cultura

Leopardi, i fiori e Barlozzetti-Cambri per "Orvieto in Fiore" nel Giardino di Palazzo Sanvitani

lunedì 20 maggio 2024
di Raffaele Davanzo

La mattina di sabato 28 maggio, come annunciato, il Giardino di Palazzo Sanvitani, una magica replica del Paradiso Terrestre posizionato nel centro storico di Orvieto, ha svolto la funzione di Parnaso dove le due Muse Calliope ed Euterpe, rispettivamente per l'elegia e la musica, hanno unito le loro incantevoli grazie nelle figure di Guido Barlozzetti e del Maestro Riccardo Cambri: ecco i Fiori Rari di Giacomo Leopardi, evento inserito nel programma di "Orvieto in Fiore" e sostenuto dall'Università delle Tre Età di Orvieto.

Guido Barlozzetti, nell’introdurre il tema, ha per prima cosa giustamente notato che avvicinare Leopardi ai fiori significa in ogni caso produrre facili ossimori. Ed infatti nello Zibaldone, lo specchio della sua visione del mondo, c’è un brano-chiave che possiamo chiamare il giardino della sofferenza, composto nel 1826 durante il suo soggiorno a Bologna: brano che contiene la sintesi dell'idea di Leopardi del male, capovolgendo il concetto di giardino come luogo armonioso e felice col mostrare i drammatici rapporti tra animali e piante e dimostrare come il principio del male si annidi dovunque ed accomuni tutte le specie, in quanto il soffrire è attributo naturale di ogni cosa: anzi, è a priori dell’uomo, lo trascende.

Il Maestro Riccardo Cambri, con la sua eloquente fisarmonica, ha inserito tra le letture di Leopardi e le considerazioni di Barlozzetti alcuni brani galleggianti tra la malinconia del pessimismo e lo struggersi di un Infinito troppo lontano per l’Uomo: ricordiamo Intermezzo dalla Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, Mattinata siciliana di Gaetano Emanuel Calì, Era de maggio di Salvatore Di Giacomo e Mario Pasquale Costa, ed infine Espoirs perdus di Alessandro Morelli.

Il momento lirico ed insieme filosofico de La Ginestra, l’ultima composizione di Leopardi prima di morire è stata la citazione leopardiana più lunga ed intensa: si basa anch’essa sul contrasto tra il gentile fiore ed il Vesuvio, simbolo della forza distruttrice della natura. (Tu) che di dolcissimo odor mandi un profumo, / che il deserto consola. E tu, lenta ginestra, / che di selve odorate / queste campagne dispogliate adorni, / anche tu presto alla crudel possanza / soccomberai del sotterraneo foco. . . E piegherai / sotto il fascio mortal non renitente / il tuo capo innocente / ... sul deserto, dove / e la sede e i natali / non per voler ma per fortuna avesti. La Ginestra è pervasa da una spiritualità ampia che tutto comprende e che va oltre il reale, anche fino alla distruzione, in un vortice mentale che anch’esso è immagine dell’Infinito, anche qui: sotto il versante temporale, mentre nel sonetto si trovava sotto quello spaziale.

Ma altri due fiori esplodono decisamente da altri versi di Leopardi: l'immagine del mazzolino di rose e di viole in apertura de Il Sabato del Villaggio: Giovanni Pascoli per primo si accorse di una supposta inesattezza botanica perché i due fiori non sbocciano nello stesso periodo. Ma rientriamo nel seno della lirica, uscendo da quello della botanica: insieme i due fiori firmano l'immagine di una Primavera Eterna che rinforza l'idea dell'inesorabilità del tempo che è base e conclusione di quella poesia, in una meditazione sull’universale condizione di fragilità della natura umana, proprio come ne La Ginestra.