La città del Dante barbuto

E’ una bella notizia quella che annuncia la scoperta di un ritratto di Dante con barba appeso nello studio del Sindaco di Orvieto, che fra le altre cose è la nostra Città.
Orvieto di attributi prestigiosi ne ha già tanti, la Città del Duomo, della Rupe, del Corpus Domini, del Pozzo, del Vino,… Adesso può aggiungere la Città del Dante barbuto.
Non lo dico con ironia, quel quadro nello studio del Sindaco ci sta da un sacco di anni, non ho idea di come ci sia finito, non si sa neanche chi l’abbia dipinto, ricordo in ogni caso di averlo visto ogni volta che mi è capitato di entrare in quella stanza, ce n’è uno se non mi sbaglio anche dell’insigne concittadino direttore d’orchestra Luigi Mancinelli, e come a me è successo a tutti quelli che per un motivo o per l’altro sono capitati lì.
Ma come accade spesso nella nostra Città, i potenziali tesori restano silenti, dormitant, e dunque ben venga questa scoperta o meglio questo annuncio e che il Dante barbuto sia l’inizio di una nuova stagione che ci tiri fuori dalla selva oscura della pandemia, ripopoli strade e piazze, vi riporti frotte di turisti, meglio ancora se, tra i tanti motivi per cui verranno, ci sarà la curiosità per quel ritratto portato alla conoscenza universale nel Dantedì che a settecento anni dalla dipartita celebra l’inizio del viaggio oltremondano della Commedia Divina.
Anzi, mi sembrerebbe il caso di trovare il modo di esporlo, ma credo che questo sia già nei pensieri di chi è deputato a queste decisioni e dunque non vado oltre.
Però, al di là della contingenza felice per la Città, questo Dante barbuto pubblicato al mondo mi suscita qualche pensiero.
Intanto, non è l’unico ritratto. Va bene, non avrà la barba e Luca Signorelli non avrà letto il Trattatello di Boccaccio in laude di Dante, ma un’altra raffigurazione del Poeta aspetta chi entra nella Cappella Nova o di San Brizio.
Sulla parete di destra, nel registro inferiore, fra candelabre e grottesche, in un riquadro appare Lui, il manto che gli abbiamo sempre visto indosso, la corona di alloro, Dante è intento a leggere i libri che sono spalancati, il nero della scrittura che fa risaltare il bianco delle pagine.
Difficile pensare che il pittore di Cortona lo abbia messo lì per un caso o per riempire lo spazio. No, basta dare un’occhiata - si fa per dire, il Giudizio Universale o il Finimondo può attirare lo sguardo e non lasciarlo più… - all’enciclopedia oltremondana che incombe sul visitatore per capire che forse qualche legame passa tra il Poeta e la strapotente immaginazione figurativa dell’Aldilà. Visioni tumultuose e incantate, il groviglio dei corpi dannati dell’Inferno e la leggerezza delle anime elette, il miracolo della Resurrezione della Carne e la Predicazione dell’Anticristo, le anime che con la barca di Caronte vanno alla punizione definitiva e il Cristo Giudice..
Se non bastasse, nella parte inferiore della Cappella, si possono ammirare i medaglioni che si diramano dalla cornice che racchiude l’immagine di Dante, per scoprirvi, ancor più grigie di contro al colore che dilaga in tutta la Cappella, le scene del Purgatorio, Catone, Casella, l’Angelo del regno, Manfredi e Dante con Virgilio che discutono della posizione del Sole, avendo alle spalle i neghittosi.
E’ un ritratto in piena luce, Dante è pensoso e tutto concentrato nella lettura, lo vediamo di profilo perché la testa e dunque lo sguardo sono volti verso un tomo che è quasi dritto, aperto e appoggiato come un messale a dei volumi che lo sorreggono, mentre un altro libro sta sullo strombo della cornice en trompe l’oeil del ritratto.
Non è il solo poeta che Signorelli ha raffigurato nella Cappella e anzi non sono affatto concluse le discussioni per dare un’identità ai compagni che affiancano Dante, variamente individuati in Sallustio, Ovidio, Claudiano, Stazio, Tibullo… Nessuno di loro però si segnala con l’autorevolezza concentrata di Dante e per un immagine che una tradizione iconografica ha reso riconoscibile e sedimentato da un secolo all’altro.
Quello che mi pare a questo punto incontrovertibile è che allo stato delle cose, Orvieto custodisce non uno ma due ritratti di Dante.
Mentre tante, tantissime città, direi quasi tutte, non ne hanno neanche uno, a noi sono toccati addirittura due!
Non voglio gridare al record, dico solo che mi pare una bella dote che dice di un rapporto su cui si possono avanzare tutte le ipotesi possibili ma che è certificato dalla realtà di una tela e di un affresco.
Non ci sono documenti che attestino di un passaggio dell’esule Dante, difficile pensare che sia salito sulla Rupe dove aveva risieduto il Papa, e in particolare quel Bonifacio VIII che lui, guelfo bianco, non si perita di scaraventare all’Inferno tra i simoniaci, benché fosse ancora in vita.
Ciò che non esclude che di Orvieto abbia seguito le vicende, come dimostra la citazione nel VI canto del Purgatorio dei Monaldi e dei Filippeschi “uom sanza cura: color già tristi, e questi con sospetti”.
Mi pare invece certo che Dante abbia fatto sentire la sua influenza non tanto politica quanto di esploratore dell’Aldilà.
Le pareti di San Brizio ne sono testimoni, il pennello di Signorelli fu di sicuro ispirato da un programma iconografico. Più difficile da spiegare il tragitto che ha portato quel quadro nella stanza del Sindaco. In ogni caso, che lì ci sia un ritratto di Dante, non può che far pensare a benefici effetti, nonostante l’espressione non serena e ancor più incupita dalla barba.
Già la barba, ecco le due immagini non potrebbero essere più diverse, per carità capita a tutti di cambiare espressione durante la giornata come nel corso degli anni e chi potrebbe escluderlo per Dante!? Sto meglio con o senza? Adesso è un periodo così, la porto, no basta, la taglio…
Si può comunque immaginare che ognuno, se vorrà, potrà manifestare la sua predilezione per quella che sentirà più congeniale. Potrebbe essere un gioco divertente, Dante contro Dante come Eva contro Eva, o double face come il Dr. Jeckyll e Mr. Hyde.
D’altronde questo è il fascino che accomuna questi ritratti.
L’uno e l’altro si presentano nel vuoto, non esibiscono radici o riferimenti a una qualche realtà. Magari, Luca e l’ignoto autore del Poeta con barba si saranno affidati a una qualche documentazione, ma quale che sia la genealogia delle loro opere, nulla ci è giunto e nulla possiamo a questo punto ricostruire.
Guardiamole, dunque, come indizi di un originale che ci è negato, puri simulacri che alludono alla realtà inattingibile di un uomo di cui ci restano solo fantasmi dipinti e terzine immortali.
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