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cultura

"Un buon posto in cui fermarsi" - storie di fragilità maschili e speranze sottili

mercoledì 14 maggio 2025
di Antonella Pace

C’è una crepa in ogni cosa, diceva Leonard Cohen. Ed è da lì che entra la luce. Le storie di Matteo Bussola sembrano partire proprio da quei luoghi rotti ma vivi, abitati da uomini imperfetti che ancora sanno amare.

Anime fragili e cuori spezzati. Vite frantumate, in attesa, che scelgono e si evolvono grazie a una scintilla, a una parola, un pensiero che affiora apparentemente senza un motivo preciso o un preavviso e da cui si diramano direttrici di vita piena di crepe e storture ma ancora tutte da vivere e respirare.

Poi nel buio più profondo, nel silenzio più assordante si aprono delle possibilità, una piccola luce in una notte oscura, una speranza ma anche una fine, attimi di rivincita ma anche di perdite immense, paure e amicizie nate online: leggere come una notifica ma vere come un abbraccio.

C’è l’incapacità di accettare un cambiamento e pesanti silenzi che fanno da cornice a una vita insieme. C’è tanto nel “Buon posto in cui fermarsi ” di Matteo Bussola. Soprattutto storie di uomini fragili ma ancora capaci di amare. Uomini veri e non idealizzati, lontani anni luce dalla perfezione con accanto la loro umanità che li sbatte di fronte a percorsi difficili, che li mette spalle al muro costringendoli a fare i conti con loro stessi, con il proprio vissuto, con quello che resta di loro.

Ciò che ne esce è un ritratto di persone che lottano, cambiano strada, che si chiudono in loro stesse e nelle proprie camere, che si fanno del male, che tradiscono, che faticano, che seminano.

Quindici vite…quindici racconti che, pur essendo autonomi, sono legati da fili sottili e significativi. I personaggi, i luoghi, i dettagli si intrecciano, si sfiorano, si richiamano a distanza, creando un vero e proprio tessuto narrativo. Non si tratta di una raccolta ma di un universo condiviso. Un percorso che si apre e chiude con l’immagine e un racconto legato al mondo della natura, a una trasformazione totale di una vita che passa dalla scrivania alle mani sporche di terra. La terra e la semina come metafora di cura, di presenza nel tempo, di una forma di amore che non si dice ma si fa.

Matteo Bussola ci vuole suggerire che nella vita nulla cresce per caso. Che anche il dolore può essere un seme, se accolto. Che le relazioni, anche quelle che sembrano spezzate possono trovare nuova linfa. Che fermarsi, a volte, significa proprio piantare qualcosa, non per raccogliere subito ma per restare. Per esserci, veramente. Per far rimanere tracce di quello che eravamo, che abbiamo lasciato e che siamo diventati.

Una struttura ciclica che dona al libro un respiro profondo e coerente, come se tutto ciò che leggiamo nel mezzo – errori, tradimenti, fragilità, amore – fosse parte della stessa stagione emotiva.

Le storie come mondi sospesi tra il dolore e la rinascita, in cui ogni parola è un passo verso la consapevolezza. Perché, in fondo, ognuno di noi cerca solo un buon posto in cui fermarsi. Anche quando non lo sa

TITOLO: Un buon posto in cui fermarsi

AUTORE: Matteo Bussola

CASA EDITRICE: Einaudi

PAGINE: 151

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