A vent'anni dalla scomparsa dell'artista cileno Roberto Matta apre il Ritiro della Bandita

Dal giardino al cortile dell'ex convento dei frati passionisti – fondato nel 1750 da San Paolo della Croce e, dopo vari abbandoni, acquistato e restaurato nel 1968, grazie alla gallerista Luisa Laureati, da Roberto Sebastián Antonio Matta Echaurren – fino alla cappella della chiesa a navata unica consacrata nel 1769 in cui l'artista, nato a Santiago del Cile nel 1911, è stato attivo per anni e dove ora riposa. Sono spazi privati, quelli del Ritiro della Bandita, alle porte di Tarquinia, che, a vent'anni dalla morte avvenuta a novembre del 2002, per la prima volta, apre al pubblico i suoi cancelli.
Per il pittore e architetto, le cui opere sono presenti in alcune delle più importanti collezioni del mondo – il Centre Pompidou di Parigi, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, l'Art Institute di Chicago, il Guggenheim Museum, il Metropolitan Museum e il MoMA di New York, il LACMA di Los Angeles, il MALBA di Buenos Aires, la Tate Britain di Londra – quell'ambiente è stato casa, rifugio e luogo di lavoro. Per tutti coloro che parteciperanno alla 12esima edizione delle Giornate FAI d'Autunno, invece, si riveleranno meta di sicuro interesse.
Una piacevole scoperta, a partire dalla posizione. Il complesso si trova, infatti, nella bassa Maremma, in un'area extraurbana, vicino ad un zona di campagna incontaminata gestita dall'Università Agraria di Tarquinia in cui si preservano il bosco e il paesaggio e si pratica l'allevamento di bovini allo stato brado. Un'occasione per respirare lo spirito dell'artista e scoprire, con i propri occhi, la sua sorprendente e personalissima carica poetica.
Oggi sede degli Archivi Matta, qui si conservano sculture in bronzo, ceramiche, pastelli, tele, disegni e mobili che raccontano, attraverso la magia di un luogo che sembra sospeso e senza tempo, l’immaginario fantastico e inimitabile di uno dei più visionari artisti del suo tempo che iniziò a lavorare nel 1934 nello studio di Le Corbusier, conoscendo Federico Garcia Lorca, Salvador Dalì e André Breton e aderendo al Movimento Surrealista.
Nel 1939 la pittura delle sue "Morfologie psicologiche", volte ad indagare gli spazi interiori, anticipò molti dei tratti più innovativi e caratteristici dell’espressionismo astratto, influenzando con l’automatismo del gesto diversi artisti della cosiddetta Scuola di New York, in particolare Pollock, Gorky, Motherwell, Rothko, de Kooning. Nel 1953 si stabilì a Roma elaborando l’idea del cubo aperto, un’intuizione che cerca di aprire la realtà proprio come un cubo, per mostrare quanto la percezione del mondo fisico possa risultare in contraddizione con l’idea che se ne ha e per formulare una nuova prospettiva in cui allo spazio delle distanze si sostituisca quello del significato.
Tra le opere che legano Matta a Tarquinia, c'è "La cavalcata degli Etruschi", realizzata su tela di iuta nel 1975, un omaggio al popolo originario di questo territorio e al suo spirito pacifico e gioioso. Onirica e sognante, l’immagine restituita è una visione che si accorda all’idea dell’artista per cui l’uomo sparirà o diventerà "homo ludens", cooperando per trasformare la società rendendola più giusta e pacifica. E poi "Affinché le vittime vincano", trittico a pastello, olio e gessetti su carta intelata donato lo stesso anno all’Amministrazione Comunale, in cui Matta dà voce allo spirito dell’arte precolombiana e raffigura le diverse forme di oppressione e colonizzazione.
Entrambe conservate nella Sala Consiliare del Palazzo Municipale, saranno illustrate sabato 14 e domenica 15 ottobre, dalle 10 alle 17, dai volontari della Delegazione FAI di Viterbo insieme agli Apprendisti Ciceroni, ovvero gli studenti dell’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore "Vincenzo Cardarelli" di Tarquinia e dell'Istituto di Istruzione Secondaria "Giuseppe Colasanti" di Civita Castellana. L’ingresso è libero con un contributo volontario.
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