cultura

"456", al Teatro Mancinelli comicità fa rima con cinismo e diffidenza

domenica 4 maggio 2025
di Federica Sartori

È con "456" che si chiude la Stagione 2024/2025 del Teatro Mancinelli di Orvieto. Una commedia, quella portata in scena nella serata di sabato 3 maggio? Sicuramente, ma anche una storia che fa riflettere per le dinamiche di una famiglia rintanata in una valle che è sia scudo dal mondo esterno sia prigione. Sicuramente non c'è armonia, ma sospetto, nervosismo, fino ad arrivare all'odiarsi. 

Genesio, il figlio, (un eccellente Carlo De Ruggieri) si contraddistingue per il nervosismo carico di dubbi e per la voglia di evasione, mentre il padre Ovidio incarna il padre/marito-padrone (bravissimo Massimo De Lorenzo). Maria Guglielma (una perfetta Cristina Pellegrino) è vittima degli altri due ma cerca di sollevare la testa.

Sono un padre, una madre, anzi pater e mater, e un figlio in continuo conflitto. Ci si chiede perché vivano insieme se sono così ostili l'uno nei confronti degli altri. Nessuna empatia, nessun passo avanti verso il congiunto, nessuno sforzo per migliorare il rapporto o chiuderlo definitivamente. Ma un filo invisibile li unisce. La certezza che fuori dalla valle tutto sia negativo, tutto conduca alla morte. Non c'è speranza, là fuori!

Nata dalla penna di Mattia Torre, autore e regista prematuramente scomparso a soli quarantasette anni nel 2019, la commedia è una miscela esplosiva di agro e dolce, ironia e cattiverie, desideri nascosti e scontri aperti. Una guerra quotidiana nella quale a un certo punto 'deve esplodere' una tregua: un ospite atteso sta per raggiungerli con il compito di cambiare quella realtà. 

Solo per quella occasione i tre si organizzano e collaborano alacremente così che quando il visitatore arriverà tutto sarà in ordine, preparato, perfetto. Viene pensato e preparato un menù ricco di pietanze. Solo quello li unisce e si esercitano ad avere ciascuno un ruolo preciso nell'accoglienza dell'ospite. Non è che una farsa. Non si può cambiare in così poco tempo, ma riusciranno a portare a termine quei ruoli? La tregua durerà?

Chi sono in realtà queste tre persone dello stesso nucleo familiare sempre in conflitto che, distaccate dal mondo esterno per combattere il peggio della società, finiscono per rappresentare l'emblema di tutto il negativo? La precarietà e l'incertezza del futuro portano alla diffidenza, alla mancanza di condivisione.

Ciò che di brutto simboleggia la società è ampiamente entrato all’interno della famiglia tanto che, da nucleo aggregante, è diventato il luogo ristretto di tutti quegli aspetti negativi. I tre familiari sembrano andare d’accordo solo su una cosa: 'tenere in vita' con dei continui rabbocchi il sugo della nonna, mancata ormai da quattro anni, tenendolo perennemente sul fornello. Un accanimento dietro al quale si cela la speranza che prima o poi il condimento faccia il miracolo di 'digerire' tutto quanto non viene accettato dagli altri. Il miracolo della 'pace'.

Accanto a quel sugo che confidano sia miracoloso, un altro elemento diventa fulcro dell'esistenza di tutti e tre. Il vento. Genesio confida nel vento per evadere da quella valle, da quella casa, da quella situazione che lo vede ancora un bambino tanto da avere necessità di una ninna nanna, canticchiata dalla madre, per poter ricevere la rassicurante certezza di essere al riparo da ogni pericolo.

Anche per Ovidio, il 'pater', il vento è particolarmente importante ed è consapevole che il libeccio non soffia solo fuori dall'abitazione. Maria Guglielma riserva anche al marito, e non solo al figlio, una 'medicina delle parole'. In questo caso non una ninna nanna con protagonista un ghiro come per Genesio, ma il parlare dell'accattivante menù che è stato creato per accogliere al meglio l'ospite che sta arrivando (un Giordano Agrusta perfettamente calato nel ruolo) e dal quale si aspettano una conferma. La conferma di cosa? Mistero!

Maria Guglielma, l'unica donna, è colei che riesce a tranquillizzare marito e figlio ma verso la quale i due uomini rivolgono un atteggiamento di violenza e poca considerazione. Lei subisce. Ma subisce davvero? Un intreccio di legami che uniscono ma distruggono, di amore e odio, di istinto alla prevaricazione e alla sottomissione (almeno apparente). Un microcosmo? Una famiglia 'stravagante'? O forse la rappresentazione di tante situazioni che esistono realmente? 

Mattia Torre ha anche pensato a una lingua creata appositamente per questo spettacolo proprio per rendere ancor più profondamente il rapporto tra i tre. Confini che diventano limiti. Limiti che li separano dal mondo esterno. La diversità tra loro, proprio perché li rende così lontani e opposti, fa trovare i tre nello stesso punto. E lì, spinti all'estremo, nel momento in cui alla felicità di un obiettivo raggiunto si oppone l'incredulità, il bene e il male sono contigui, la tensione esplode senza ritorno. 

È inconfutabilmente vero che la società spinga alla sopraffazione e al conseguente senso di precarietà e sfiducia, ma anche la famiglia detta spesso le stesse regole, seppur per altri motivi e con altri metodi. Gli attori sul palco, Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggieri, Cristina Pellegrino e Giordano Agresta, hanno una profondità tale da riuscire a far esplodere e rendere credibili i personaggi che si esprimono con un idioma nuovo che li differenzia a tal punto da renderli uguali.

La bravura dei quattro protagonisti, splendidamente 'odiosi e detestabili' in virtù di tanti loro pensieri e atteggiamenti, è quella di mettersi di fronte, a fianco e dentro l'animo di ciascun spettatore. Nella storia scritta da Torre, tra insulti, domande, preghiere, i componenti della famiglia si detestano ma anche esaltano. Si odiano ma quando c'è da raggiungere un obiettivo si aiutano. Continueranno a pensare in modo profondamente diverso l'uno dall'altro anche dopo l'arrivo dell'ospite? La 'notizia' che porta li unirà o li dividerà per sempre? Porterà pace o farà raggiungere l'apice dell'odio?

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