Avanti popolo...di Orvieto
Un secolo fa abbondante il popolo orvietano era costituito da artigiani mercanti, contadini, manovali, ortolani, pecorai, braccianti, bifolchi, signoroni, accattoni, fattori, sottofattori, bizoche, lavandaie, fattucchiere, mignotte, qualche ricco, molti preti e frati, tantissime monache. Dalla parte di Cannicella, uomini, donne e bambini abitavano ancora nelle caverne insieme a capre cavoli e maiali: Gente mite che non aveva mai visto un treno dato il fatto che in quelle contrade il treno non passa e loro non si muovevano di “casa” per paura che qualcuno fregasse loro il porco. Un popolo dove la meta delle donne si chiamava Maria e quella degli uomini Giuseppe, sempre accorciato, per risparmiare, in Peppe. Ma andava bene lo stesso. Ma già sul finire del secolo XX, storici, sociologi e antropologi annotano come molte delle specie suddette siano ormai avviate pressoché all’estinzione per essere via via sostituite da torme di politici, sindacalisti, aiuto-sindacalisti, pseudo-invalidi, pensionati-baby, portaborse, pendolari, raccomandatori e raccomandati, in calo le bizoche, in aumento le fattucchiere, le mignotte sono diventate “international” e, inoltre, abbiamo molti ricchi poco istruiti, molti istruiti poco ricchi, rari i preti, rarissime le monache. Da questa mutazione, però, Orvieto non ne è uscita un granché bene. Non contenta di non essere stata capace di dare alla luce e alla storia una straccetto di santo che potesse appellarsi “da Orvieto”, la città ha poi anche sempre fatto in modo di espellere dalle sua mura, con onta e contumelia, come novelli “muffati”, le “cime” ivi nascenti e di ammosciare le sospettate potenziali “cime” che avevano commesso l’imprudenza di voler restare attaccati alle rupi natìe. Ma l’handicap incommensurabile dei tempi nostri, e che qualcuno afferma essere una sorta di punizione divina e del quale abbiamo tutti totale coscienza, è stato ed è rappresentato dalla scarsa consistenza e qualità della classe politica, sindacale ed amministrativa, sia di estrazione indigena, sia quella piombataci addosso dal circondario rurale, gente spesso assurta alle comodità dello scranno senza l’arte e l’alfabeto necessari, ma che però, constatato che il potere rende, si è data da fare senza posa, per conservarselo, aumentarselo e, potendo, tramandarlo, riuscendo ad espellere o a conformare a se stessa chiunque avesse manifestato la capacità di volare pur solamente qualche centimetro al di sopra delle oche. Un esempio per i dubbiosi è squadernato “in corpore vili” dal dove e dal come si è sviluppata la città nei tempi recenti. Infatti il passeggero di un elicottero intento a far rilievi al di sopra di Orvieto e vedendo case, casupole ed edifici che sembrano ruzzolati qua e là come per caso e sbatacchiati talvolta fino ad urtarsi e a rimbalzare, si dice che abbia esclamato: “Ma chi cazzo è stato a progettare e ad approvare i piani regolatori di questa città?!” Ed è questo proprio il dramma. Raramente abbiamo avuto politici che si siano elevati per più di mezza spanna al di sopra del pantano della mediocrità. Quei pochi che ci hanno provato sono stati sempre ricacciati sott’acqua così come succede nelle partite di pallanuoto ai giocatori potenzialmente pericolosi. Rarissimi poi coloro che hanno “amato” la città da loro amministrata. Tutti e sempre intesi a salvare gli equilibri tra partito e partito, tra collegio e collegio, tra capoccione e capoccione. E così il sindaco,l’assessore o il presidente di qualcosa non venivano e non vengono eletti (cioè scelti) tra i capaci e i competenti del ramo, ma designati durante le guerre notturne per bande tra partiti, alleati, appunto, per mantenere gli equilibri suddetti. E così, anno dopo anno, Orvieto, dopo essersi mangiata tutte le sue risorse, rischia alla fine di mangiarsi anche il suo malandato cuore nell’arrovellarsi sul come muoversi per tentare di uscire dal tunnel che l’avvolge da oltre sessanta anni e del quale non si scorge l’uscita. La finestra elettorale s’apre brevemente ogni cinque anni giusto per consentire ai politici di uscire allo scoperto e di recitare il celebre enunciato: “Facciamo il lecito e l’illecito affinché il popolo ci voti, ma non permettiamogli mai, una volta che ci ha votato, di romperci le palle con le sue petulanze.” Quindi la finestra si richiude mentre una voce suadente esorta: “Cittadini andate a casa! Cittadini restate a casa e pensate al buco dell’ozono. La politica fa male, le strade sono trafficate e puzzolenti, i piccioni vi cacano in testa, ma noi stiamo lavorando per voi e quindi lasciateci lavorare. Ce l’avete una casa? Sì? E allora andatevene a casa e non rompete le palle a chi si spende senza risparmio nell’esclusivo interesse del popolo lavoratore!” Nascosto in un angolo oscuro, un orvietano ignoto borbotta. (dica il lettore che cosa borbotta l’orvietano ignoto)
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