"L'Ebreo": tra commedia e noir. Coscienza, dignità e menzogna.

Al Teatro Mancinelli è andato in scena domenica 9 marzo, come annunciato, "L'Ebreo", una delle commedie più coinvolgenti di Gianni Clementi, strappando molte risate e applausi fino alla meritatissima standing ovation per i tre splendidi protagonisti. Brilli, Bussotti e Mazzenga portano in scena l'animo umano quando si trova combattuto tra lealtà e avidità, dignità e spregiudicatezza.L’opera è ambientata nel 1956, fa riferimento alle conseguenze delle leggi razziali del 1938, ma in realtà affronta temi sempre attuali.
Durante il rastrellamento del ghetto avvenuto nell'ottobre del 1943, il proprietario del negozio dove Marcello e Immacolata Consalvi lavorano, è stato prelevato e condotto in Germania. Fidandosi ciecamente dei due dipendenti, il 'padrone' aveva intestato loro le abitazioni e i negozi di cui era proprietario così da salvarli dalla confisca. Quella decisione era nata da due certezze: l'onestà dei dipendenti e la convinzione di tornare a Roma.
I primi tempi è così. La coppia porta avanti le attività, si cura degli immobili, registra ogni incasso, certa che il 'padrone' sarebbe tornato. Passano gli anni ma così non avviene. I due intanto si sono ormai trasferiti nel grande e lussuoso appartamento a loro intestato ma in cui Marcello non si è mai sentito a casa. Il commesso è sempre la persona semplice di prima, al contrario di Immacolata che ha smesso di lavorare e si atteggia a 'signora', arrivando a non gradire più le attenzioni del marito e addirittura a rivolgersi a lui chiamandolo per cognome senza neanche rendersene conto.
Lui ha gli stessi amici di prima, uno stagnaro (l'idraulico) Tito e un arrotino; indossa il vecchio grembiule di sempre; si sente in colpa per vivere quella vita che non sente propria. Lei prova risentimento nei confronti di chi li giudica male e ritiene un diritto usufruire delle proprietà del 'Padrone' e vivere nell'agiatezza. Marcello non voleva cedere alle parole della moglie 'il padrone è morto in Germania. non tornerà.' ma la donna ha continuato quotidianamente a insistere e, seppur a malincuore, se ne è convinto. Tutto cambia nel febbraio del 1956, quando il padrone suona alla porta di casa.
Immacolata non è disposta a tornare alla condizione di 'serva', vivere in un quartiere periferico 'in due camere e cucina', rinunciare al benessere a cui è abituata. È decisa e determinata a mantenere quella nuova condizione economica e sociale tanto da persuadere Marcello prima a barricarsi in casa e poi a studiare un modo per uccidere l'ebreo. Emerge un carattere ancora più forte e deciso di sempre così da condurre il marito e l'amico di lui, l'idraulico Tito, dalla propria parte.
Menzogne, colpi di scena, bassezze, riflessioni, dialoghi si susseguono incalzanti. Fino all'imprevisto e inaspettato epilogo. La trama della commedia di Gianni Clementi, diretta con maestria da Pierluigi Iorio, coinvolge, fa sorridere, ridere ma anche stupire e riflettere lo spettatore. Denaro e potere. Lealtà e empatia. Correttezza e bugie. Molti gli aspetti dell'animo umano che si rivelano in quei pochi giorni.
Sul palcoscenico detta legge Immacolata, donna incantevole, affascinante ma anche così determinata da arrivare a sfiorare la perfidia (una straordinaria Nancy Brilli); dal marito Marcello, persona generosa, onesta e gentile che si ritrova stretto tra la propria coscienza e le ragioni portate avanti dalla moglie (un immenso Fabio Bussotti) e dall'amico di una vita, lo stagnaro Tito, una persona semplice, che conduce una vita umile e da sempre subisce il fascino di Immacolata (un eccellente Claudio Mazzenga).
Una narrazione condotta con un ritmo incalzante e una colonna sonora che l'accompagna in modo perfetto. Gli spettatori vengono proiettati in quel clima di incredulità, speranza, incertezza e conflitto con la propria coscienza. Il pubblico del Mancinelli apprezza, ride, riflette, applaude una storia brillante, splendidamente interpretata da tre grandissimi attori che sono riusciti a portare in scena una parte nascosta di ciascuna persona.

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