interviste

Alberto Bellini o 'il buon uso della lentezza'. Intervista all'artigiano della modernità utopica

giovedì 24 agosto 2006
di Ass. Gust'Arte
“Per fare questo mestiere credo siano importanti due qualità: la costanza e la follia”. Così Alberto Bellini, demiurgo della “Corte dei Miracoli” di Piazza De’ Ranieri a Orvieto. Alberto, scenografo teatrale diplomato all’Accademia delle Belle Arti, è un artigiano anagraficamente giovane e tuttavia attivo dal 1990. Alberto occulta dietro la semplicità una cultura solida e profonda, fatta non soltanto di storici e critici dell’arte ma anche di pensatori esoterici ed ermetici. “La costanza – ci spiega – è la determinazione a ripetere un oggetto, l’applicazione di una disciplina artistica e personale che tiene a bada la volontà di vita e la volontà di varietà. Poi, la follia serve al coraggio, alla sperimentazione. È la follia che vaticina e che dà saggezza. Il mio essere artigiano abita qui, nel bel mezzo di questa ambivalenza…” Quanto c’è di artista in Alberto Bellini? Io sono un artigiano. L’artista è figura troppo impegnativa e altera. E allora: cosa significa essere artigiano? Cominciamo dal luogo dell’artigiano: la bottega. Io amo la bottega, il pensiero della bottega e anche lavorare dentro la bottega. Ne sono entusiasta perché in questo luogo il mestiere prende forma, prendono vita le relazioni e le suggestioni trasmesse durante una chiacchierata casuale. Nella bottega si crea la convivialità, il piacere dello scambio imprevisto, l’amicizia, l’intuizione. È un’idea - “purificata” - di bottega rinascimentale Un’idea molto distante dalla cultura della frenesia post-moderna... Sì. Sono dell’opinione che ci siano valori forti e poco adattabili ad un mondo nervoso in continua agitazione dove l’imperativo è quello della fretta e del “tutto e subito”. Io rivendico, per me stesso, un diverso orizzonte: un mondo più lento, attento ai particolari, all’anima degli uomini e delle cose, alla fantasia. Non credi così di uscire dalla modernità? Ma la modernità mica è solo quella “furia del dileguare”. C’è anche una modernità “utopica” dove è possibile vivere senza tornare al Medioevo (che pur amo) e senza sottoscrivere patti col demonio della velocità. L’utopia significa “nessun luogo” ma , come voleva Tommaso Moro, anche “buon luogo” (da eu-topia). Il mio buon luogo è quello della lentezza, del “buon uso della lentezza”. Io sono un artigiano “slow” perché spesso è la stessa materia che impone ritmi lenti… Veniamo alla tua produzione. Nella tua opera circolano, da anni, temi conduttori: i castelli, i volti, le figure spiraliformi. Il tema dominante è il Medioevo inteso sia dal punto di vista storico sia fiabesco. In particolare, le figure allungate, la concentrazione della luce verso l’alto, gli elementi spiraliformi richiamano con evidenza i caratteri del Gotico. È un movimento che mi affascina e che trova in me corde pronte a risuonare, specie per quanto riguarda gli aspetti “metafisici” e formali… Però la tua produzione non ostenta simbologie oltremondane o simbologie criptiche... Veramente io aspiro a fare oggetti e manufatti “sensuali”. Cosa intendi per sensuali? Oggetti non solo da vedere ma in grado di suscitare l’attenzione degli altri sensi. Il tatto, l’udito, l’odore. Certamente per alcuni sensi ci sono dei limiti, ma una speciale combinazione di forme e tatto potrebbe indurre la memoria a ritrovare, per sinestesia, anche un certo “sapore”. Sei un grande appassionato di musica. Cosa c’entra con il tuo lavoro? C’entra nella misura in cui le forme plastiche possono alludere alla musica, alla gestualità della musica. La scultura, la fabbricazione di un oggetto hanno bisogno di un contenuto rappresentativo, la musica ne prescinde. Però mi piace pensare che anche negli oggetti “pietrificati” possa trovare spazio un’eco di musica sia pure rarefatta… Inoltre, mi piace pensare al suono di un mio oggetto a contatto con i venti o altri elementi naturali… Bellini è un artigiano della terracotta a prima vista poco orvietano. Qual è il tuo rapporto con la tradizione? Ho trovato una mia identità di artigiano ribellandomi ad una tradizione che, pur degna e di assoluto valore, ti costringe a ripetizioni prive di novità. La sfida è stata allora quella di tentare una via diversa che, pur non ignorando il nostro passato, fosse capace di esplorare. Ad esempio, la scelta di lavorare con la terra bianca – usata in genere per le porcellane – va in questa direzione, ossia di sperimentare umilmente qualche cosa di nuovo. Nondimeno, io sono un frutto di questa terra, carica di storia e di iscrizioni artistiche e artigianali che sicuramente abitano, in forme talora inusuali, dentro quello che faccio e che penso. Per chi lavora Bellini? Debbo dire che lavoro molto con i committenti orvietani e la cosa mi fa particolarmente piacere; segno che quello che faccio è stato capito. Così come è stato compreso che si tratta di un lavoro che ha i suoi tempi e che certi ordini vanno programmati con anticipo. E così, mentre parliamo, un paio di conoscenti entrano nella bottega e chiacchierano un po’ con Alberto, un turista chiede informazioni mentre le macchine rovesciano fumi modernissimi sull’uscio dell’artigiano. Alberto accoglie tutti con grande amicizia. Anche il disappunto per il fetore nauseabondo dell’ennesima sgassata è manifestato con una imperturbabilità degna di un allievo di Seneca…