Alba Rohrwacher a Orvieto per Tuscia Film Festival. La grazia dell'intelligenza

Ci avviciniamo, timorosi e vagamente preoccupati, all'incontro con Alba, adolescente dolcissima e timidissima, nella memoria che non si sfolla, ora affermata attice. La fama incute soggezione.
Si presenta senza trucco, con un abito che ricorda i disegni di Fellini per Gelsomina. L'apparenza dice già molte cose. Risponde con garbo e intelligenza alle domande insidiose del Sindaco, protetta dal demone del nonno "sindaco d'altri tempi", sorride ironicamente, il sagrato del Duomo come palcoscenico. La voce, quella di sempre, ci incanta, più ancora lo sguardo limpidissimo, attento ad evitare le insidie delle banalità e del gossip, sottofondo inevitabile del Cinema non Cinema.
In primo piano ci sono lo studio, la passione, il coraggio di una scelta difficile. Alba riesce abilmente a portare il discorso sul film "La solitudine dei numeri primi " e a far capire come quel film rappresenti pienamente il suo modo di intendere il cinema e il ruolo di attore: un lavoro di gruppo in cui ognuno aggiunge qualcosa. Il film, in effetti, è bellissimo, si sentono l'emozione di alcune scene, l'autenticità di molti gesti. Alba ci mette la sua passione, ci racconta i dettagli, ci fa capire che per rappresentare il dolore bisogna sentirlo, provarlo.
Ci parla di accademie di maestri, di esempi di vita, non di premi nè di parentele, allude affettuosamente alla sorella Alice, al David sopra le mensole. Brava Alba, la meta è sempre oltre.
La abbracciamo sollevati, le tante maschere non possono che arricchire la grazia dell'intelligenza.

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