cultura

Santo Ciconte, i linguaggi dell'arte per conoscere se stessi

domenica 18 ottobre 2020
di Annalisa Fasanari
Santo Ciconte, i linguaggi dell'arte per conoscere se stessi

Si è spento Santo Vincenzo Ciconte. Giovane scultore, negli anni Settanta lasciò la sua Calabria per raggiungere Orvieto dove per vari decenni è stato insegnante di quello che allora si chiamava "Istituto Statale d’Arte", disciplina "Plastica", in quella irripetibile "squadra" capitanata dal Direttore, Prof. Giunio Gatti, con docenti come Adriano Casasole, Livio Orazio Valentini, Luigi Moretti, Donato Catamo, Alberto Satolli, Sergio Bianconcini, Flavio Leoni, Massimo Perissi, Renato Ingala, Marcello Lucadei, Paola Giusti e Anna Lapini, solo per citare alcuni della lunga serie di insegnanti che ad Orvieto iniziarono la sperimentazione di una scuola ad indirizzo artistico, nella sede originaria dello storico Palazzo Monaldeschi della Cervara.

Apparentemente timido e schivo, il Professor Ciconte era tanto rigoroso nell’insegnamento quanto determinato nel far emergere dai suoi allievi la creatività nascosta e quell’espressività che, inconsapevolmente ciascuno porta in sé. Da quegli allievi Santo Ciconte voleva liberare la capacità di esprimere sentimenti, stati dell’anima o l’osservazione e reinterpretazione di qualcosa che avesse catturato la loro attenzione e suscitato emozioni. Li invitava a cogliere ispirazione dalla materia per trovare ciascuno il proprio linguaggio espressivo. Li esortava ad appassionarsi all’arte e alle arti, come mezzo per comunicare.

"Con la modellazione – diceva – la mano ‘segna’ la materia informe e lascia traccia del suo gesto che a volte è dettato da una mente ‘ordinatrice’ o ‘idealizzante’ volta alla ricerca di armonia e di bellezza, altre volte da sentimenti, emozioni, desideri di libero sfogo ad impulsi interiori. Sotto la pressione delle dita nascono forme scarne o meticolosamente descrittive; segni tesi e dinamici, o essenziali e leggeri; frammenti di realtà o deformazioni della realtà stessa per sottolinearne l’espressività".

Pian piano i suoi studenti lo scoprirono per la sua grande carica umana, il desiderio caparbio di entrare in sintonia con tutti loro. E ci riuscì con la sua semplicità spontanea e disarmante, la sua onestà intellettuale, unita ad una carica di simpatia che finalmente uscì fuori. La "squadra" si arricchiva così di sensibilità nuove, una caratteristica che non mancava certo in quella scuola d’arte così diversa in una città che l’arte la respira in ogni angolo.

Una città che Santo, così tutti lo hanno chiamato nel tempo, ha amato molto, in cui ha scelto di vivere e creare la propria famiglia. Da orvietano, come ormai si sentiva, in questa città ha intrecciato legami con le persone, con le realtà culturali e giovanili, con discrezione, generosità e senza mai essere d’ingombro.

Ha contribuito all’allestimento di spettacoli teatrali, ha realizzato sculture, ha partecipato a mostre in varie parti d'Italia, e alla vita del Corsica, il suo quartiere, offrendosi persino per la realizzazione di presepi artistici, fino a coordinare per diverse edizioni il Laboratorio di Scultura dell’Università delle Tre Età, che appena tre anni fa ha avuto una sintesi espositiva in una mostra allestita nello spazio OrvietoVIE Museo Diffuso, da lui coordinata.

Le ragioni per ricordare con gratitudine Santo Ciconte ce ne sono molte in tutti coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato. Oggi è il modo più vero per essere vicini ai suoi familiari.

 

I funerali avranno luogo domenica 18 ottobre alle 15 nella Chiesa Parrocchiale di San Domenico. Anche la redazione di Orvietonews.it è vicina ai familiari.