cultura

Susanna Tamaro e Lucia Goracci a Orvieto diventano "Testimoni di pace"

giovedì 11 giugno 2015
di Davide Pompei
Susanna Tamaro e Lucia Goracci a Orvieto diventano "Testimoni di pace"

Distanti e diverse, ma solo all'apparenza. Avvicinate, entrambe, da una consonanza profonda. Promosse "Testimoni di pace" – a sottolineare comune denominazione e medesima speranza – dal loro quotidiano impegno sul campo. E dall'omonimo evento nato dalla collaborazione fra Libreria dei Sette-Mondadori, Associazione Luigi Barzini e Festival Internazionale d'Arte e Fede con il patrocinio del Comune che mercoledì 10 giugno porta sulla mitica panca della Bottega Michelangeli – quasi un simbolo insieme ai cherubini in legno per gli affezionati de "Il Libro Parlante" – Lucia Goracci e Susanna Tamaro.

Giornalista Rai, la prima è stata l'ultimo "Premio Luigi Barzini all'Inviato Speciale" nel 2012, raccogliendo il testimone da Roberto Saviano e riaccendendo la possibilità che in un futuro prossimo altri ne seguiranno. Autrice di best-seller, la seconda ha appena dato alle stampe per Bompiani il suo ultimo libro, presentandolo in prima nazionale proprio ad Orvieto che ormai da anni è diventata la sua seconda casa. Che poi, forse, è diventata la prima.

È la prima anche lei, a parlare con Guido Barlozetti, in un dialogo a tre voci che ben si amalgama, di "Un cuore pensante", che mutua titolo e invito ad esserlo da Etty Hillesum. Già definito un'autobiografia spirituale, un diario dell'anima che testimonia un personale cammino sui passi avviati con "Ogni angelo è tremendo", il racconto di per sé non esiste, se non sotto forma di storia. Quella di chi cerca di trovare un equilibrio nelle cose. È un cuore pesante – oltre che pensante – quello che si mette a nudo, con onestà, in un collage di piccole riflessioni che hanno dietro una Domanda.

"Chiunque – ammette l'autrice – prima o poi si chiede che senso abbia vivere. Da piccola, era la mia ossessione. Il punto di partenza di qualsiasi cambiamento è l'insoddisfazione che ci spinge a cercare risposte. È così che la vita si fa appassionante. Mi è valso anni di linciaggio, ma separare il cuore, simbolo di affettività e sentimenti, da ciò che pensiamo è un'operazione stupida. La religione è il grande fiume di una comunità, legata alla parte sensazionalistica. La fede, un percorso personale, un rapporto con il mistero che irrompe. Uccidere in nome della religione, un'idolatria funzionale a certi momenti storici".

"Neanche io – prosegue Goracci – mi accontento della verità che viene venduta da eserciti e governi. Per mestiere, cerco sempre di vedere altro. Il rispetto e l'inseguimento della memoria, anche plurale, devono essere il fuoco che illumina il nostro lavoro. Ora più che mai, abbiamo di fronte una sfida. In luoghi dove le civiltà si sono succedute è in atto un progetto memocida. Il Medio Oriente è sempre stato luogo di convivenze precarie, ma è a rischio l'eliminazione della diversità. La vita non può essere monocolore, specie se è quello del lutto".

Tamaro la definisce "formichizzazione delle persone". "Viviamo in un mondo di individui – osserva – sottomessi alla tirannia del possedere e avere. Mi piace tanto parlare dell'infinita varietà che esiste nelle persone. Per fortuna, le persone sono diverse dalle altre. Significa che c'è fantasia nella vita. Nelle famiglie, c'era sempre un livello di diversità, dei personaggi eccentrici, uno zio un po' pazzo. A me piace esserlo. Ora non ci sono più. Come se la varietà della vita fosse stata schiacciata dall'omologazione.

Gli agenti della formichizzazione sono i media. Per contrastrarli, bisogna lavorare con i bambini, seminare con loro bellezze che germoglieranno. Ogni storia ha una memoria. Lo zapping della tv non crea alcun legame nella realtà. Occorre nutrirli con la carta stampata, i libri sono fondamentali. Anche per parlare di pace. Le parole scritte hanno un po' di peso. Ancora e per fortuna. E poi il contatto con la natura, le piante, le cose vive. Osservare i girini agitarsi nel laghetto è più appassionante del tablet.

Mi ritengo una sopravvissuta del secolo precedente, ma abbiamo bisogno di artisti che stiano fuori dalla massa. Avrei tanto voluto fare l'acrobata. Volare con il trapezio, assecondare la mia aspirazione aerea e circense. Ma sento anche la tigre feroce, dentro di me, che si muove. Ho un livello di energia vitale e ferocia molto alto. Così come lo è il prezzo che ho pagato. Le tigri non sono ben viste in società".

"Il mio – aggiunge Lucia – è un mestiere da uomo. Il giornalista che si lancia è un grande, una giornalista che lo fa è una pazza. Mi muovo in un ambito poco femminile. Mi è capitato di dover interloquire con chi si rifiuta di parlare con me perché sono una donna. Ci vuole forza, da Gaza all'Ucraina ti trovi ad essere criticato. O troppo equilibrato, o troppo schierato. Il motore di andare e tornare l'ho ereditato dai racconti di guerra dei nonni.

Come riconoscenza generazionale verso la privazione. Spesso ritrovo questo nei luoghi in cui vado. Gli scemi del villaggio fanno parte di una polifonia di voci che va ascoltata. Tacere significa negare la pluralità. Non mi interessa raccontare le forze schierate in campo ma come le persone sopravvivono all'acqua che manca, all'ospedale venuto giù. Nel viaggio intorno all'uomo che compiamo, restituire al pubblico la vita che rimane attaccata sotto il conflitto".

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