cultura

Fabio Volo a Orvieto per "Il Libro Parlante". Leggerezza e paternità? "È tutta vita"

domenica 13 dicembre 2015
di Davide Pompei
Fabio Volo a Orvieto per "Il Libro Parlante". Leggerezza e paternità? "È tutta vita"

Otto libri in quattordici anni. Ce ne ha messi quindici a condensare nel primo i suoi stati d'animo tardo-adolescenziali. Poi, con "tanta lettura e un po' di mestiere", ha incrementato il ritmo. La nuova fase esistenziale che sta vivendo adesso si è trasformata così in pretesto narrativo per parlare – con la giusta dose di leggerezza, introspezione e luoghi comuni – dell'alchimia di una coppia, di equilibri sovvertiti e bisogni anteposti dall'arrivo di un figlio.

Due, quelli che già girano per casa Bonetti seminando piselli surgelati sul pavimento. Quattro, invece, gli anni che Fabio Volo mancava da Orvieto. Era il 2011, quando in un Palazzo del Capitano del Popolo gremito presentava "Le prime luci del mattino". Atteso due anni dopo per alzare il sipario sulla 18esima edizione della rassegna letteraria "Il Libro Parlante" con "La strada verso casa" – profetico, il titolo – dovette annullare l'incontro, attaccando il fiocco azzurro con un mese di anticipo rispetto al previsto.

Sana simbolicamente il suo "debito" con la città e con la Libreria dei Sette – Mondadori, giovedì 10 dicembre, proprio nel giorno in cui quest'ultima traguarda il suo compleanno per l'unica tappa in Umbria del suo serrato booktour, anticipando l'irrinunciabile prassi del firma-copie senza sottrarsi all'assalto, in gran parte femminile, dei selfie. Lui, il primo, con il parka ancora addosso se lo regala di fronte al Duomo. Diverso da quello della Milano in cui vive. "Oh, ma chi ha fatto 'sta meraviglia?". E parte il tweet "Duomo di Orvieto. Quanta bellezza! Grazie per il vostro affetto". 

Gli altri scatti, invece, li riserva alla via della Bottega Michelangeli e all'assortimento di cioccolata del Caffè Montanucci. In bocca, il chewing-gum e l'accento bresciano caro a chi lo ascolta in radio. "Le storie che racconto – spiega – non sono mai autobiografiche. È la situazione che vivo che le condiziona. Mi piace raccontare la vita, indagare nella normalità del quotidiano. Ho bisogno di sapere che gli altri sono felici. Cerco di far vivere a chi mi legge, quello che io per primo provo. Ho scoperto così che è nel primo anno di vita di un figlio quello in cui, più di frequente, avviene il tradimento.

L'uomo si sente escluso, inadatto, non rispettato. Nelle generazioni precedenti era unicamente la donna ad occuparsi dei figli. Io, ad esempio, non ho avuto un papà-compagno di giochi perché mio padre lavorava sempre e con i miei figli voglio recuperare questa mancanza. Una mamma è tale tutta la vita. Anche ora che ho passato i 40, la mia si offre di lavarmi i vestiti e darmi le conserve.

In Islanda, il Paese di Johanna – la compagna a cui è dedicato l'ultimo 'È tutta vita' – a 8 anni i bambini usano la lavatrice, mio padre non credo sappia come si accende. Una volta gli uomini non entravano nemmeno in sala parto. Ora se non lo fai, sembri insensibile. Io ci sono stato. È stata un'esperienza bellissima, ma non siamo strutturati per resistere. È come andare a Disneyland e constatare che hanno sparato a Topolino. C'è sangue ovunque.

In casa, io sono quello che si alza presto e la sera collassa. La giornata è tutta un vortice, è tutta vita anche la pioggia. Gli imprevisti in una vacanza sono il sale del racconto. Come mi ricordano spesso, non sono Camilleri. Non sono sicuro come lui che scrive di getto la storia tutta in fila, dalla prima all'ultima pagina. Scrivere un libro è faticosissimo e si incastra con quello che accade nel corso della giornata. Avrò tempo per la tranquillità. A 75 anni, quando avrò la calma per leggere i Meridiani, so che quel caos domestico e quei disastri mi mancheranno. Ora no...".

"So di essere fortunato – continua – ma tendenzialmente credo anche che le cose vanno bene perché sono propositivo, entusiasta. Ho avuto lutti prematuri e dolori, ma non sono mai disperato. La vita è fatta di frequenze, è alti e bassi. In radio, è tutto istinto. Anche senza prepararmi posso andare avanti per ore. La scrittura, invece, va limata ma senza presunzione. Non scrivo per insegnare, ma per condividere. Chi si celebra, chi finge, non è naturale.

Come Michelangelo, non scolpisco ma libero del superfluo l'opera d'arte è che già nella materia. Ognuno di noi ha già dentro di sé il successo, si deve liberare con il suo scalpello. Io l'ho trovato in viaggi, letture, amicizie. Da ragazzino mi sono appassionato alla lettura di libri meravigliosi come 'Narciso e Boccadoro', 'Il gabbiano Jonathan Livingston', 'L'amore ai tempi del colera', più dei miei coetanei che hanno proseguito la scuola e sono stati costretti a leggere.

'Ulisse' di Joyce lo tengo per quando divento vecchio. L'idea che la cultura sia prerogativa della scuola è sbagliata. Entrare in libreria e avvicinarsi a un autore piuttosto che un altro è un atto volontario di libertà. Ora leggo un po' meno, un po' perché mi addormento ma anche perché si può trovare buona narrativa anche nelle serie televisive. Ho appena finito di scriverne una di dieci puntate, dovrei iniziare a girarla a febbraio".

Altri progetti per il futuro? "Delle cose che faccio, la tv è quella che mi manca meno. Da Fazio, mi vesto bene, ascolto Frassica e rido tutto il tempo. Radio e scrittura sono le priorità. Non scrivo gialli, né storie noir con traffico di droga e armi. Magari scriverò un po' di storie tristi che fanno ridere lo stesso. Se mi capita di fare un film sono contento. E poi ho già due figli maschi...vuoi che non faccio la femmina?". Sì, è tutta vita.