"Sempre fiori mai un fioraio", l'omaggio di Pino Strabioli al pensiero libero di Paolo Poli

Con lo spettacolo "Sempre fiori mai un fioraio" al Mancinelli si è conclusa una nutrita e stimolante Stagione Teatrale. Una Stagione, "Sipario!", che ha dimostrato, come se ce ne fosse bisogno, quanto il teatro sia un'opportunità di crescita culturale e personale per chi, quando il tendaggio di velluto rosso si apre, instaura un rapporto intimo e personale con i testi, condivide le emozioni degli sguardi dei protagonisti e vive quelle sensazioni diffuse che prendono forma da un palco che diventa tangibile in quella che, progressivamente, si fa esperienza collettiva.
In questo flusso di parole, pensieri ed emozioni ha trovato il giusto riconoscimento anche il ricordo dell'attore, regista teatrale e cantante fiorentino Paolo Poli, da parte del direttore artistico Pino Strabioli che, come annunciato, domenica 7 maggio, è tornato con il suo spettacolo a raccontare e raccontarsi nella sua Orvieto. Dai suoi occhi e dalle sue parole ecco, quindi, riflettere non solo la storia del suo maestro, de "la sua accademia" (lui non fu ammesso, ndr), ma anche la propria. Di quel giovanissimo Pino che, sull’onda dell’entusiasmo di chi è poco più che ventenne, aveva deciso di raggiungere la Capitale per inseguire il suo sogno.
E per nutrirsi e misurarsi con quei personaggi che non poteva limitarsi a conoscere solo di riflesso, per poi poter scrivere qualcosa su quella rubrica de L'Unità che stava curando. Piccoli ritratti di grandi personaggi che, a poco a poco, avrebbe realizzato essere pagine consistenti del teatro e, taluni, punti di riferimento della sua vita. "Paolo - confida - per me è stato uno degli incontri fondamentali. Quando ho lasciato Orvieto, volevo incontrare Paolo Poli, Carmelo Bene e Dario Fo. Carmelo Bene non ce l’ho fatta, nel senso che sono andato solo a vedere i suoi spettacoli. Dario Fo sì, l’ho intervisto più volte, sia lui che Franca Rame".
Quale è l’eredita che ci lascia Paolo Poli?
"È un’eredità enorme: il pensiero libero e il rispetto degli altri. Una cosa che, quanto mai oggi, dovrebbe essere ricordata e frequentata. Paolo Poli non era mai giudicante, è riuscito ad aver un rapporto sano con il giudizio degli altri. Possibile solo là dove c’è la cultura vera e l’umanità. Paolo credeva nell’uomo".
Con questo spettacolo ad Orvieto, Poli in qualche modo torna alla Rupe?
"Sì, nel '95 o forse nel '96 sono riuscito a portarlo a Orvieto. È un ricordo lontanissimo. Lui carinamente venne. Arrivò con treno. Andai a prenderlo con la mia piccola macchina. Era con Antonio Ballista, il grande pianista".
Lui, ma anche lo spettacolo torna ad Orvieto…
"È stato proposto l’anno scorso due volte al Ridotto e poi, visto che molti non erano riusciti ad assistere allo spettacolo, è stato messo in cartellone quest’anno. Si tratta di uno spettacolo che scrissi con lui. Con lui avevo fatto teatro e poi otto puntate per la televisione sui vizi capitali, si chiamava 'Lasciatemi divertire'. Paolo non voleva fare televisione, diceva di no a tutti - detestava la televisione - però io riuscii a convincerlo".
Proprio come a scrivere un libro su di lui…
"Molti lo corteggiavano. Era nato nel '29, dichiaratamente omossessuale, censurato da tutti come per l'avanguardista 'Santa Rita da Cascia' che è stato uno spettacolo scandalo. Per scrivere il libro ho registrato le nostre conversazioni a pranzo (40 appuntamenti alle 12 in punto, nello stesso ristorante di Piazza Sforza Cesarini, a Roma, ndr) che sono diventate un libro e poi uno spettacolo".
A lei cosa ha lasciato?
"Tanti ricordi. La misura, il rispetto e la curiosità. Un grande vuoto. Dopo di lui ho lavorato con Franca Valeri, che lui considerava la sua maestra. Con loro se ne va via quel '900 che ha gettato le basi, che purtroppo noi stiamo un po’ calpestando".

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