacco di plastica nera, quello da immondizia, il solo ammesso, con biancheria e qualche camicia di ricambio. Intanto che aspetto di parlare col mio amico avvocato, rileggo per la trentesima volta l'ordinanza di custodia cautelare: certo, nel 2012 ho chiuso come responsabile del procedimento diverse contabilità; ed evidentemente qualche cosa era, se non sbagliata, almeno non corretta perché è chiaro che se uno completa velocemente un lavoro, può sempre commettere qualche errore nella fretta e nell'ansia di concludere. Ma dopo otto anni, queste cose non passano in prescrizione? Oppure, temo, il nuovo ordinamento di Bonafede è già entrato in vigore… ma?

Tempus regit actum, o no? Viva il Diritto Romano, allora è un errore giudiziario! Comunque, altro che isolamento nel “tremendo” carcere dove sono stato solo due giorni: è pieno di mafiosi che comandano, che hanno le loro corti, che mangiano pasti meravigliosi; mi avevano avvicinato un paio di napoletani che volevano chiacchierare con me: perché in fondo avevano compreso che ero un po’ di cultura e loro stessi si sono presentati come persone con una cultura manageriale e non certo criminale. Ma: contr’ordine: trasferimento al carcere di Rieti, stavolta in un Fiat Ducato cellulare. Allora: prima Viterbo perché si trattava di contabilità su monumenti intorno a Viterbo concernenti restauri di ville storiche; poi, da domenica, Rieti per contestazioni su pronti interventi di messa in sicurezza sull’Abbazia di Farfa e in un convento francescano a Greccio.

Ok, ci sarà da discutere, perizie contro perizie, CTU, ecc. Ma che atmosfera strana, appena arrivato al “Nuovo Complesso” reatino: grande animazione, c'erano delle persone fuori dai cancelli, evidentemente familiari di detenuti che cercavano in tutti i modi di entrare e spingevano e si spingevano contro l'ingresso principale. Io sono entrato da una porta laterale; poi, solita trafila dell'altra volta. Ah, le impronte digitali stavolta me le hanno prese con un ”dattiloscopio”, cioè con uno scanner. Mi è scappata una battuta con la guardia penitenziaria che mi faceva passare dito per dito su un piccolo schermo: “Certo – ho detto – se si chiama dattiloscopio è perché le fotografa in maniera digitale, le dita!”, giocando sulla corrispondenza di significato tra dáktylos, digitus, e dito, in opposizione all’inglese digit che comunque da lì deriva. Mi ha guardato storto, forse la mia incoscienza quasi onirica mi porta ad essere molto, molto inopportuno nel cercare di rimuovere la pesantezza della situazione. C'è poco da scherzare, mi sono detto; ma se non altro non mi sono sporcato i polpastrelli con l'inchiostro com’era successo due giorni prima a Viterbo. Piccola soddisfazione, piccolo piccolo cioccolatino in una bocca amarissima.

Avevo solo i panni che erano arrivati con me nel Ducato, sempre in busta nera da immondizia, da Viterbo. Ma non ho fatto in tempo a metterli a posto nell’armadietto della cella perché, improvvisamente, un tornado: grande movimento urla strilli botte, botte sulle porte, gente che correva sui corridoi. Le mitiche Furie! Gente che dal cortile dell'ora d'aria si gettava sui muri perimetrali cercando di arrampicarsi e fuggire; guardie penitenziarie, che non hanno armi da fuoco, che cercavano di farsi largo solo con piccoli sfollagenti. So che fu chiamato un reparto di polizia con manganelli ben più robusti e scudi rettangolari trasparenti, ma i detenuti sfondarono quelle ben nutrite schiere nemiche, e dove si precipitarono? Non cercarono di evadere come quelli nel cortile, si precipitarono invece in massa verso dove sapevano esserci l’infermeria e la medicheria, urlando sempre in modo straziante.

Perché? Io rimasi bloccato dentro la mia cella, ma dallo spioncino vedevo passare guardie carcerarie poliziotti detenuti, tutti - o molti - insanguinati, e continuavo a non capire l'oggetto di tutto questo. Per la visita parenti, negata all’ultimo momento per paura del contagio coronavirus? No! Tutti cercavano di raggiungere l’infermeria per prendere dosi di metadone o, peggio, di scopolamina o morfina. Erano tutti, tutti tutti, desiderosi di iniettarsi qualcosa, la mancata visita parenti era passata in secondo piano ed era solo una lontana scusa, una causa ormai remota.

Il motivo, ora lo capivo, stava nel fatto che erano tutti tossicodipendenti: le pene lunghissime, l’orrore della inane attesa, la stecca infinita, il nulla, erano tenuti in sordina solo grazie al palliativo di un pasticcio di dosi di molto bromuro e poco metadone che veniva mescolato sempre col caffellatte, con l'acqua o con altre bevande come il tè che veniva di solito servito il pomeriggio, ho saputo dopo. Mi ha spaventato questa voglia esistenziale di droga, che non era solo pura dipendenza chimica, era una voglia di salire su un livello di libertà individuale che era stato completamente estirpato dalla loro coscienza, dalla loro consapevolezza critica e civica.

Non erano più uomini, neanche erano numeri, erano un coacervo di organi che non lavoravano più in una sola direzione, quella del benessere del corpo e della mente. Ma solo nella direzione di una strisciante sopravvivenza fatta di quotidianità sempre uguale sempre alienante sempre mortifera. E sono morti in tre, poi in quattro, perché hanno ingurgitato tutto quello che potevano mescolare, pochi istanti di piacere in un’orgia durante la quale hanno toccato per pochi istanti la felicità dell'iperuranio che non avevano mai toccato precedentemente, ma che spero potranno fin da ora godersi.

Forse la presenza di questo virus perfido e insinuante ha creato delle situazioni inaspettate perché, impedendo la visita dei parenti, ha rotto quell'equilibrio che i detenuti erano riusciti a ottenere grazie alla consequenzialità ritmica dei gesti quotidiani o settimanali, come l’ora d’aria, o la doccia o la Messa. Sono tornati liberi ingerendo più droga possibile, purificati malgrado avessero commesso anche delitti ripugnanti e crudeli, comunque inutili. Quando ho saputo che la stessa cosa era successa a Modena con ben sette morti, ho capito che questo lavacro totale, causato da questo virus in fondo neanche tanto cattivo, sta portando l'uomo su una dimensione diversa.

Le regole di vita e di convivenza sono solo una serie di fogli attaccati con la puntina da disegno sul muro, e ognuno di questi fogli è in contraddizione quel contenuto del foglio vicino? Rifletto su questo, sulla sceneggiatura che guida le nostre società, arbitre di quello che è Bene e quello che è Male, e non penso più alla mia situazione giudiziaria. Ho parlato con l'avvocato che mi ha spiegato come alcune mie firme, come responsabile del procedimento, davano per buone, avallandole, delle contabilità già verificate dalla commissione di collaudo (i cui componenti ho saputo essere anche loro in un brutto momento) con un semplice mio visto. Appunto: visto che in fondo la mia responsabilità diretta non c'entra più nulla, mi sono tranquillizzato, allora è vero che il piacere è solo assenza di dolore!

Sono rimasto praticamente solo in questa struttura di rieducazione, non sento più rumori, non sento più nulla. Ho richiesto molti libri alla piccola biblioteca del carcere: senza accorgermene all’istante, tutti racconti o libri di autori americani. Melville con Billy Budd, Foretopman (gabbiere di trinchetto), giustiziato perché aveva ucciso con un pugno un superiore che continuava a tormentarlo, malgrado il capitano della nave lo giustificasse personalmente, ma doveva pur applicare l’inflessibile disciplina). Edgar Allan Poe, con la fuga dal carcere de Il Pozzo e il Pendolo, prima che le pareti arroventate di una stanza di acciaio si stringessero sempre più attorno a lui per farlo cadere in un pozzo infuocato. Infine Hemingway, Addio alle Armi.

Combinazione (combinazione?) ero arrivato al punto in cui, dopo la rotta di Caporetto, Ernest cerca di passare a piedi il ponte sul Tagliamento dove staziona un colonnello che spara a tutti gli ufficiali che scappano verso ovest, appellandoli come traditori e vigliacchi. Lui, Hemingway, invece si butta nel freddo Tagliamento e riesce a nuotare tra i ghiaioni, fino ad arrivare al ponte successivo, quello della ferrovia, e a salire su un treno di materiali militari che si sta spostando velocemente verso Venezia per poter creare la nuova linea difensiva sul Piave.

Proprio (davvero!) in quel preciso momento della angosciante lettura della secca e incalzante prosa di Ernest, un “superiore” (vanno appellate così le guardie penitenziarie) entra nella cella e mi dice di prepararmi, c’è un ordinanza di libertà provvisoria, torno a casa, e neanche ai domiciliari. Eccolo lì, il destino: eppure avevo scelto tre libri, a caso. Nel primo c'è la ingiusta separazione finale dalla vita di questo bellissimo ragazzo, il Billy Budd amato da tutti.

Nel secondo e nel terzo invece il ganglio centrale è la fuga verso la libertà. Forse mi hanno fatto uscire perché non era più ammissibile la sicurezza dentro il carcere di Rieti; ma tutto quello che mi è successo personalmente non mi interessa più. Come già vi ho detto, tutta questa storia mi ha fatto capire come una delle peggiori miserie umane, dopo la guerra o la carestia e le morti che ne conseguono (specie quelle dei deboli e dei bambini) sia la tragicità della vita sospesa di tanti esseri umani.

Esseri che, pur avendo sbagliato nella loro supposizione di veridicità contenuta nell’affermazione del loro Io, sono comunque rimasti umani e hanno bisogno di mezzi per uccidersi giorno dopo giorno attraverso artifici più mortali di un suicidio. E tutto questo, in questo piccolo ed in fondo stolido caso specifico che vi sto raccontando dal vero, lo ha scatenato un elemento casuale che nessuno poteva aspettarsi da un piccolo virus che non so neanche se sia fatto di DNA o di RNA, ma che si muove indisturbato nel mondo. Chi l'ha creato? E se si fosse auto-costituito, spontaneamente, come catalizzatore di forze (chissà se ipogee o magiche) che interverrebbero sul mondo nel tentativo di comunicare la coscienza della fragilità dell'uomo e del mondo?

Oppure è il prodotto di una catena di holding che cercano di rovinare l'economia mondiale per ricomprarla tutta a prezzi stracciati e per avere il monopolio di tutti i prodotti mondiali? Se compri oggi del petrolio a 40 dollari il barile, fra tre mesi lo potresti rivendere a 90, chissà? Se l’economia ripartisse dopo la sconfitta della pandemia, è più che possibile. Sembra che tutte le capitalizzazioni delle grandi imprese stiano crollando; e chi compra, a poco si troverà in mano il potere mondiale, e non solo negli Stati Uniti o nella Cina. Per scherzare con un ricordo scionconneriano, vi ricordate la famigerata Spectre che James Bond combatteva in ogni film, e dove si vedeva un bellissimo gatto persiano bianco proprio in braccio al capo della criminale associazione?

Creare questa mostruosa strategia attraverso un virus che, come diceva Lorenz, come il batter d’ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas, può diventare il primo motore di tutto un altro sistema terrestre? Per arrivare fino alla mia piccola stupida cretina esperienza, seppur tragica, della rivolta del piccolo, insignificante e sporco carcere di Rieti. Ma dove tutto è blu: le porte, le finestre, i pannelli sulle pareti ecc., perché tanti anni fa l’architetto che progettò questi sistemi credette che questo blu portasse serenità pace riflessione contemplazione: in fondo il blu è il colore del cielo, il colore del mare, il colore degli spazi liberi, il mantello della Madonna, è simbolo di nobiltà, è simbolo di rinascita. Ma quell’architetto fu gambizzato il 2 maggio 1980 da un gruppo di fuoco di Prima Linea. Soltanto chi è colpevole si discolpa.

 

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