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Modello Civita a Orvieto? No grazie.

giovedì 6 febbraio 2020
di Massimo Gnagnarini
Modello Civita a Orvieto? No grazie.

Se qualcuno pensa di mettere insieme il nostro Teatro, il Pozzo, la Funicolare, il Palazzo del Capitano e il Sistema dei Parcheggi per farne un unico pacchetto e darne la gestione in mano a una società pubblica o privata sarebbe un pazzo e se costui fosse anche un decisore pubblico che è nella possibilità di farlo andrebbe interdetto e tagliategli le mani. Stiamo parlando dell’oro di Orvieto, un tesoro pubblico che appartiene agli orvietani, il cui valore gestionale calcolato in funzione di una concessione ventennale vale più di 100 milioni di euro.

Che sia questo, dunque, il disegno o visione futura della città, ormai da troppi mesi annunciato ma non svelato dall’attuale Amministrazione Comunale? Qualche indizio c’è: l’assasinio della TeMa per liberare il Teatro, il temporeggiamento sulla ripresa in gestione diretta della Funicolare e soprattutto un recente convegno dove si è rilanciato il modello Civita come modello da esportare anche a Orvieto.

L'ex sindaco Bigiotti, ora a capo della azienda pubblica che gestisce la cosa, è stato artefice di una grandiosa operazione di marketing turistico per la sua Civita di Bagnoregio con tanto di ticket sul viadotto per raggiungerla,ma bisogna considerare che Civita sta a Orvieto come quel borgo morto sta al Pozzo di San Patrizio.

Un conto è promuovere un singolo bene culturale e paesaggistico e un conto è promuovere una città vivente come è Orvieto. Il rischio è quello di confondere il turismo con la quantità di biglietti staccati da quella pedovia a pagamento che si inerpica su fino a un modesto agglomerato di vecchie case, mentre Orvieto è Orvieto e deve risolvere e promuovere questioni ben più complesse. Prima fra tutte l’equilibrio he deve esserci tra impiego di risorse pubbliche in servizi per i turisti e quelle per i servizi riservati ai suoi abitanti.

Seconda la riqualificazione qualitativa delle sue strutture ricettive e di ristoro eccetto le poche eccellenze presenti.
Poi viene il marketing che non deve e non può essere massivo ma selettivo identificabile in un brand unico e disciplinato. 
Nessuno può promuovere ciò che ancora non possiede. Guai, però, a pensare che questi problemi stiano a cuore a un’azienda o a un concessionario commerciale che, per definizione, guarda esclusivamente al profitto e quindi unicamente al numero dei biglietti staccati.

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