cultura

Ujw #26. Il diario di Elio Taffi - Terza giornata, due parole con Gianni Grassilli

lunedì 31 dicembre 2018
di E.T.
Ujw #26. Il diario di Elio Taffi - Terza giornata, due parole con Gianni Grassilli

Cari amici, la media di ore di sonno non accenna ad alzarsi!

Rendersi sveglio ed efficiente, di mattina, risulta sempre un’operazione difficile.

Decido per la terapia d’urto: caffè lungo con panna e trancetto nocciola-chantilly; naturalmente, da David e nel suo “Dolceamaro”, punto di riferimento per i golosi impenitenti come me…

In barba ad ogni regola alimentare, devo dire invece che il rimedio si rivela efficace.

Voglio iniziare la mia giornata musicale sentendo ancora al Museo Emilio Greco “Cinema Italia”, il bellissimo progetto di Rosario Giuliani, Luciano Biondini, Enzo Pietropaoli e Michele Rabbia, che tanto mi era piaciuto il giorno prima. Qualcosa è stato modificato perché giunge alle mie orecchie un sound più pulito ed equilibrato; noto che alla console c’è il grandissimo Gianni Grassilli, vero fuoriclasse dei tecnici audio italiani, capace di qualsiasi miracolo.

Il quartetto si conferma come una delle belle sorprese di questa ventiseiesima edizione di Umbria Jazz Winter. Ho modo di ascoltare altri brani. Fra questi, mi stupisce (e non ho più un’età nella quale vengo sorpreso da ogni novità) il modo in cui è rielaborato il tema di Nino Rota “La dolce vita”. Di per sé, la melodia contiene dei cromatismi (do-do#-re, do-do#-re), per cui una modalità di variazione potrebbe essere quella, prevedibile ma efficace, di esasperare tale caratteristica magari con Biondini che decidesse di imperversare con velocissime scale semitonate sui bottoni della fisarmonica. In realtà, la rielaborazione è di natura ritmica e germoglia sul contrabbasso di Pietropaoli. Il tema originale è un quattro quarti in tempo tagliato, quindi due impulsi ritmici per battuta; la variazione del quartetto è imprevista: gli impulsi diventano 6, con una crescita abnorme della prima parte del tema ed un apparente stravolgimento del disegno originale che, tuttavia, genera un risultato musicale di indubbia bellezza. Ecco, probabilmente le mie parole non sono chiare, forse neanche per gli addetti ai lavori (e questo la dice lunga sulla mia lucidità); intendo però far notare l’assoluta imprevedibilità della strada percorsa dal quartetto nella reinterpretazione della musica di Rota che, per me, è un valore aggiunto dati i risultati musicali ottenuti.

Gli applausi, fragorosi, sono meritatissimi; scorgo nel pubblico vari artisti impegnati a suonare ad Umbria Jazz, segno che il valore di Giuliani-Biondini-Pietropaoli-Rabbia è noto e condiviso.

Mi dirigo al Teatro Mancinelli, per la seconda degustazione dettagliata dei vini di Orvieto. Oggi ne sarà conduttore la massima autorità mondiale del vino, l’enologo Riccardo Cotarella, gloria di Orvieto e del suo territorio. Rimango ammaliato dal modo dotto ed appassionato con cui egli parla della storia delle nostre campagne e dei nostri vigneti: narra novelle di amore e devozione per la terra, di povertà e dignità, di sudore e sacrifici. Il mondo del vino, raccontato in questo modo, diventa ancora più bello e affascinante. È così che dobbiamo raccontarlo all’esterno ed all’estero ma, parola di Cotarella, pare che siamo, oggi, sulla strada buona.

Molto indovinati sono gli interventi, fra una serie di degustazioni e l’altra, di un complesso musicale indigeno: “LittleBrownJug#Band”. Nata da una intuizione del Presidente della Scuola Comunale di Musica di Orvieto, Gabriele Anselmi, la band è formata da Lamberto Ladi (sax), Andrea Tomasselli (clarinetto), Carlo Frulloni (fisarmonica), Luca Santoro (Chitarra), Alberto Casasoli (contrabbasso), Alex Graziani (percussioni), Vittorio Tarparelli (pianoforte), Gabriele Anselmi (tromba); completano le voci di Cristiana Cicarilli e di Giordano Ferri. Il repertorio, data la versatilità dei componenti e la varietà degli strumenti, anche vocali, è amplissimo: dalle nobili canzoni italiane alle melodie napoletane, dagli swing anni quaranta e cinquanta alla musica leggera anni sessanta e settanta; gli ottimi arrangiamenti, lo spiccato vigore ritmico e la buona fusione strumenti-voci rende la LittleBrownJug#Band un’ottima colonna sonora per momenti conviviali e di sorridente intrattenimento: attenzione, compito questo non facile per qualsiasi formazione.

Per un’esigenza fisiologica mi dirigo verso la toilette ma, in lontananza, avverto il suono di un pianoforte, mi pare reale e non riprodotto, sembra attirarmi a sé…

Giungo sino al palcoscenico e riconosco il pianista e direttore Ethan Iverson che sta suonando, udite udite, musica classica sullo splendido Fazioli di scena. Ethan si accorge della mia presenza, si interrompe, lo saluto, lui risponde con un’algida stretta di mano, capisco che desidera che io non mi trattenga, faccio per allontanarmi. Ma, con mossa furtiva, invece che uscire mi occulto dietro la strumentazione degli operatori audio. Dopo una trentina di secondi, Iverson riprende a suonare. Che cosa? Non lo indovinerete mai: Invenzioni a due voci di Johann Sebastian Bach! Scelta originalissima a cui non avrei mai pensato. L’elemento che più mi ha colpito, però, è quello stilistico. Da un maestro americano non mi sarei aspettato un suono tagliente e puro, quasi cembalistico; un’esecuzione in staccato dolce; l’assoluta mancanza di pedale di risonanza; la soluzione fiorita, e diafana, di mordenti e trilli. La settima Invenzione in mi minore, la mia preferita, è stata suonata perfettamente: non me lo sarei aspettato di sentire un Bach cristallino e filologico da uno straordinario direttore di big band statunitense! La confesso tutta… Con l’abilità di un Barillari etrusco da strapazzo, insinuo l’obbiettivo della mia fidata compatta Olympus fra un amplificatore ed un preampli e scatto la foto che vedete nell’articolo, tanto poi non glielo direte a Iverson, vero?

Sorpreso ed addirittura entusiasmato da una Invenzione a due voci di Bach ritorno a casa.

Il mio pranzo diventa un brunch pomeridiano, qualche minuto di relax e poi…

Via al Palazzo dei Sette!

Nick the Nightfly Quintet è già all’opera.

Dopo la chiacchierata del primo giorno, sono veramente curioso di sentire la musica di Nick. Il terzo album tutto di musiche originali. Sono un po’ stanco e mi siedo su una sedia in prossimità del palco. Non so come sia rimasta sguarnita, c’è una tale massa di gente ancora in fila alla ricerca di un posticino a sedere. Chiudo gli occhi e la musica di Nick mi riporta diritta diritta alla mia infanzia, segnata irreparabilmente da due telefilm: Hazzard (Le incredibili avventure dei fratelli Duke) e Starsky & Hutch. Ecco, le sonorità di Nick, eleganti, mai banali, venate di modernismo ma non troppo, pulsanti, mi fanno tornare alla mente le belle songs delle periferie californiane in cui i due poliziotti scorrazzavano a bordo di una Ford Gran Torino rossa a strisce bianche.

La musica è proprio questo: fantasia, collegamento, impressioni, espressioni…

Oppure, più prosaicamente, un lieve appisolamento ed un breve sogno possono essere la causa dell’immaginato?

Dopo questa esperienza onirica, vado di nuovo per l’ultimo impegno della giornata al Teatro Mancinelli.

Incrocio con gli occhi un mito vivente, Gianni Grassilli, il maestro bolognese dell’audio riprodotto, che mi onora della sua amicizia.

Caro Gianni, condivido con te, se permetti, una riflessione: ogni edizione ha la sua storia e dignità, ma mi pare che questa ventiseiesima sia fra le migliori; che ne dici?

Posso rispondere? La più bella è stata la prima.

Addirittura?

Allora, se tu prendi gli almanacchi e consulti i nomi degli artisti del primo anno, era roba da andare fuori di testa per la gente che ha suonato. La numero 1 ad Orvieto! In tutti i modi, quest’anno si sta dimostrando una signora edizione.

Chi ti ha colpito, maggiormente?

Questa Big Band mi piace molto; la Big Band di Umbria Jazz sta lavorando sempre meglio, il suono è ottimo.

Di “Mare Nostrum”, cosa pensi?

Si, m’è piaciuto.

Molto carino il progetto di Giuliano, realizzato con garbo ed eleganza.

Si, assolutamente, ma è sbagliato il posto. Non doveva essere fatto lì, al Museo Greco.

Ma l’acustica era comunque ottima, Gianni. Hai fatto dei miracoli.

Loro sono esplosivi e le dinamiche sempre intense. Non è semplice da amministrare tutto quel volume in quell’ambiente.

Ti ho visto lavorare con particolare attenzione ai livelli utilizzando un tablet. Complimenti, sei sempre all’avanguardia.

Per forza, bisogna aggiornarsi anche se io, a lavorare sul digitale, impazzisco. Non è da me, faccio una fatica incredibile.

Però sarebbe impossibile ritornare indietro, vero?

Non solo, come faresti? Ma ti ricordi la mole delle attrezzature analogiche? Colonne ingombranti a destra e a sinistra della consolle, per gli effetti, compressori, riverberi. No, impossibile solo pensarlo.

Approfitto, Gianni, della tua competenza. Sulla qualità del suono, di cui tutti oggi parlano, spesso - credo - a sproposito. È vero che alcune attrezzature del passato, di altissimo livello, sono in grado di dare una qualità di suono oggi non ottenibile con le nuove strumentazioni digitali?

No, non è vero. Intanto, buona parte della questione dipende dalle casse che si montano. Certo, se sei in un piccolo studio con un organico ridotto, puoi ottenere un buon risultato anche con l’analogico, magari suonandolo con due belle casse. Ma per lavori “pesanti”, non c’è confronto.

Grazie, Gianni. Buona Musica!

“Bud Powell in the 21st Century” Umbria Jazz Orchestra merita tutta la mia attenzione; rimasi impressionato nel sentire le prove il primo giorno del Festival e a dirigerla, dopo aver realizzato gli arrangiamenti, è proprio quell’Ethan Iverson che poche ore prima suonava Bach sul Fazioli.

Che dire, amici? Giù il cappello!

Ammetto che il linguaggio musicale utilizzato è particolarmente elevato, troppo anche per Elio Taffi. Il Bebop, frutto confezionato dallo straordinario Bud Powell che con questo progetto 2018 si vuole ricordare, è caratterizzato da una grammatica complessa ed articolata; gli strumenti si muovono ad onde ben congegnate, un meccanismo perfetto quasi contrappuntistico (qui ritorna, in qualche modo, l’elemento Bach).

I fiati della Umbria Jazz Orchestra sono ormai cresciuti dopo le precedenti esperienze internazionali (con Ryan Truesdell, Weyne Shorter, Gil Goldstein, tanto per citarne alcuni) e vengono fiancheggiati da musicisti cristallini, scelti direttamente da Iverson, quali Dayna Stephens (sax), Ingrid Jensen (tromba), Ben Street (contrabbasso) e, soprattutto, da quel Lewis Nash che in molti consideriamo il miglior batterista al mondo.

Che meraviglia, signori!

Dance of the Infidels” è un monumento della storia della musica del novecento. Punto.

Semmai un esecutore possa essere in grado di migliorare con la propria sensibilità interpretativa una musica scritta da altri, questo si è verificato proprio oggi al Teatro Luigi Mancinelli di Orvieto. Ethan Iverson è un gigante, ancora giovane e quindi con potenzialità di crescita artistica impressionante. La versatilità e il genio di questo pianista, compositore, arrangiatore e critico gli permette di riproporre il passato con il rispetto e la tradizione necessari, aprendo però il materiale, spesso abusato e inflazionato, ad una lettura presente e, come succede per i più grandi, futura.

Nash, poi… Un discorso a parte… Il suo ritmo è bidimensionale, nel senso che grazie alla sua tecnica aliena riesce a dare profondità melodica alla batteria. Mai sentito nulla di simile, se non sempre da lui nelle precedenti performance orvietane.

Per me, nonostante - ribadisco - non sia io un esperto di Bebop e/o Powell, qui siamo ai livelli massimi di questa edizione di Umbria Jazz Winter.

Buongiorno a voi e buonanotte a me, a domani…


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