cultura

San Zeno?! San Zero.

mercoledì 30 settembre 2020
di Silvio Manglaviti
San Zeno?! San Zero.

Alle pendici nord-est della rupe di Orvieto, in corrispondenza del soprastante pozzo detto di San Patrizio, sgorga un’antica sorgente detta di San Zero. Questa zona della rupe di Orvieto è caratterizzata da antichi depositi di travertini sopra le ignimbriti tufacee e le pozzolane, detti Serie dell’Albornoz; i travertini sono rocce sedimentarie di origine chimica dovute al deposito di minerali trasportati dall’acqua e sono tipici di aree idrotermali. Su un recente atto del Comune di Orvieto (ma non è la prima volta che accade) il toponimo San Zero è divenuto San Zeno.

San Zero non è una svista od errore semantico e sbaglia chi corregge Zero con Zeno. La questione non è di poco conto. Ha a che fare con la storia, la geografia ed i nomi dei luoghi. Il nome "Zero"” che si è tramandato nei secoli ha un riscontro storiografico e filologico documentale nel "Sto Serio" autografo di Antonio da Sangallo il Giovane, riportato in un documento del 1528 conservato agli Uffizi, con cui l’architetto indica tre sorgenti orvietane nei progetti del Pozzo citato; il Pozzo del Papa, poi detto della Rocca ed infine di San Patrizio (quest’ultima denominazione sarebbe dovuta ad una grotta nei pressi del convento di S. Maria dei Servi nelle cui proprietà si trovava, quale “antro del Purgatorio”, luogo di ritiro e meditazione periodico, come la grotta di S. Patrizio in Irlanda, “senza fondo”).

Ne parla ampiamente Lucio Riccetti in “Antonio da Sangallo il Giovane in Orvieto, una lettera ed altri documenti inediti” per “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz” (1998). Dal punto di vista toponomastico etimologico non si hanno riscontri agiografici riferibili ad un santo di nome Zero o Serio. Dunque da cosa potrebbe derivare? È possibile seguire almeno due differenti percorsi di indagine. Uno riferito al nome, Serio. L’altro riferito a “santo”. Nel primo caso, posto come detto che non si hanno notizie documentate di un santo chiamato Serio, quindi di un suo presunto culto nell’area orvietana che giustificherebbe la presenza di qualche cappella o chiesa dedicate, si potrebbe supporre una derivazione di Serio da nomi che vi si avvicinino.

Ad esempio, Severo (nella vulgata antica o in eventuali antiche trascrizioni, potrebbe essersi perso “ve” trasformando Severo in Sero: che si adatterebbe sia a Serio sia a Zero); il legame potrebbe trovarsi nella strada che lambisce la fonte e porta all’abbazia dei Santi Severo e Martirio. Ma tornando ai Servi di Maria, nelle cui proprietà si trovano il pozzo e la sorgente che lo alimenta, è possibile pensare ad un toponimo che faccia riferimento ai (Sette) Santi Servi fondatori dell’Ordine; “Santi Servi” o “Santo Servo” che, come nel caso di Severo, per ragioni fonetiche si potrebbe esser trasformato in Sero perdendo la “v”. Per inciso, la chiesa ed il convento orvietani dei Servi di Maria furono edificati intorno al 1265 su fondi della parrocchia di San Martino – regione orvietana nel quartiere di S. Pace, poi Corsica – di proprietà dell’abbazia dei SS. Severo e Martirio.

Il riferimento ad un Santo Servo (accezione dell’Ordine sottolineata da S. Pietro da Todi: «seipsos Deo et Dominae fìdelissime serviendo») potrebbe essere legato alla figura del Beato Tommaso (Corsini) da Orvieto, padre servita vissuto tra il 1290 e il 1343; tra i miracoli di fra’ Tommaso (anche detto del Fico, per un altro miracolo e le ficune non mancano mai presso le fonti) quello dove si dice che trovandosi presso Porta Posterula (che dopo l’edificazione nel 1356 della fortezza, sarà detta Porta Rocca), adiacente alla Fonte di San Zero (il pozzo sarà scavato dal 1527), assistendo alla caduta di un fanciullo dalle rupi, avesse rivolto fervidi preghiere grazie alle quali il ragazzo fu ritrovato incolume.

A memoria perenne di quell’evento prodigioso, quella zona alle pendici della rupe presso Porta Posterula potrebbe essere stata ricordata come “Santo Servo”, da cui Santo Serio, ancora presente nel Cinquecento di Sangallo. Per quanto concerne l’altra ipotesi di ricerca, anche “santo” potrebbe essere uno stravolgimento semantico da “salto”. L’area della rupe soprastante, tra Piazza Cahen e il Pozzo, è naturalmente incisa e altimetricamente depressa, in analogia alla Cava; non si può escludere che fosse anche occupata dall’alveo di un fosso che sul limite delle rupi formasse una cascata, un salto.

Le acque che solcano la rupe e la saltano costellano l’acrocoro orvietano e danno origine ai fossi alle pendici: il fosso del Leone e l’Acquasalsa a sud-est poco distanti da San Zero, il Salto del Livio (dalla sottostante località denominata Sant’Ilivio) a Porta Pertusa, il fosso di Corgiano a Porta Maggiore, il fosso di S. Benedetto a Porta Vivaria. Il presunto fosso sarebbe poi stato coperto da detriti e dal suolo degli orti che caratterizzeranno questa zona nel Medioevo e con esso un’ipotetica cascata. Questa ipotesi nasce da una comparazione con il Serio, affluente dell’Adda dove confluisce dalle Orobie, attraversata la Val Seriana, il Bergamasco e il Cremonese. Le sue cascate a Valbondione sono tra le più alte d’Italia e d’Europa.

I suoi canali minori sono denominati seriòle, che evocano il toponimo umbro-romagnolo-marchigiano di Bocca Serriola. Chi ha studiato la storia del fiume evidenzia un origine preromana del nome Serio, che indicherebbe flusso, corrente, oppure “cammina con l'acqua”. Dal latino Sarius, Sarrio (Tertia pecia ubi dicitur Ad Sarrio apud ipso loco) in un documento dell'882 d.C. dove il passaggio da “a” in “e”, Sar-Ser, per influsso della “r”, sarebbe tipico nel Basso Medioevo. Cosa c’entri il Serio con “Sto Serio” di Antonio da Sangallo il Giovane e con San Zero è impossibile anche solo ipotizzarlo.

La suggestione del “salto” del Serio alpino con un possibile “Salto” di un presunto fosso denominato magari Serio, pure esso, ma ad Orvieto, in epoca romana, e la trasformazione di “Salto” in Santo, restano sono plausibili congetture. Un San Zeno avrebbe dovuto essere connesso con il culto di San Zenone, come a Verona, Bologna, Pistoia, Arezzo. Non ve n’è traccia ad Orvieto. E poi, comunque, San Zero è bello e ce l’abbiamo soltanto noi.

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