cultura

Il chicco di grano

sabato 17 marzo 2018
di Mirabilia-Orvieto
Il chicco di grano

"Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo..." (Gv 12, 24).

Ancora una volta l’evangelista Giovanni colloca il suo racconto nella cornice storica della Pasqua dei Giudei. Alcuni greci stavano salendo al Tempio di Gerusalemme per il culto della festività, ma saputo che in città c’era Gesù, cambiano programma e decidono di mettersi alla sua ricerca. Vanno dal discepolo Filippo, e gli chiedono: «Signore, vogliamo vedere GesuÌ€».
Quei greci, pagani simpatizzanti del Dio degli ebrei, avevano infatti sentito parlare del messaggio nuovo portato dal profeta di Nazareth, così universale che tutti potevano comprenderlo.
Alla richiesta di volerlo vedere e quindi conoscere, Gesù risponde:“E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”. Ma che cosa c’entra questo con la richiesta fatta dai greci?
In realtà, nella Bibbia, la parola “glorificare” significa appunto manifestare, portare alla luce. Egli sta dicendo che presto, con la sua morte (era infatti vicina l’ora della sua passione), si sarebbe rivelato in lui qualcosa di inedito, di sorprendente. E continua: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.

Van Gogh, il seminatore

Per Gesù la vita, ogni vita, ha senso solo se è vissuta nella logica del seme di grano che per germogliare deve prima morire! E’ come dire che il segreto, il mistero di tutta l’esistenza umana sta proprio qui, nel superamento dell’istinto di conservazione e di affermazione di sé. Vivere autenticamente, pienamente, significa diventare capaci di far morire le chiusure, i limiti e le difese dell’egoismo, come fa il chicco di grano.
Solo “morendo a se stessi” si vive veramente: è questa la grande novità, la grande verità rimasta nascosta fin dalla creazione del mondo e che né i maestri della Religione (i giudei), né i maestri della Sapienza (i greci), potevano mai immaginare. Come è per il chicco di grano, così ogni uomo ha in sé delle energie che attendono solo di essere liberate, di essere sprigionate. Se l’uomo rimane solo, cioè rimane seme, senza rompersi, senza dischiudersi, senza aprirsi, la sua vita non germoglia, non fiorisce, non porta frutto, non si realizza! In ogni persona c’eÌ€ dunque un’energia vitale che attende solo di manifestarsi, di liberare tutta la sua potenza e questo si può dare nel momento della morte, di ogni esperienza di morte: la morte non imprigiona l’uomo ma lo libera, non lo annichilisce ma lo potenzia, non lo distrugge ma lo fa rinascere. Con questo messaggio GesuÌ€ toglie alla morte, fisica o morale, qualunque significato negativo di distruzione e di fine, per parlare invece di frutto, di vita, di nascita, di compimento.

Gesù con i discepoli

Alla luce di tutto ciò, ecco che diventa più chiaro anche il senso delle parole che il maestro della Galilea aggiunge subito dopo: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserveraÌ€ per la vita eterna” (Gv 12,25). Qui non si tratta di “odiare” nel senso comune del termine. E’ come dire che “chi pensa soltanto a sé stesso”, anteponendo se stesso ad ogni cosa, ottiene l’effetto contrario...si perde e non si realizza, fallendo inesorabilmente. Chi invece “odia la propria vita”, cioè “non pensa solo a se stesso”, allora si realizza veramente. L’invito è quello di trovare la volontà, lo sforzo, il coraggio, la fede e la speranza di non richiudersi dentro la “piccolezza” e “durezza” del proprio essere, della propria logica, per lasciar sprigionare da sé qualcosa di più grande, di immenso, di liberante: in realtà la morte non confina l’esistenza della persona, ma la dilata!
Questo Gesù non l’aveva soltanto predicato, lui non è un parolaio, ma lo aveva sperimentato e testimoniato al mondo durante tutta la sua vita pubblica.
Nessuno poteva infatti dimenticare quello che aveva fatto per la moltiplicazione dei pani, quando aveva sfamato circa cinquemila persone che lo avevano seguito. Quel giorno Cristo non era stato protagonista di un atto magico, facendo apparire dal nulla il cibo, ma aveva semplicemente chiamato i suoi discepoli a “morire a stessi”, offrendo alla folla tutto quello che avevano portato con sé da mangiare, cioè i loro miseri “cinque pani e due pesci”; e il miracolo ci fu veramente perché la folla, colpita da quell’insolito gesto, aveva cominciato anch’essa a fare altrettanto, offrendo ciascuno tutto ciò che aveva.

La moltiplicazione dei pani

Il risultato? Il cibo avanzò! L’insegnamento aveva dato il suo frutto. Il miracolo della “moltiplicazione” dei pani, raccontato dai vangeli, fu nella realtà il miracolo della “condivisione” dei pani che avvenne proprio perché qualcuno riuscì a non mettere al primo posto se stesso. Questo non eÌ€ un perdere, ma un “guadagnare”! La vita si possiede allora nel momento stesso in cui si esce da sé, fuori dal guscio protettivo e limitante della propria esistenza; solo così la vita acquista un senso, solo così la vita è vita, anzi è vita eterna.

 

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