Il Primo e l'Ultimo dei miracoli: la Cappella del Corporale fra dogma e leggenda

Cappella del Corporale
Il mito del Graal nasce fuori dal contesto della Chiesa che all’inizio lo combatte. Addirittura i cristiani vedevano un legame tra la coppa e i Catari. Poi, gli autori del Medioevo se ne servono e lo acquisiscono, descrivendo un forte legame fra il Graal e il corpo e sangue di Gesù per dimostrare che fosse il simbolo dell’eucarestia (Imma Borsacchiello, la “Leggenda francese del calice di Cristo”, 2018).
Così il poeta Zbigniew Herbert, raffinato viaggiatore, scriveva negli anni ’50: “Orvieto è un racconto del Medioevo, segnato da un’arte sottovalutata nei libri di testo. Un ritorno alle fonti che sono gli inizi della cultura europea”. Basta visitare la cappella del Corporale per rendersene conto. Era l’epoca di miracoli e leggende, di santi e cavalieri, di dispute e concilii, mentre i sacerdoti erano investiti del massimo potere sulla terra, quello di "mutare - nella santa messa - la materia in Dio".
E se città e monasteri d’Europa ambivano a possedere gocce, vasi o addirittura catini del sangue di Cristo dal potere miracoloso, la città di Orvieto venerava la reliquia di Bolsena dove era ancora impresso il sangue della Passione uscito da un’ostia consacrata. Fu proprio quel prodigio a convincere papa Urbano IV a promulgare da Orvieto, nel 1264, la festa del Corpus Domini per tutta la cristianità. Circondati da racconti biblici e storie di miracoli, i fedeli che entravano nella cappella del Corporale erano invitati dalla Madre Chiesa a intraprendere un vero e proprio pellegrinaggio spirituale nel cuore della fede, unendosi interiormente a quei penitenti e pellegrini che al seguito delle crociate partivano da tutta Europa alla volta di Gerusalemme e del Santo Sepolcro.
Da tempo era iniziata la grande epopea cristiana della lotta contro i Catari e gli Albigesi (1), che dalla Francia si erano diffusi in Italia fino a concentrarsi ad Orvieto, crocevia tra Occidente e Oriente. Furono quegli orvietani schierati con l’autorità della Chiesa a difendere dalle eresie la vera dottrina, prima con il potestà Pietro Parenzo, martirizzato nel 1199, poi con il miracolo di Bolsena nel 1263 e infine con la costruzione del duomo nel 1290, che infuse nuovo fervore religioso alla città: il segno divino veniva portato in processione per le vie della città nel suo prezioso reliquiario, un potente simbolo civico e religioso che veniva innalzato contro gli irriducibili nemici della cristianità. Al suono delle campane, alla melodia dei canti, al profumo dell’incenso e alla luce di fiammanti candele, l’assemblea s’inginocchiava con timore e meraviglia davanti alla sublimità sacramento. Nella cappella del Corporale tutti potevano ammirare la realtà sovrannaturale dell’ostia, che salvò dalle fiamme di una fornace un bambino ebreo appena comunicato; che conservò la particola consacrata nel ventre di un pesce, il quale dopo tre anni la restituì intatta al suo profanatore; che si tramutò tra le mani di san Gregorio Magno (2) in “vera carne” e che, alla fine dei tempi, apparirà nel cielo insieme a Cristo risorto nell’ultimo miracolo dell’ostia eterna.
Battaglia di Acri, Cappella del Corporale
Questi e altri prodigi furono magistralmente rappresentati da Ugolino di Prete Ilario che, guidato dai teologi domenicani, compose sulle pareti della cappella il trattato più completo sull’eucarestia mai realizzato nell’arte. Qui venivano celebrate le gesta eroiche dei crociati nella leggendaria battaglia di Acri (3), raffigurata in tre scene proprio a lato dell’altare. Siamo nel 1291, quando l’armata di 60.000 soldati cristiani venne sconfitta dall’imponente esercito di 174.000 saraceni. Nello scontro, si legge nella lettera del comandante dell’Ordine degli Ospitalieri Jean de Villiers (4), alcuni dei crociati ormai ridotti allo stremo “fuggirono verso le navi gettando le armi e le armature”. Cadeva così il sogno del Regno di Gerusalemme, baluardo della cristianità in Oriente. In quel terribile giorno, il sacerdote dei cristiani venne condotto dal Sultano, il quale promise di liberare i prigionieri cristiani se avesse mostrato “come il pane diventa il corpo di Cristo”. Ed ecco, allora, che al momento della consacrazione fra le mani del sacerdote apparve il miracolo dell’ostia prodigiosa; così “tutti videro chiaramente Cristo nelle spoglie di un bambino” che “con la croce tra le mani” zampillava sangue dal costato dentro il calice eucaristico per mostrare ai presenti “la verità del sacramento”. A quella visione, cristiani e musulmani s’inginocchiarono in adorazione dell’eucarestia!
L’ostia, il bambino, il sangue, il calice, non c’era nulla di quella messa miracolosa che non richiamasse alla memoria il racconto del Graal, riportato nel celebre romanzo ’Joseph d’Arimathie’ (5) del chierico Robert de Boron, finito di scrivere nel 1212. La leggenda narrava del cavaliere Perceval (6), simbolo del perfetto cristiano, che partito alla ricerca del santo Graal giunse in un castello. All’improvviso, durante una liturgia, apparve in processione il sacro calice di Cristo che preceduto da due candelabri d’oro faceva il suo ingresso in una cappella, mentre un bagliore di luce inondò tutta la sala. In quell’istante, dal Graal uscì Giuseppe d’Arimatea con un vaso in mano e “una figura simile a un bambino dal corpo tutto nudo e sanguinate…che usciva da un’ostia che si tramutò in un uomo in croce con una lancia conficcata nel costato…e delle gocce di sangue vermiglio che cadevano dentro il calice”.
Apparizione del Graal, miniatura del 1351
Si affermava così, tanto nell’arte quanto nella letteratura, il miracolo dell’ostia che prendeva le sembianze del Fanciullo passionato, un singolare prodigio tramandato dalle cronache e da varie tradizioni (7) scritte e orali, note e meno note o andate perdute, che confluirono poi nella leggenda cristiana del Graal. Chi contemplava il leggendario racconto della meravigliosa messa di Acri non vedeva perciò solo uno dei tanti prodigi esaltati dalla cappella, ma il più antico dei miracoli eucaristici, risalente ai primi secoli del cristianesimo, che a partire dal vangelo di Nicodemo (II secolo) e da altri scritti apocrifi arrivò fino al Medioevo, acquistando il prestigio e l’autorevolezza di un testo evangelico.
Infatti, al centro dell’immaginario popolare, si era affermata con la leggenda la figura di Giuseppe d’Arimatea, l’autorevole membro del Sinedrio che tolse Cristo dalla croce e lo depose nel sepolcro dove raccolse in un vaso il sangue di Cristo versato dalla croce (8). Fu proprio da quel sacro oggetto, divenuto poi il calice dell’Ultima Cena, che si manifestò il primo miracolo eucaristico della storia. È quanto narrava l’altro celebre romanzo, di autore anonimo, intitolato ‘Il racconto del Santo Graal’ (9) che ebbe come protagonista il discepolo segreto di Gesù. Fu proprio lui, Giuseppe d’Arimatea, che dopo aver compiuto tutto secondo quanto prescritto dal rito della messa “prese dal Santo Vaso (10) un’ostia in forma di pane, e al momento dell’elevazione, una figura di bimbo dal volto rosso e infuocato discese dal cielo: egli penetrò nell’ostia e tutti gli astanti videro chiaramente che il pane assumeva forma di uomo carnale”. Anche il vescovo Germano di Parigi (490-576), alcuni secoli più tardi, parlando della liturgia dei primi cristiani, così scriveva: “mentre il sacerdote spezzava l’ostia sembrò che un Angelo di Dio trafiggesse le membra del fanciullo risplendente e che il sangue che ne sgorgava si raccogliesse nel calice eucaristico”.
Giuseppe d’Arimatea e la messa miracolosa del fanciullo
Ebbene, altri autorevoli autori cristiani testimoniarono sulla realtà sovrannaturale dell’ostia-bambino (11) rivelata nell’eucarestia, e tutto ciò a confermare lo stretto legame che da sempre unì la leggenda al mistero del divino sacramento. La visione del fanciullo si affermò a tal punto che la fantasia popolare la utilizzò per descrivere le meravigliose liturgie del Graal, tanto celebrate nella letteratura epico-cavalleresca del Medioevo: qui, in un’atmosfera carica di misticismo e spiritualità, l’apparizione del sacro calice di Cristo era accompagnata da una processione angelica perché, in realtà, la teofania del Graal altro non era che quel mistero della Transustanziazione (12), proclamato per la prima volta nel IV Concilio Lateranense del 1215!
Tutto, allora, nella cappella del Corporale, santuario dell’eucarestia, doveva stupire, affascinare, insegnare e illuminare il popolo di Dio sulla profonda unità tra dogma e leggenda, realtà e simbolo, che mostrava ai credenti come il pane e il vino si trasformano o si transustanziano -per le parole del sacerdote- nel corpo e nel sangue del Signore. Quel giorno infatti, sull’altare posto in mezzo al campo di battaglia dei cristiani e dei musulmani, non c’era un calice qualsiasi, ma quell’unica e preziosa coppa dove il Signore celebrò la prima eucarestia, ovvero la reliquia più bramata dal cristianesimo, che davanti ai miscredenti rese visibile l’invisibile.
L'Ultima Cena, Cappella del Corporale
E questo mistero fu elargito da Dio affinché tutti i credenti ricevessero, con l’istituzione dell’eucarestia, anche il dono di potere vedere -come la luce del sole- il mistero del Signore che torna ad incarnarsi nell’ostia consacrata, versando il suo sangue nel calice eucaristico per la Redenzione del mondo. E questo calice, quello dell’Ultima Cena, non era un mito o una falsa credenza agli occhi della cristianità, ma “lo stesso identico calice che Cristo tenne tra le mani” (13) e che “il Signore diede agli Apostoli”, come confermavano il teologo Alcuino di York (740-804) e Onorio di Augustodunum (1080-1140). Secondo la leggenda, esso venne custodito con tale cura e devozione dallo stesso Giuseppe dopo la Crocifissione, per essere tramandato lungo i secoli e dissolvere in mezzo agli uomini, insieme agli altri miracoli eucaristici, la fitta e densa nube del dubbio e dell’ignoranza. Un calice che verosimilmente venne trasportato ad Acri (14) dopo la perdita di Gerusalemme. Un “vero e proprio tesoro” che i discendenti di Giuseppe d’Arimatea, appartenenti all’Ordine dei Cavalieri, si preoccuparono che non andasse perduto essendo la cosa più preziosa al mondo; l’unico calice sulla terra che per aver ricevuto il sangue del Signore, conteneva la grazia di tutti i calici del mondo (15) innalzati in tutte le messe del mondo.
(fine seconda parte)
Prima parte: Giuseppe d’Arimatea, una storia mai raccontata
NOTE:
1. Con il termine Càtari o Albigesi s’intende quel movimento eretico che nacque nel XII secolo in Occitania(Francia) diffondendosi in tutta Europa; abbracciando la filosofia manichea della separazione del mondo da Dio, i cosiddetti ‘puri’ si opposero strenuamente ai dogmi della cattolicità, primo fra tutti l’eucarestia.
2. Nella tradizione ecclesiastica è noto il miracolo eucaristico di Roma, avvenuto nell'anno 595. Si tramanda che durante una messa celebrata da papa Gregorio Magno, una donna si accostò alla comunione non credendo nella reale presenza di Cristo nell'eucaristia. Anche se Gregorio si rifiutò di comunicarla, invocò Gesù affinché la illuminasse: subito dopo le specie eucaristiche si sarebbero trasformate in carne e sangue, e la donna, pentendosi dalla sua incredulità, potè ricevere l’ostia che nel frattempo aveva ripreso la forma del pane(Jacopo da Varazze, Leggenda aurea).
3. L'assedio e la caduta di San Giovanni d’Acri ebbero luogo nella primavera del 1291 e si concluse con la conquista della città da parte dei musulmani. L’episodio segnò la fine delle Crociate in Oriente e il crollo del regno di Gerusalemme che si ricostituì, dopo la perdita della città santa da parte dei musulmani nel 1244, come regno di Acri.
4. Jean de Villiers, comandante dell’Ordine degli Ospitalieri, scrisse una lettera a Guglielmo de Villaret, priore di saint Gilles, per raccontare gli ultimi drammatici momenti di quel che accadde nel 1291 con l’assedio alla fortezza di Acri. Dal suo letto d’ospedale a Cipro, egli racconta l’ultima disperata resistenza della roccaforte cristiana ad opera dell’Ordine degli Ospetalieri che combatterono a fianco dei Templari, il cui Maestro e maresciallo Matthew de Clermont perse la vita per le ferite riportate.
5. La leggenda cristiana “Joseph d’Arimathie” è stata composta da Robert de Boron ed è il “più antico romanzo in prosa francese”(Zambon). Dell’autore si sa che visse presso la corte di Gautier de Montbéliard e che sarebbe poi morto da crociato in Terra Santa nel 1212. Con il suo romanzo, scritto tra il 1170 e il 1212, nasce il mito cristiano del Graal che narra la storia del calice di Cristo, che si diceva fosse ritrovato dai Templari dopo la conquista di Gerusalemme nel 1099.
6. Il personaggio di Perceval nasce con “Le Roman de Perceval ou le conte du Graal” di Chrétien Troyes, tra il 1170 e il 1190, un’opera che farà da modello alle successive versioni ispirate alla leggenda del Graal. Perceval è un ragazzo di 15 anni che vive isolato dal mondo con la madre vedova e che non sa nemmeno il suo nome. Un giorno incontra alcuni cavalieri e, affascinato dallo splendore delle loro armature decide di farsi anche lui cavaliere. Cresciuto al riparo da tutto, anche dalla religione cristiana, Perceval farà un’esperienza inattesa: in una straordinaria liturgia del venerdì santo avrà l’apparizione del Graal che, in questa leggenda, non era ancora identificato come il calice dell'Ultima Cena. Ma al suo risveglio tutto è sparito e Perceval ricomincia così le sue peregrinazioni. Durante il suo viaggio si renderà conto che per ritrovare il Graal dovrà diventarne degno: dal suo successo dipenderà infatti la salvezza del regno, una terra malata, sterile e desolata, e anche del Re Pescatore “che si nutre solo delle ostie che gli vengono portate”. Nel giorno di Pasqua, Perceval incontra un eremita, fratello del Re, che lo confessa e rinfocola in lui il sentimento religioso, perso durante il cammino. Da allora viene a conoscenza di essere discendente di Giuseppe d’Arimatea e di coloro che dopo di lui presero in custodia il santo Graal.
7. Questi scritti, esclusi dal canone della Bibbia, fanno parte della cosiddetta ‘letteratura apocrifa’. Essi appartengono al fenomeno religioso e letterario del periodo patristico che, dopo la prima generazione cristiana, sentì il bisogno di approfondire le vicende della Passione di Cristo. Tra questi scritti si trova il Vangelo di Nicodemo(datato al II secolo), dove emerge la figura di Giuseppe d’Arimatea, il Vangelo di Gamaliele e il Vangelo di Pietro.
8. Nel romanzo di Boron si narra che Giuseppe d’Arimatea giunse sul monte Golgota e dopo aver tolto il corpo di Cristo dalla croce “lo accolse tra le sue braccia e lo adagiò delicatamente a terra. Mentre lo lavava…vide il sangue che stillava dal costato, dove era stato ferito. Così andò di corsa a pretendere la coppa(il calice dell’Ultima Cena) e la mise ove il sangue colava, pensando che le gocce che vi cadevano dentro sarebbero state ben conservate”.
9. Quasi contemporaneo alla leggenda di Boron è il romanzo mistico “La Queste du Saint Graal”(La ricerca del Santo Graal), scritto agli inizi del XIII secolo e molto vicino al monachesimo cistercense. In esso si narra del cavaliere Galaad(il cui nome significa ‘colui che si apre un varco’) il quale si mise alla ricerca del Graal, riuscendo alla fine a penetrarne i segreti. Durante una delle sue tante apparizioni, lo stesso eroe “si fece avanti e guardò all’interno del Vaso. Non appena lo ebbe fissato, cominciò a tremare perché la sua carne mortale cominciava a percepire le cose spirituali” e in quel momento trovò la morte in preda all’estasi.
10. Nel vangelo apocrifo di Nicodemo si narra che, dopo la resurrezione, Cristo apparve a Giuseppe d’Arimatea in prigione, accusato dai Giudei di aver trafugato il corpo del Signore. Durante la notte “Gesù andò nella prigione e gli portò il suo vaso, tenendolo in mano: esso irradiò su di lui una luce così forte da inondare tutta la cella. Ogni giorno il discepolo traeva dal sacro vaso un’ostia nutrendosi solo di essa, fino al giorno della sua miracolosa liberazione.
11. Il miracolo dell’Ostia-Bambino è riportato negli scritti di fonte orientale, quali il Sermo historicus di Gregorio Decapolita e i Detti e fatti dei Padri del deserto dove viene descritto il miracolo eucaristico di Scete(III-V sec. d.C.), raffigurato nella cappella del Corporale; alla fonte occidentale appartengono invece la breve Esposizione dell’antica liturgia(c.640) di Germano da Parigi, la Vita Odonis(c.937) di autore anonimo, la messa officiata da san Gregorio Magno(c.1160) di Egberto di Schonau, la Vita Hugonis Lincolniesis(c.1220), il Liber de miraculis(c.1240) di Cesario di Heisterbach e alcune cronache tramandate in ambiente cistercense.
12. Con il dogma della Transustanziazione, accolto nei documenti ufficiali della Chiesa a partire dal IV Concilio Lateranense del 1215, si affermava per la prima volta la presenza reale di Cristo nella santa messa, contestata da Berengario di Tours, in cui con la consacrazione viene rinnovato il mistero dell’Ultima Cena quando Gesù convertì il pane e il vino nel suo corpo e nel suo sangue.
13. Del sacro Calice parlarono diverse fonti, fra le quali il Breviario di Gerusalemme(VI sec.), la Vita di Barlaam et Joasaph, attribuita a san Giovanni Damasceno(m. 749) o al santo monaco Eutimio Georgiano(m. 1028), il Liber de locis sanctis di Pietro Diacono da Montecassino(m. 1137) e il Liber de passione Christi di Bernardo di Chiaravalle(1139-1140).
14. Il monaco benedettino Matteo da Parigi riporta, nella Historia major, dell’esistenza di una coppa o vaso che il Patriarca di Gerusalemme avrebbe tenuto con sé, fino al giorno in cui, per timore di perdere la Terra Santa a causa dei musulmani, decise di inviarlo nell’anno 1247 in Occidente, al “piissimo re d’Inghilterra Enrico III, un vero cristiano, affinché esso potesse venir più degnamente venerato e integralmente preservato”.
15. Tutti i calici eucaristici raffigurati da Ugolino nella cappella del Corporale, sono praticamente identici a significare lo stesso mistero celebrato nella santa messa: un solo calice perché un solo corpo e un solo sangue di Cristo. Lo stile del calice è quello francescano, caratterizzato dalla presenza del nodo salomonico, simbolo d’eternità, di unione tra divino e terreno, nonché di difensa dal mondo del male.

Nota della Redazione: Orvietonews, giornale online registrato presso il Tribunale di Orvieto (TR) nr. 94 del 14/12/2000, non è una bacheca pubblica. Pur mantenendo fede alla disponibilità e allo spirito di servizio che ci ha sempre contraddistinto risultando di gran lunga l’organo di informazione più seguito e letto del nostro territorio, la pubblicazione di comunicati politici, note stampa e altri contributi inviati alla redazione avviene a discrezione della direzione, che si riserva il diritto di selezionare e modificare i contenuti in base a criteri giornalistici e di rilevanza per i lettori.