cultura

La leggenda del Graal nella Cattedrale di Orvieto 

mercoledì 5 ottobre 2022
di Mirabilia Orvieto

"Il mito del Graal nasce fuori dal contesto della Chiesa, poi gli autori del medioevo se ne servono descrivendo un forte legame tra il Graal e l’eucarestia" (Imma Borsacchiello).


Audiolettura di Sophia Angelozzi

Era l’anno 1364 quando Ugolino di Prete Ilario terminava il ciclo pittorico della cappella del Corporale nel Duomo di Orvieto, il più completo trattato sull’eucarestia mai realizzato nell’arte. Era l’epoca di miracoli e leggende, di santi e cavalieri, di perigliosi viaggi alla conquista della Terra Santa e del Paradiso, mentre i sacerdoti erano investiti del massimo potere sulla terra, quello di mutare la materia in Dio. 

Contro tutte le  eresie, la piccola cappella doveva accrescere la fama di una cattedrale innalzata sopra la Rupe per annunciare agli uomini ciò che avrebbe reso più luminosa l’esistenza, in un mondo tormentato da guerre, carestie e pestilenze. E mentre città e monasteri ambivano a possedere gocce, fiale o addirittura catini del sangue di Cristo dal potere miracoloso, nella città di Orvieto si venerava in un prezioso reliquiario il prodigio eucaristico di Bolsena che fece di quella mistica cappella il tempio dell’Inesprimibile, dell’Invisibile, dell’Ineffabile. Di fronte a quel lino insanguinato, che spinse papa Urbano IV a promulgare nel 1264 la festa del Corpus Domini per tutta la cristianità, i credenti potevano fortificare la loro fede vacillante fissando lo sguardo su quel segno divino che si era manifestato in mezzo agli uomini come teofania biblica.  

Dal miracolo del bambino ebreo salvato dalle fiamme per aver mangiato l’eucarestia, all’ostia che ascende in cielo alla morte di sant’Ugo, fino alla profetica visione del Cavaliere dell’apocalisse che sopra un bianco destriero è in attesa di ricevere il pane celeste, la madre Chiesa raccontava ai suoi figli caduti nel sonno del peccato e dell’eresia, la sua storia e il senso vero delle storie del mondo per guidarli verso il Paradiso.


Giuseppe d’Arimatea, Cappella del Corporale

Una tra le più celebri di queste storie, che si affermò fin dai primi secoli del cristianesimo, ha inizio dietro l’altare con la scena della Deposizione di Cristo. Qui appaiono Maria, la Maddalena e le donne che si stringono addolorate attorno al corpo di Gesù, ormai senza vita, insieme all’apostolo Giovanni, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, raffigurato con un vaso in mano mentre sembra rapito da una visione.

Fu lui che, vincendo la paura dei Giudei, si recò da Pilato per chiedere il corpo del Crocifisso e dopo averlo portato al sepolcro ne raccolse il sangue in un vaso. Proprio da quel misterioso oggetto Giuseppe trasse il pane che lo tenne in vita nei suoi quarant’anni di prigione per aver trafugato il corpo del Signore. Si racconta, nel vangelo di Nicodemo, che Cristo risorto “andò da lui nella prigione e gli portò il suo vaso, tenendolo in mano: esso irradiò su di lui una luce così forte da inondare tutta la cella”.

Liberato miracolosamente, Giuseppe raggiunse la Britannia dove - secondo la leggenda - il sacro oggetto venne lasciato ai suoi discendenti, gli antenati del cavaliere Perceval. Altrove si narra, invece, che il Graal rimase nascosto a Gerusalemme fino al suo rinvenimento durante la prima crociata. Era il 1099 quando, sotto la guida di Goffredo di Buglione e Raimondo IV di Tolosa, l’esercito cristiano entrava trionfante nella Città Santa dopo un mese di assedio. Si diceva che furono proprio i soldati di Cristo, simbolo della chiesa militante e virtuosa, a ritrovare nei sotterranei del Monte del Tempio il  Calice della Redenzione.

D’allora, fiorirono migliaia di aneddoti e racconti sulla reliquia più bramata dal cristianesimo e di uomini coraggiosi e puri di cuore si lanciavano in eroiche imprese che entrarono ben presto a far parte dell’immaginario popolare. Sarà proprio l’esercito crociato, ritiratosi ad Acri con la perdita di Gerusalemme, il protagonista dell’epica battaglia contro tra i saraceni raffigurata in tre grandi scene a sinistra dell’altare. Era il 1291, un anno dopo l’inizio della costruzione del duomo di Orvieto, quando la roccaforte di Acri simbolo della cristianità, venne assediata ed espugnata dall’imponente esercito musulmano, in tutto 160.000 fanti e 60.000 cavalieri, che si impose sull’eroica resistenza di 14.000 fanti e appena 700 cavalieri crociati, mettendo così fine al sogno dell’Occidente di liberare la Terra Santa dagli infedeli. 

In quell’infausto giorno, riporta la scritta a commento della scena, il re saraceno disse al cappellano dei crociati: "Mostrami come il pane diventa il corpo di Cristo e tu e i tuoi soldati sarete liberati, altrimenti tu e loro morirete". All’elevazione dell’ostia, questa si tramutò improvvisamente in una piccola figura umana con una croce in mano che zampillava sangue riversandosi nel calice eucaristico. A tale vista il re e il suo esercito si convertirono e i cristiani furono liberati. 


Apparizione del Graal, Castello di Neuschwanstein, 1882

Ma il prodigio dell’ostia, del bambino, della croce, del sangue e del calice, non poteva non richiamare alla memoria dei credenti le meravigliose apparizioni del Graal tratte dal romanzo di Robert de Boron ‘Joseph d’Arimathie ou l’Estoire dou Graal’ e, prima ancora, nel ‘Conte du Graal’ di Chrétien de Troyes, scritti tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. 

In quei celebri poemi, si raccontava infatti del prode Galaad che, durante una liturgia nella cappella del castello di re Artù, vide il sacro vaso con Giuseppe d’Arimatea che prendeva da esso un’ostia, mentre dal cielo discendeva “una figura simile a un bambino dal corpo tutto nudo e sanguinate che entra nel pane e lo trasforma in una figura umana, la quale distribuisce ai presenti l’eucarestia”.

In un altro passo si legge del cavaliere Galvano che si trovò ad assistere, durante un banchetto, a una meravigliosa processione dove gli apparve “una coppa d’oro, incastonata di gemme, con dentro un calice prezioso da cui sprigionava una luce splendente, insieme a un piatto d’argento con sopra un’ostia dai poteri miracolosi, mentre dalla punta di una lancia stillavano gocce di sangue vermiglio che cadevano dentro il calice e due angeli che portavano candelabri d’oro con dei ceri accesi… e apparve la figura di un bambino dal volto rosso e acceso come il fuoco, che poi si tramutò in un uomo in croce con un lancia conficcata nel costato”. 

Ed ecco che le leggendarie apparizioni del Graal descritte nei romanzi cavallereschi dimostravano agli occhi dei credenti che sull’altare in mezzo al campo di battaglia non si trovava una coppa qualsiasi, ma il calice dell’ultima Cena che i Templari portarono da Gerusalemme ad Acri. Quel Bambino passionato, ispirato al messia-fanciullo del profeta Isaia e all’agnello immolato del libro dell’Apocalisse, doveva far comprendere, meglio dei sermoni, il mistero della Transustanziazione e cioè come, durante la messa, Cristo torna a incarnarsi nell’ostia continuando a versare dalla ferita aperta nel suo costato il sangue della redenzione: e davanti a tale visione cristiani e musulmani, vinti e vincitori, s’inginocchiarono in adorazione dell’eucarestia!


Miracolo Eucaristico di Acri

Dopo circa due secoli di dispute teologiche, il miracolo di Acri era lì per ricordare ai credenti il dogma più importante della fede cristiana che giunse persino a influenzare la letteratura del tempo, facendo del Graal non solo la reliquia della Passione ma la sede della presenza stessa del Signore. Così, nella Cappella del Duomo di Orvieto, teologia e leggenda si compenetravano a tal punto che la storia dell’eucarestia era la storia del Graal, il potere dell’eucarestia era il potere del Graal, la grazia dell’eucarestia era la grazia del Graal, poiché non c’era nulla di più vero, di più prezioso, di più desiderabile, di più benefico del Corpo e del Sangue di Cristo che avrebbe ricolmato la vita e il cuore degli uomini di ogni bene corporale e spirituale. 

E se il Graal veniva decantato nei poemi come “Argentato, Luminoso, Fragrante, Potente, intagliato con i segreti della benedizione… dal quale spira una soave fragranza, come se vi fossero state sparse sopra tutte le essenze del mondo”, Papa Urbano IV esaltava nella festa del Corpus Domini tutta la sublimità del divino sacramento con queste parole:  

"Memoriale mirabile e meraviglioso, 
dolce e soave, carissimo e prezioso… 
in esso sono tutte le delizie e i sapori più delicati, 
nel quale si gusta la stessa dolcezza del Signore".

(Bolla Transiturus, 1264)

 

 

Bibliografia:

Cioli-Dianich-Mauro, Spazi e Immagini dell’Eucarestia 
C.D. Harding, Guida alla Cappella del Corporale
I.Borsacchiello, Santo Graal: la leggenda francese del calice di Cristo
U.Eco, Storia delle terre e dei luoghi leggendari 
G.Bordonove, Le Crociate e il regno di Gerusalemme
S.Bassetti, I Templari in Orvieto
M.Insolera, La Chiesa e il Graal
G.Baldassarri, Il simbolismo del Graal 
Chrétien de Troyes, Il racconto del Graal
Robert de Boron, Il libro del Graal
Wolfram von Eschenbah, Parsifal 
Anonimo, Le Queste du Saint Graal  
CEI, Bibbia di Gerusalemme