interviste
Le professioni giovanili. Una delle più diffuse: la commessa. Intervista a Chiara
giovedì 7 settembre 2006
di davidep
Esplorando l’universo lavorativo giovanile, una fetta non trascurabile è sicuramente rappresentata dal “pianeta commesse e commessi”. Shop assistant nelle boutique di moda, cassiere nei grandi supermercati, impiegati in qualsiasi esercizio, offrono una mano concreta al cliente, consigliandolo ed aiutandolo nell’acquisto. È un’attività fondamentale per ben gestire e indirizzare la vendita, si è sempre a contatto con la gente e per svolgerla richiede spigliatezza e cortesia, ma anche dinamismo e prontezza nello spostare pesi o prendere le decisioni più opportune.
Racconta la sua esperienza Chiara, 23 anni, commessa in un negozio di abbigliamento.
Come hai iniziato quest’attività?
Per caso. Era estate e cercavo senza troppo affanno un lavoro che non mi impegnasse troppo, ma che con un po’ di sacrificio mi rendesse qualcosa, sia come esperienza che come guadagno. Così passando davanti a questo negozio ho letto che cercavano una giovane commessa, anche apprendista, quindi ho pensato che mi avrebbe fatto comodo. Pur essendo il mio primo vero e proprio colloquio selettivo l’ho affrontato serenamente, forse anche con un po’ di incoscienza, ma io sono fatta così: vado d’istinto. Non sentivo tanto la responsabilità del lavoro, ma la volontà di lavorare. Gradualmente sono entrata nei meccanismi del negozio, i tempi, gli ordini da fare, le bolle da firmare, la vetrina da allestire, dover rimettere a posto i vestiti che i clienti hanno provato o, più spesso, semplicemente spiegazzato. Quando ho cominciato non avevo idee particolari. Aspettavo di provare, verificando giorno per giorno, con fiducia e senza particolari paure. In fondo non ho grandissime responsabilità umane, non faccio mica il chirurgo!
Da quanto tempo svolgi ormai questa attività e fin quando hai intenzione di proseguire?
Ufficiosi quattro anni, ufficiali un paio…nel senso che per un po’ ho fatto la commessa per brevi periodi, magari sotto Natale o durante l’estate, appunto. Attualmente ho un contratto part-time, diviso su tre turni e questa è un’ottima soluzione perché mi consente di gestire meglio il tempo. In realtà la mia massima ambizione sarebbe fare la stilista, sono appassionata di moda, accessori e tutto quello che fa tendenza. Leggo un sacco di riviste fashion e mi piace sperimentare su me stessa abbinamenti audaci, colori inediti o cose classiche, indossate in modo non convenzionale. Chissà che, dalla semplice vendita, non possa con gli anni creare una mia personale linea di abbigliamento. Pensare di aprire un’attività in proprio è una strada percorribile, soprattutto ora che i negozi in franchising richiedono un capitale minore rispetto a un tempo, ma per quanto mi riguarda non è ancora il momento. Gli studi che ho fatto non posso dire che fossero finalizzati a questa attività, anche se comunque si sono rivelati utili e abbastanza inerenti al settore. Certo, il territorio offre pochi stimoli da questo punto di vista l’ideale sarebbe stato, dopo il professionale indirizzo moda trasferirmi, magari a Milano. Chissà che prima o poi non lo faccia, davvero!
Com’è la tua giornata-tipo e che rapporto hai con la clientela?
Dipende dai turni. In negozio siamo tre colleghe e ci alterniamo, convivendo soltanto durante lo scambio dei turni. Siamo affiancate raramente, solo nei periodi di vendite intense. Facendo un part-time ho molto tempo a disposizione, basta organizzarsi con la rotazione dei turni tenendo sempre presente che orario si fa. In generale se lavoro la mattina, non lavoro il pomeriggio e viceversa. Poi, ci sono giornate in cui va fatto l’inventario, spostata tutta la merce, oppure sistemato negli scaffali un intero ordine e altre in cui entrano pochissime persone. Il contatto con il pubblico è fondamentale: quando si compra un vestito, di solito non si va di fretta, soprattutto se l’acquisto è per se stessi, ma anche se si sceglie un regalo. C’è piacere nel consigliare una persona, guidandola nell’acquisto e non solo indurla a comprare. Da cliente ho sempre detestato le commesse che mi portavano i capi e mi chiedevano con insistenza “Come va?” oppure appena usciti dal camerino urlavano “Ti sta benissimo!” quando non era vero, o “Prova questo, che è tanto particolare e quest’anno va molto, ne ho già venduti tantissimi!”. Essere cortesi e pazienti con il cliente rende, più che essere insistenti, e generalmente lo porta a spendere con soddisfazione e dedicando tempo alla scelta. L’abilità di chi lavora in negozio, semmai, sta nell’accorciare i tempi al momento giusto, nell’individuare gusti e desideri, ma anche nel riconoscere gli immancabili “perditempo”, gli indecisi o quelli che entrano, guardano e riescono, spesso senza neanche salutare. Con l’avvento delle grandi catene è cambiata anche la clientela, si è fatta più occasionale ed è difficile stabilire un rapporto continuativo.
C’è qualcosa che non ti piace assolutamente o che molti sottovalutano in questa professione?
Forse i problemi nascono proprio dai rapporti con gli altri, non è così facile saper vendere senza invadere; consigliare senza imporre. Molti danno tutto per scontato e sono i primi a non trattare con cortesia noi commesse, ignorando che il nostro lavoro non è semplicemente porgere un capo e soprattutto che reperire taglia, colore e modello giusti in un magazzino sovraffollato e scomodo non è sempre così immediato. Una cosa che non sopporto, poi, è la mentalità di alcuni commercianti, legati a una gestione tradizionale del lavoro che, invece, negli anni è cambiato. Oggi la gente gira soprattutto nei centri commerciali o è disposta ad andare anche fuori, per comodità di orari, per varietà di scelta, per convenienza, perché trova tutto lì e risparmia tempo. A piccoli livelli c’è più spirito di concorrenza che di collaborazione. Un atteggiamento che, dal punto di vista del mercato, può anche essere uno stimolo, ma che a lungo andare è fine a se stesso.
Cosa hai imparato, lavorando qui? È stata un’esperienza formativa?
Questo lavoro mi è piaciuto subito, probabilmente anche grazie al genere di merce che vendo. Fare la commessa è un lavoro che richiede attenzione, ma certe malizie vengono con il tempo. Sicuramente mi ha insegnato ad essere più garbata e misurata nell’esprimermi, ma anche disponibile e dinamica nel fare. Ora sono più paziente e cortese e ho molto più senso pratico.
Cosa occorre per svolgerla? A chi la consiglieresti?
Non conta tanto la presenza fisica, quanto l’avere un po’ di “stile”. In alcuni settori è importante anche il titolo di studio, ma in genere bisogna imparare a sfruttare le proprie abilità, magari cercando le scuole più mirate alla formazione professionale se non si ha troppa voglia di studiare. Serve dialettica e apertura verso la gente, occorre adattarsi e dimostrarsi cortesi, senza troppe ipocrisie di circostanza. È un lavoro onesto e dignitoso! Certo ai miei livelli, con un budget medio, una commessa non può sperare in una grande carriera, nei grandi centri al massimo diventa responsabile. Però c’è il fatto che ci sarà sempre la necessità di questa figura, soprattutto negli ambienti medio–piccoli e nei settori dove non è pensabile il self-service. Per il futuro, secondo me, ci sono ancora buone prospettive dal punto di vista dell’occupazione, anche se quasi tutti richiedono esperienza e nascere “imparati” è complicato. Occorre dimostrare di aver voglia di imparare e averla sul serio, appena viene offerta l’occasione. Consiglio questa esperienza a tutti coloro che vogliono mettersi alla prova, a chi non è stato mai a contatto con la gente e a chi, come a me, piace il settore. Il mondo della scuola propone ancora tanta teoria e poca esperienza, affrontare sul campo la professione è tutt’altra cosa.
Le vignette sono state realizzate in esclusiva per orvietonews.it da Chiara Piunno.

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